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lunedì 14 giugno 2010

Poeti molisani tra rinnovamento, trasgressione e tradizione

Terza parte
LE CONTRAPPOSIZIONI LINGUISTICHE
( I poeti della trasgressione )

(17) Vicini a un nuovo codice linguistico inteso come proposta alternativa alla comune prassi verbale si fanno strada alcuni poeti molisani che hanno aderito alle formule operative trasmesse dallo sperimentalismo degli anni sessanta e volte a de(significare) e a de(strutturare) il testo poetico dal linguaggio della Tradizione.
Il nuovo innesto semantico, oltre a trovare pochi estimatori sul territorio, si viene a formalizzare con lentissima decantazione solo dopo 21 anni di distanza dalla pubblicazione dei primi testi sperimentali del Gruppo 63, apparsi sulla Rivista “IL Verri “ di Luciano Anceschi e, successivamente, nel significativo raggruppamento antologico de :“I Novissimi" di Alfredo Giuliani.
Se si tiene conto che le prime forme trasgressive o sperimentali sono apparse nel Molise nel 1982 con Angelo Ferrante con “Segni ”, seguite nel 1991 da Antonio Carano con “La quieta follia del bosco ”, da Giuseppe Pittà, nel 1993 con ” Giocare di vento ” , e da Giose Rimanelli nel 1995, col volume , “ Alien Cantica An American Journey” che comprende testi scritti dal 1964 fino al 1993, allora il divario temporale assume un significato importante come silenzio operativo di un lavoro in fieri rivolto contro il sistema linguistico monopolizzato dalla Tradizione.
Tuttavia le reti di corrispondenza con il - centro - non mancano affatto, se si fa riferimento all'aggancio strutturale di contenuti e forme, come nuovo concetto di fare poesia, che partendo dal - basso - , ovvero dalle radici etimologiche della parola, sovverte tutto il tranquillo clima della - normalità -, celebrando il - significante in una autonomia linguistica aperta a tutto campo.

ANGELO FERRANTE

(18) Se si eccettua qualche isolata e significativa esperienza nel campo della narrativa col romanzo “Marirene”, pubblicato nel 1985 nella collana il “ Gazebo ”, diretta da Mariella Bettarini e Gabriella Maleti, si può senz’altro affermare che l’impegno letterario di Angelo Ferrante è da molti anni rivolto sul versante della poesia, quella cioè che dalle ceneri della Neoavanguardia è venuta via via a definirsi e a realizzarsi come operazione espansiva sul territorio della lingua.
Già con “Segni “ -Seledizioni Bologna - 1983 -, finalista al Premio Viareggio, per l’Opera Prima, Ferrante dà una prova del suo personale sperimentalismo poetico con un sotterraneo e silenzioso lavoro di ri(fondazione) del testo, attraverso molteplici strumenti operativi e grafico-semantici, come opposizione alla comune prassi linguistica.
Questa operazione non passò inosservata tant’è che essa trovò ospitalità nella Antologia “Il segno e la metamorfosi”- Forum - Forlì - 1987-, nella quale Ferrante dà un chiaro esempio di poesia trasgressiva fitta di plurilinguismo e di introspezioni psicosomatiche all’interno di un lirismo elegiaco che recupera gli affetti familiari interamente trasferiti sul piano dei ricordi, come in: “Frammento”, che è solo uno dei tanti testi dedicati al padre, brevi nella misura del verso e nella conversazione con la morte:

Questa pausa nella vecchia casa paterna il rubinetto
non funziona come al solito non credo che gli si
possa
attribuire tutto l’umido che impregna le mura.
E’ non odo presenze di lui se non del suo odore
di tabacco quando mi guardava correre
nella strada gli si inumidivano gli occhi.

O ancora da “ Album “, che è un monologo lungamente discorsivo col caro estinto, sotto forma di - epigrafi -:

I riflessi del sole nel bicchiere di vino
un incendio di pampini contro l’arco romano
le statue decapitate ancora un soffio nelle
labbra di pietra
tu incantato gli occhi rossi la voce accesa dai ricordi
il racconto al vecchio contadino erede di Tiberio e Druso
la mano tagliuzzata le dita gonfie e l’unghie nere di terra
nella pace del tardo pomeriggio d’ottobre
io ti ascolto la tua poesia le favole di un tempo
sorridendo in volo sui latrati dei cani giro sereno
il volto e gli occhi alle colonne.

Qui riportiamo altri due brevi testi non “recuperati” dall’Autore nella seconda edizione del volume:

non abbiamo più tempo per parlarci
io ho i miei impegni di lavoro sempre più pressanti
mai un’evasione, mai un momento di abbandono
nella nostra casa e nell’orto gonfio di ortiche
tu del resto da quel 4 di agosto
non ti sei fatto più vivo

dopo la curva appena dopo quella che tu vedevi
come un palco affacciato sul paese
mi giunge il brivido del viale senza ghiaia
l’ultimo che hai percorso e ogni volta mi manca
come un ritmo o un fiato e un coccio di questa
mia vita abbandonato

e che rivelano suggestioni riconducibili alla poetica neocrepuscolare, inevitabile quando il discorso poetico esalta al massimo l’atmosfera emotiva di tipo larico-familiare, con tutte le varie sensazioni e percezioni come “Segni ” del passato, ricomposti e assemblati all’interno di un mondo di solitudine e di abbandono, come in” “Mutazioni”:
*
vieni dolore vieni
nel sangue e nel midollo vieni amore
una storia che langue di sussulti
ha bisogno come il brivido freddo
non cancella i tumulti del mio sogno
*
la strada all’infinito dritta
e lontana sfuma i pampini
nei cui contorni bui non cerco
chi sono né so se sono o fui
*
bambino mio i saraceni si sono dissolti
nella notte dei tempi e i muschi avvolti
ai seni delle statue e alle basole
della città morta quando ti conduco
per mano sul decumano sconnesso verso l’arco
della porta e nei tuoi occhi vedo
le ruote dei cocchi scalpitano
*
condurti sui sentieri nel vento
darti il sole proteggerti dall’acqua
e dalla neve come lieve scorre il tempo
mentre La tua piccola mano nel palmo
della mia cresce e l’accolma
*
è un battito l’uva che gronda
d’acqua alle viti e l’autunno
premonitore come l’ombra che inghiotte
i dirupi ove aspettano affamati
i lupi della notte.

