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domenica 16 agosto 2015

IL MONDO DELLE ANTOLOGIE E ATTUALITA’ DEL SELFPUBLISHING

IL MONDO DELLE ANTOLOGIE
di Mario G. Gabriele
Antologizzare un periodo della nostra letteratura, pone ai curatori non pochi problemi di coscienza e di comportamento critico informativo, specie quando l’esame ermeneutico colloca in una zona di invisibilità autori validi e di lunga militanza, esautorati da una regia manageriale rivolta sempre di più al profitto che alla realtà storica presa in esame.
Nel suo fortunato -Repertorio della poesia italiana contemporanea: Febbre furore e fiele, Mursia, 1983 – Giuseppe Zagarrio pone in essere un principio etico di chiara rilevanza, che dovrebbe funzionare da password per molti critici interessati a redigere – storie letterarie -. Infatti, nella sua relazione conclusiva, Zagarrio dichiara che “Le antologie si fanno (si sono sempre fatte e si faranno) così come i codici della giustizia, i partiti della libertà, le chiese della fede religiosa, le città perfette dell’utopia sociale: è il segno oggettivo della loro necessità e dunque anche della loro utilità. Sempre che non pretendano di essere strumenti esaustivi della realtà e soprattutto non diventino operazioni politicamente interessate di restaurazione, di frenaggio”. Quindi “no all’antologia per quel che è di elitario, parziale, autoritario, e sì alle tante, tantissime antologie in funzione di quel no”.
Purtroppo, a questo lodevole auspicio non sono seguiti segnali di ripensamento e di operatività critica, da rimodulare la topografia poetica del centro e della periferia. Cosicché assistiamo ad un reiterato – vulnus- che esaspera e inganna i lettori più avveduti ed esperti. Ne viene fuori un panorama letterario e poetico, con rifiuti e annessioni, di difficile accettazione, da quando la critica si è -chiusa nell’ambito accademico e del microspecialismo -.“Gli anni Sessanta coltivarono l’illusione che si potesse trovare a collaudare un metodo scientifico di analisi dell’opera letteraria; ma quella ipotesi,, non trovò una vera conferma, e dopo tanto laboratorio e collaudi di strutture, pian piano si lasciò perdere.- “Quella ipotesi, afferma Mario Lavagetto non aveva fondamento. La critica non è una scienza nel senso corrente del termine. Si fecero poi le cose più strambe accreditando una critica tematica, che naturalmente svariava ragionando sui temi più strani. Poi è subentrata la moda dei canoni, che sono in fondo classifiche d’alto bordo e comunque territori dai confini incerti e variabili. Poi l’accademia, che ha desacralizzato ogni forma di insegnamento, non sa che farsene dei critici, poco funzionale a corsi svelti e a testi di poche pagine possibilmente riassuntive”.
Avvenuta la scissione della critica dal potere editoriale, la metodologia pseudo informativa, si è così – istituzionalizzata – inserendosi autonomamente nei mercati librari, vuoti di storia letteraria.
“Un’antologia, è pur sempre un arbitrio, secondo il pensiero di Enzo Siciliano, “e non c’è criterio di presunta oggettività che possa giustificarlo”. Sono molte, infatti, le – premesse – poste ad apertura delle varie storie letterarie, che in vario modo, tentano di supportare l’autore e la sua ipotesi formalistica, spesso attraversata da presunte o pretese – irregolarità – che lasciano nel tempo l’omologazione della imperfezione, attraverso l’ondata delle rassegne di letteratura, dei canoni, della critica monografica, e di quant’altro asservito ai cosiddetti movimenti o periodizzazioni.
“Il critico, -scrive Giacinto Spagnoletti nella sua Storia della Letteratura Italiana, Newton, 1994- non è che un testimone, al quale sono concesse tutte le possibili interpretazioni, anche quelle che denunciano la sua pochezza d’intuito, e l’obbedienza ai luoghi comuni. Ponendosi dal suo punto di vista, sempre incapace di abbracciare l’intero orizzonte, si possono subito stabilire i suoi limiti, culturali, metodologici, di informazioni e di analisi.” Purché, aggiungiamo noi, non si faccia del pregiudizio intorno a coloro che non hanno avuto la fortuna di essere pubblicati da Mondadori o Einaudi, una regola discriminante, tale da farli dimenticare per sempre. In ogni caso c’è sempre l’idea della mistificazione che modula ogni evento critico strettamente legato al business imprenditoriale, che domina su ogni legittima richiesta dei lettori desiderosi di conoscere, ovviamente non in forma enciclopedica, il perché di tante estromissioni e silenzi.
