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martedì 15 giugno 2010

Raffaele Urraro

Orizzonti di carta
(Poesie 1976 — 1980)
Marcus Edizioni, Napoli 2008


La riproposizione di un volume di poesie, a distanza di decenni dalla sua prima pubblicazione, ha quasi sempre, dietro di sé motivi validi che ne giustificano l’edizione. Più in specifico ci riferiamo al volume Orizzonti di carta di Raffaele Urraro, Marcus Edizioni, Napoli 2008, nella cui nota di apertura, troviamo le ragioni che hanno indotto l’autore a ripresentare i suoi testi passati a suo tempo, nella più completa semiclandestinità, senza una casa editrice che ne curasse, la pubblicazione. Queste poesie, come si legge nel report introduttivo, furono composte in anni difficili per il nostro Paese, sebbene caratterizzati da passioni politiche intense e travolgenti, ma anche per far conoscere meglio le dinamiche socio-politiche, di quegli anni, i sogni, le utopie, le attese: tutto distrutto, o messo in discussione, dallo scontro con la realtà, con il futuro, che allora, però, era il momento in cui veniva proiettata la nostra speranza di un mondo migliore.
Tutto questo fu trasmesso a pochi amici e lettori, come una specie di samizdat e a coloro che lo lessero non sfuggì il clima ideologico nel quale il poeta maturò e difese la sua fede politica
Ciò ci induce a ripercorrere, per un attimo, gli avvenimenti degli anni Settanta, che segnarono una frattura tra la civiltà industriale e quella rurale, con i primi fermenti socio-culturali per esistere come soggetto, come idea, come anima.
E il pensiero va subito ad alcuni eventi di straordinaria rilevanza, come ad esempio il laboratorio pedagogico della prosa di Barbiana, l’intervento di Fortini su Lettera a una professoressa, apparso nei Quaderni Piacentini, gli insegnamenti di Don Milani, il Grido di Ginsberg, il potenziale rivoluzionario di Rudi, il Rosso, gli anni di piombo e di rivoluzioni cultuali mancate, tra stragi impunite e sit-in davanti alle fabbriche e alle Università, con la religione diventata oggetto di satira da parte di Carmelo Bene e di Dario Fo, mentre a Londra, Peter Brook e Charles Marowitz presentavano il loro teatro della crudeltà rimuovendo la vecchia atmosfera della Commedia dell’Arte, e a Woodstock e a Wight si scriveva una pagina memorabile del rock, con i Rolling Stones e Bob Dylan, e nel mondo si fronteggiavano due ideologie rappresentate dal comunismo e dal capitalismo.
Questo spaccato di storia crediamo abbia inciso nella sensibilità ideologica di Raffaele Urraro, che con Orizzonti di carta sceglie un proprio percorso espressivo e comunicativo, alla luce della (sua) conversione al marxismo, favorita anche dalle condizioni sociali ed economiche della terra lucana che scavò in profondità nella (sua) coscienza di uomo lasciandovi semi che germogliarono lentamente.
Raffaele Urraro fa parte della folta schiera dei poeti nati nel 1940, molti dei quali trovarono ospitalità nelle edizioni Quinta Generazione di Giampaolo Piccari, attraverso repertori regionali che si rivelarono in seguito, come un raro esempio di documentazione non riscontrabile nei rapporti antologici di oggi.
Orizzonti di carta, si apre ad una visione del mondo in cui il poeta stesso si riserva spazi letterari di scrittura poematica, non importa se poi subentrino enunciazioni allegoriche dell’espressione e piccole invettive, frammiste a sentimenti di acuta partecipazione e rimembranza, come nel testo A mio padre, (pag. 18).
Un’operazione di questo genere si estrinseca attraverso la narrazione dei fatti dove le pulsioni psicosoggettive si pongono tra urto del reale e presa d’atto della propria condizione umana in un rapporto nel quale il poeta riesce a trovare un proprio oggettivismo linguistico che è un excursus nel mondo dei precari equilibri e delle utopie.
Emergono così, i dati ambientali e memoriali, attraverso lo specifico poetico relazionato con nomadismo tematico e conflittuale, nella perlustrazione attiva nei territori del subconscio in cui vengono grafitati alcuni temi esistenziali, come nel testo Poema della morte (pag. 29) e in altri che non si sottraggono ad una visione del futuro, come una scommessa, nonostante le sconfitte e le delusioni, dentro e fuori questa poesia e nelle raccolte successive, collocate tra metafisica e fenomenologia della vita, prima di giungere, a carte scoperte, a quello che riteniamo essere il risultato finale di una partita culturale, che non esclude il senso autocritico del proprio fare e scrivere versi:
“Una sera d’estate / la terra saltava da un mondo / per posarsi su un altro / sospinta da mani infinite / e cadde nella notte / che fumava la sua pipa / seduta nel silenzio dell’abisso / quella sera d’estate / finalmente nacque il poeta / con due occhi al guinzaglio della luna /… e fu la fine.” O più semplicemente, il luogo estremo della poesia e del nostro essere — qui e ora-, anche se il titolo del volume ci fa intravedere un’altra categoria di spazi, per comprendere meglio questi Orizzonti di carta.

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