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martedì 15 giugno 2010

Alessandro Carandente

RISVEGLIANZE


Un libro di poesia è sempre una storia d’introspezioni psicologiche e linguistiche, ovvero, un format che si estrinseca come momento culturale, enigmatico e misterioso. Può essere esplicito e giocoso, oscuro e descrittivo, psicocosmico, che dilata le categorie di spazio e tempo, o psicosomatico, basato cioè sulla descrizione della pura esistenza, fino a rimanere tra il museo e il manifesto, irridere sulle cose quotidiane, e riempire i vuoti estetici che l’afasia ha reso catalettici e il postmoderno, (soprattutto con i terzoavanguardisti) ne ha addirittura prolungato il rigor mortis.
Non a caso è stato scritto, che non è più tempo d’avanguardia, e che è impossibile qualsiasi tipo di rigenerazione della poesia se mancano le spinte culturali verso il rinnovamento.
E’ ovvio che davanti ad una poesia può accadere di non capirci nulla, perché in fondo i contenuti sono stati completamente ignorati dal poeta a vantaggio del significante.
Ancora oggi emerge un’immagine di un universo interno ed esterno del poeta, attraverso i dati psicosoggettivi, analitici e riflessivi.
Ecco, allora, arrivare il momento, per ogni poeta, di produrre le prove della sua visione del mondo, e del suo estraniarsi in solitudine, rimanendo in conflitto con un Io disgregato e pluriscisso.
Tutto questo può significare, anche per un poeta come Alessandro Carandente, che gli strumenti operativi, cui fa ricorso, come le figure retoriche dell’ironia, le assonanze, i collegamenti onomatopeici, l’iterazione e la digressione, sono elementi capaci di dare un senso alla vita e alla sua intrigante ispirazione, come momento speculativo della lingua, fino a ricucire il rapporto con il lettore, grazie al transfert delle emozioni, regolate da una vigile riflessione autocritica, che mette in circolo una sapiente e itinerante giocosità del verso deflagrante nella enunciazione.
La radice di questa trascrizione epifonemica sta ovviamente nello spostamento ad effetto dei caratteri mobili di una lingua, che si estrinseca come espressionismo lessicale.
L’immagine, e a volte anche il nonsense, portano ad un pulsante vezzeggiamento del protoritmo: piccoli accessori della forma che, quantunque reificati conducono ad un divertissement disincantato, sicché niente va alla deriva, grazie anche ad un’accorta e tempestiva riconciliazione con la realtà; passaggio che l’autore stesso esemplifica in quarta di copertina del libellus dal titolo Bon Ton Bonsai Bonbon; leggiamolo: “il risultato è un profilo simmetrico di un poeta, sinuosamente sibilante, che sbriglia, scompiglia, sbaraglia l’invoglio, pronto cioè a sciogliere la tensione del dire e a slittare, con fulminea velocità, verso l’accensione di un senso”.
Ma le carte col tempo cambiano e il discorso si fa serio, per Carandente quando l’illuminazione e il passaggio dall’analogia all’ironia, si spostano verso la precarietà quotidiana e il Nulla. Da qui la sua confessione, “Al posto della certezza si è insediata la critica, la negazione” riportata nel recente volume dal titolo Risveglianze, Poesie 1994-2007, Marcus Edizioni, Napoli, 2007, nel quale non stupisce un certo riferimento a Rap e Rap 2, di Alberto Arbasino (usciti nel 2001-2002, nella "Super UE", Feltrinelli), dove le parole si aggrovigliano e rimbalzano generando provocazioni ironiche, per testualizzare le modalità di un dire poetico, combinato con uno scatto inventivo, che è scherzo e appeal di modernità, e che sembrano confluire in Risveglianze: un volume organizzato secondo una struttura a double face, nella quale subentrano momenti di poesia alternati a gioco ironico e viceversa: scritture difformi, ma complementari se si pensi per esempio che la facoltà dell’osservazione da parte di Carandente non ha bisogno di schemi predeterminati.
Il che ci porta a considerare il poeta uno scrittore espressionista, tanto riflessivo, quanto pungente nei suoi “quadretti” introspettivi e sociologici.
Esemplifichiamo! Ci sono testi in Risveglianze che si alternano perché c’è la folla di vocaboli che irrompe (pag. 13):

1) Una trota in tuta / trottò per un tratto / tutta distratta / andò in trattoria / dove tutta contratta / ordinò un piatto matto/ “un etto di prosciutto” / e fatta notte, dormiente, / come se fosse niente / zitta zitta se ne tornò / al suo ghetto laghetto/ per l’ultimo traghetto /. (pag.53)

2) Ora che sono trapassati i tuoi occhi chiari / e non sei più vincolata al gioco dell’umano / hai varcato la soglia d’eternità per approdare / infine all’intero puro d’una luce inviolata / la tua veglia costante sia il nostro viatico /. (pag.80)

Accade così che nella suddivisione dei testi qualcosa sia avvenuto, anche solo di riflesso, a spostare la vis poetica su micromondi attualizzati da un sarcasmo sferzante e spregiudicato, tramite le paronomasie, che sfociano in temi tra i più svariati, fino allo scatto improvviso del trash e del ritmo rap.
Questo qualcosa sta appunto nell’irrisione dello Spettacolo Esterno, che più avvince il poeta e lo tiene stretto come in una morsa.
Per capire quale sia oggi la chiave di lettura della poesia di Carandente, è necessario un confronto con le opere precedenti, a cominciare da Passo vegliante, per passare poi a Extravaganze, ecrivoci, screzi d’alfabeto, Corpo in vista, Bon ton bonsai bonbon e Specchio d’oblio; verificandone la continuità letteraria con Risveglianze.
La scoperta, alla fine, è che ci troviamo di fronte ad un poeta plurale, quindi, assolutamente propositivo, per via dei suoi testi che sanno di assoluta liberty, curiosamente microcosmicomici. Inoltre la manipolazione delle parole produce un effetto di scorrimento, conferendo alle sezioni: Vettovaglie controvento, Bon ton bonsai bonbon e Spilluffero, una percussione che resiste anche dopo la fine della lettura. Alla nostra quotidiana distrazione e fatica del vivere, stupisce il modo con il quale Carandente cerca di affrontare e superare il tragico vissuto, senza bisogno di autobiografie, con la sola capacità di relazionarsi con la realtà, fino a prodursi in una goliardica anamnesi del quotidiano e dei dati fenomenologici.


Risveglianze

impigliato nel primo germoglio di fogliame
nell’incedere insonne del verde
sopraggiunse il giorno
la sua luce ci trovò impreparati
fu lento il risveglio un muto espianto
raccogliemmo vaghe conchiglie
cocci e brandelli di una trama smemorata
ci alzammo tra scrolli stracolli e neve pendula
nel vetro assonnato la finestra riarsa ci vestì;
tra l’ombra di pietra dissipata dal chiarore
e l’attesa riversa del profumo svaporato
con lo sguardo assorto e vuoto rivolto al tutto
fissammo attoniti l’inizio nel suo bagliore sorgivo

…………………

affidò la giovinezza e il suo chiarore
a una canzone che non divenne mai poesia
mutò l’orgoglio vegetale in oblio fluviale
(popolo incessante di desideri striduli)
l’insonne fecondità in semi palpitanti
e cingendo con l’età ere sempre uguali
distillò inquiete domande
in guizzi d’istanti narrativi
fuoco e notte in ondate successive.

………………….

Entro e son dentro
esco e son fuori

pendulo pendo
oscilla un ricordo
sono pendolo

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