Un’attenta analisi della faziosità che ha spaccato l’Italia, è stata esaminata da Roberto Di Nucci e Galli Della Loggia nel volume edito dal Mulino: Due Nazioni: legittimazione e delegittimazione nella storia dell’Italia contemporanea, recensito da Giuliano Gallo sul Corriere della sera del 2 luglio 2004, dove emerge l’esistenza di una contrapposizione ideologica, più che sociale e religiosa. Non a caso lo storico Luciano Cafagna ha definito questo stato di cose con un sorprendente neologismo – la divisività – che non è nata oggi, ma che ci portiamo dietro dall’inizio della nostra storia di paese, apparentemente unito, le cui fratture hanno separato la politica e l’economia, la società e la cultura, e ciò che riguarda più da vicino la poesia, con le sue contraddizioni formali; un problema che esiste e il solo fatto di ignorarlo non aiuta a riportare a galla la verità, ma a far emergere le memorie tagliate, tanto è vero che si continua sulla strada del separatismo culturale, con le recenti operazioni editoriali pubblicate dal settimanale L’Espresso, in sedici volumi della Storia Generale della Letteratura Italiana, a cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà, che si sperava facessero un po’ di giustizia sui poeti desaparecidos, la cui dimenticanza è stata replicata nella Letteratura Italiana in diciotto volumi editi dal Corriere della Sera e nell’antologia La parola plurale pubblicata da Sossella, gestita da un team di otto curatori: Giancarlo Alfano, Alessandro Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli e Paolo Zublema, fino a dividersi la responsabilità e l’arbitrarietà (il corsivo è nostro), della scelta dei testi e degli autori, affermando che “ogni inclusione (e di conseguenza ogni esclusione), è stata decisa collegialmente,” con buona pace di tutti gli altri poeti emarginati nel corso del Novecento, in cui non sono mancati modelli letterari oligofrenici, realizzati nel più completo caos della parola, a cui questa antologia tenta di porre rimedio attraverso un – proclama – della Forma, redigendo documenti di critica e di poetica su sessantaquattro poeti di diversa area territoriale, uniti da un criterio di selezione che dovrebbe far riflettere sul concetto di poesia, ridotto a fenomeno da baracchino e da ballon d’essai, da una – comunità ermeneutica che non mostra limiti nell’effetto-massa del pensiero critico e dei reperti testuali, prelevati in un arco di tempo- dal 1975 al 2005-, rimandando a future operazioni di omologazione i poeti degli anni Trenta-Quaranta, non antologizzati.-
Ancora una volta siamo di fronte ad una partnership blindata cui vanno contrapposte iniziative coraggiose, come quelle sorte a Nusco, per censire la vasta produzione letteraria del Sud, e rivendicare, giustamente, – spazi e credibilità nella cultura nazionale – reintegrando un patrimonio di voci, disperso da assurde arbitrarietà, “aprendo gli spazi a segnali forti, che provengano dagli intellettuali, dagli editori, dalle istituzioni, dagli amici lettori, se vogliamo essere protagonisti bisogna andare anche alla riscoperta della nostra cultura e della nostra poesia”, così come dichiarato da Paolo Saggese nel suo intervento – Per la poesia nel Sud -, su Secondo Tempo, Libro Ventesimo, pag. 94, che richiederebbe una lettura attenta per la specificità dei temi trattati, relativi anche alla compilazione di una eventuale Storia della letteratura degli esclusi, che non può essere il libro celeste di tutti i poeti vivi e di quelli morti, ma il dossier sui misfatti compiuti impunemente e giustificati da coloro che vivono al Sud e che costituiscono la colonna filonordista celata nelle redazioni dei Giornali per mettere sotto accusa ogni tipo di giaculatoria e di sconcertante meridionalismo critico inutilmente recriminatorio.
“Chi scrive poesie”, ha rilevato Adam Zagajewski, “si ritrova talvolta impegnato, in una difesa delle medesime”, a causa di continue delegittimazioni nel Novecento “che è stato il secolo ammalato di amnesie,” secondo un giudizio di Claudio Magris (in occasione della pubblicazione del volume di Barbara Spinelli – L’Europa dei totalitarismi, – Mondadori-), quando rileva che “la memoria è soprattutto giustizia resa alle vittime di violenza che la falsificazione ideologica cancella dalla coscienza o di cui deforma la verità”.
