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sabato 18 ottobre 2014

INEDITO ottobre 2014

Faubourg

Una nuvola bianca che mai s’era vista
più  bianca di un bianco di neve in inverno,
poca acqua dentro, poca,
sostava  su un vecchio  faubourg
di tùmuli e croci,
sostava  più a lungo delle nuvole grigie,
sicura di celare l’azzurro,
velo bianco,
più bianco del viso di chi trascolora,
sostava,  oscurando  l’occhio del cielo,
 più cieco dell’occhio di Dio, 
come un bianco lenzuolo
copriva Marina tra le rughe del fiume,
sostava celando l’azzurro,
le tombe e le croci di un vecchio faubourg.


RITRATTO DI SIGNORA

Mario Gabriele
Armonie in sonno, in attesa del risveglio


Questa recente raccolta di poesie, Ritratto di Signora (prefazione di Luca Landolfi, Nuova Letteratura, Campobasso 2014, pp. 101) conferma ed esalta la lunga, motivata, fedeltà alla poesia moderna di Mario M. Gabriele. Gli assi di riferimento sono sempre quelli: la specola della cultura anglosassone, l’esistenza come verifica di una condizione di partecipazione sospesa ad eventi che portano un nome preciso e un profilo netto, anzi perentorio, ma che in sostanza veicolano meraviglia e mistero, l’interrelazionalità fra i linguaggi (innanzitutto fra letteratura, una letteratura che, come dice Eliot, è suggestiva di una lingua dei vivi dentro le espressioni dei morti, e comunicazione mediatica, - dalla televisiva alla radiofonica, alla giornalistica, quella costituita sulla cifra della cronaca-cronaca).
La cultura anglosassone, dunque, è il filtro fondamentale. A cominciare dal titolo. Questo Ritratto di Signora cita intertestualmente ed esplicitamente tanti altri analoghi “ritratti” (Portrait of a Lady di Eliot, The Portrait of a Lady di Henry James, ecc. ecc.). Naturalmente, concordanze, non possono non attivarsi anche con la semiologia della ritrattistica nelle altre culture e negli ambiti extraletterari: scultura, pittura, cinema. Le consonanze, tuttavia, si intrecciano soprattutto a livello semantico e simbolico con l’acquisizione squisitamente moderna dell’arte del ritratto autentico, come sottolinea Alberto Savinio, che è inquisizione di ciò che non appare e finora non è apparso in superficie e nell’evocazione alla vita di qualcosa che non si sarebbe potuto altrimenti conoscere. Così, questa “Signora” di Gabriele è essa stessa personaggio nuovo e in divenire, in quanto metapersonaggio che si riflette per accenni, per guizzi improvvisi e inattesi su tanti personaggi disseminati nel quotidiano di qua e di là (soprattutto in ambito anglofono): si lascia appena sospettare o intuire, ma non si concede mai nel concreto palpabile e a tutto tondo. Essa, chiaramente, è l’esistenza, in tutto il suo intrigante fascino di enigma e di bellezza che si rivela, senza chiedere licenza ai superiori.
Anche la scrittura è quella che conosciamo di Gabriele, asciutta, essenziale, franta, in mimesi della coseità e, insieme, frammentarietà e occasionalità dei segni della vita. Questa volta, però, essa si offre a una plasticità, ad avvolgimenti più complessivi e di maggiore tenuta, a una sintagmaticità oggettiva che si avvale perfino dei frammenti eterocliti per comporre uno spartito ricco di reciproci richiami e di rinvii ad armonie profonde. Come in questa umanissima, commovente poesia dedicata a una donna amata, ma strappata soffertamente alla vita:
“Non è stato giusto lasciarci / in un gioco che non era nostro. / Peggio di così stanno i pensieri / e la foglia che ingiallisce. […] Ma l’hai amata davvero questa vita? / Il giallo, l’amaranto, il pallore del tuo viso, / tutto si decideva in un vetrino, / stillante turbamento il codice nel sangue, la sfortuna di non essere tra i centenari. / Antiossidanti d’occasione il selenio e il Q10 / non sono bastati a darti un giorno di bonaccia; la scia delle flottiglie abbandonate, / l’infanzia, turbolenze di vento e di dolore poi, / ma come si fa a credere alle pattuglie d’angeli, / che fosse questo il disfacimento della tua memoria?” (p. 16).

                                                                                                                    Ugo Piscopo