ATTUALITA’ DEL SELFPUBLISHING
Se aspirare ad una pubblicazione griffata diventa, per uno scrittore o un poeta un’avventura impossibile data la strategia programmatica delle Case editrici maggiori, impegnate ad un ritorno più che giustificato dei loro investimenti, allora non rimane che l’attualità del fai da te, o meglio del selfpublishing, che nella definizione letterale significa pubblicare da soli i propri testi.
Il fenomeno può essere definito per alcuni, editoria senza qualità, non avendo a disposizione la distribuzione del prodotto, che rimane l’unico modo per farsi conoscere. Tuttavia non è raro il caso in cui l’operazione porti a soluzioni per il richiedente, davvero ottimali. E’ il caso di tutti coloro che si autopubblicano, e che vedono coronare il loro sogno nel cassetto, con una modesta somma rapportata al numero di copie richieste.
Una indagine fatta dal New York Times Book Revev rileva che in America la “Authorhouse ha distribuito un milione di copie tra il 1997 ed il 2002, grazie alle nuove tecnologie digitali, che propongono edizioni significativamente decorose e a costi molto contenuti. Il meccanismo prevede che la pubblicazione su Internet produca dei commenti favorevoli offrendo all’autore la possibilità di contattare altri editori.
In Italia è ilmiolibro.it del Gruppo Espresso a offrire una significativa via d’accesso agli scrittori esordienti o di lungo corso con il selfpublishing, che consiste nella pura trasformazione di un manoscritto in volume, lasciando a chi scrive la scelta della sua eventuale vendita”.
Certamente i servizi offerti rispetto alla grande editoria sono diversi. Tuttavia se autopubblicarsi significa uscire dal silenzio e da un ghetto non più tollerabili, ricorrervi come approdo ad un’ultima spiaggia non è poi tanto disonorevole. Di questo sistema si sono avvalsi nomi importanti, come è avvenuto per “almeno tre best seller: La profezia di Celestino di James Redfeld, Eragon di Christopher Paolini e Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia.”
L’avvento di internet ha rivoluzionato il mondo della comunicazione, attuando una vera e propria mutazione antropologica dai risvolti imprevedibili, secondo i più esperti mediologi.
Ovviamente, non mancano voci dissonanti “trattandosi di un orizzonte che sembra dar ragione alle più fosche previsioni, anch’esse formulate negli anni Novanta della fase aurorale di internet dall’urbanista francese Paul Virilio in cui l’autore associa alla rete “l’ultimo atto di una guerra totale”. Al di là di ogni possibile catastrofe informatica e dell’uso improprio che se ne possa trarre, resta il fatto che siamo tutti sotto lo sguardo di“un grande occhio più implacabile di quello del Big Brother orvelliano”, e che milioni di persone stanno familiarizzando con l’high tech.
Nasce, come ha affermato lo psichiatra Tonino Cantelmi,”l’homo tecnologicus“, che vive di cellulare, di posta elettronica o di e-mail, ossia il digitalista, che non ha bisogno della linotype, ma della tastiera del computer per collegarsi on line con il resto del mondo, e nel nostro caso, con una community letteraria, che legge, registra, invia messaggi di riscontro, superando così gli obsoleti canali cartacei.
In La lettera che muore, Gabriele Frasca ha affrontato il problema della commercializzazione del libro, soffermandosi sul volume “Il Disperso” di Maurizio Cucchi, pubblicato da Mondadori, che a fronte di “una tiratura di 2.000 esemplari, di cui 100-200 sono stati distribuiti gratis a critici, amici, ecc e gli altri, presumibilmente, venduti in libreria o nelle biblioteche“, pone di fatto un problema già noto, che riguarda la collocazione della poesia nel mercato, dove i lettori interessati non superano le 500 unità. Discorso diverso per internet, dove si stima che l’utilizzo del web sia in continua espansione e che navighino circa“25 milioni di persone, (il 44% della popolazione) per oltre 80 minuti al giorno,con una crescita pari al 12%” come ha evidenziato in una indagine conoscitiva sul web Layla Pavone (AB), pubblicandola su Affaritaliani.it.
Il che non è poco, tenendo presente, che la poesia e la vita sono entrambe figlie dell’oblio e che anche in internet i corridoi di informazione sono diversi, secondo il grado di affidabilità.

Ma questo è un compito che spetta ad altri: all’uomo colto e tecnologico e alla community letteraria.