“Segni ”, pur offrendo una spaccatura stilistica, tra il documento lirico e la proposta sperimentale, rimane, comunque, il primo esempio di poesia alternativa apparso nel 1982 nel Molise, e che veramente compie una svolta nel panorama poetico nella regione, che registra nuovi poeti, in linea con le istanze sostitutive della lingua provenienti dalla nazione. La potenzialità del linguaggio e il rifiuto di ogni forma archetipa della lingua, fanno di “Segni” un’opera aperta a vastissime architetture verbali, con forti sequenze onomatopeiche e fonoetimologiche, in una fitta geografia di simboli e di metafore, di legamenti ironici e tragici, tutti elementi precursori di una storia o evento, come specchio atto a riflettere le cifre del quotidiano e le trame del vissuto.
Protagonista assoluto è sempre la parola, agglomerato di invenzione e di svuotamento del senso logico della archeologia semantica come in “Legge matematica”:

*
attonca papino la mogga la giocca
i megalenti lègami legumienti
lègami milèga miagola è un forza
orriprimente del fuggioloso
momento

*
ecco, nel suono, ti avrei telefonofonato
io se tu mi avessi asteppato se tu
non fossi stato inzapiente come al tòsilo
l’è stata una forma di nuerosi con
crisi predessive un perpuerpetuo
sibogno di pianger pingere mingere
( purchè tu non cannaliassi)
*
consopizione sperchirolata spericolocolata
nata una tana da impremissioni introibenti
introibernate in un pomeriggio di pioggiucolucola
quando bibitando una zattina di cocciolato
fumigolante sentii sulle papillole una
stoccatura che mi pelipelò la lingua
ti dissi perché non hai stutoliato il
gas quand’era l’aro l’ora il memonto
prozipio ora non serve sifoliare la
stoccatura me la sono beccolombata digià

così pure nel testo “Segni” che dà il titolo al volume stesso

*
non è per sfiducia fuga eclissi parzialmente visibile che
un ambiguo egoismo fa passare in second’ordine agonie di 3
mesi: pare che il carcinoma colpisca con crescente frequenza
le parti basse colon e retto nei pressi del giardino delle
delizie e NESSUNO ci va a riflettere preferisce coltivare
narcisi nel giardino ubriacarsi di profumi esotici andare
(anda anda) fino in fondo verso la parabola ellittica/corsa
afrore di cellulose giallocra CLIMAX domani vedremo di
che si tratta/SEMIOTICA SEMIOLOGIA SEMANTICA
in fondo radica unica univoca unisona radicula quel-eme
ch’altro non è se non spruzzo sprizzo dall’erectio del/ene.
DO NOT DISTURB la notte punge segnali mescola germoglia
anche in periferia PERIFRASTICAMENTE parlando
sto per andare a letto forse non suderò tanto sul
labbro superior forse queste fitte intercostali dolori precordiali
dimenticami stanotte non russare

COUP DE SOLEIL

non riesco in assoluto a contare tutti i bruchetti
che ruminano travi di memorie sono verdi rossi blu
alcuni antibes (insule antille sicut faville scintille
papille
a mille a mille)
al mattino cadono peli
canuti
sulle scucchie prominenti pelle vizza muscoli flosci
non puoi mica spalmarti di cerone (vade retro
ottusangolo-
il y a du FARD) rosa marrone
(tintarella fittizia) rosantico ambra carne color carne
(da non confondere con il filetto o i tre quarti di
dietro)
dico che chi spezza in più pezzi un pezzo solo
non tollera confronti anche perché il colpo netto
dell’affilato triangolo acutangolo nel punto più
vulnerabile
è (INEQUIVOCABILMENTE) un colpo da maestro

Per questa via e per strutture unitarie più compatte e armoniose, Ferrante ci conduce, dopo un lungo silenzio, in una ampia sala per “ Concerto per flauto dolce “ - Edizioni del Leone - 1992 - fuori da ogni nevrosi di linguaggio o di bipolarità stilistiche, attraverso “Ouverture” e “Suite”.
Qui il discorso poetico è veramente unitario, anche per una maggiore disponibilità ideologica a istituzionalizzare lo sperimentalismo nelle forme più dinamiche, contro gli archetipi strutturali della tradizione.
E’ già un punto di arrivo, una scelta inequivocabile dell’adozione di una nuova civiltà letteraria, come spinta in avanti nel variegato panorama della poesia molisana.
Un esempio di questa nuova evoluzione linguistica è dato dalla sezione “Ouverture”:

*
dolceonda la mia caraonda bara l’onda
o casino scendono le vecchie al fiume
mentre non rompere ma la speranza è
l’ultima se avanza su carro della luna
infilava mia madre la cruna del suo ago
il sugo il pesce le morte pinne le
flaccide zinne (non un’oscura fine ma
una scomparsa tenera come un’alba sul
mare) o i campanacci delle mucche al
pascolo su lo matese messo lì per caso
quando gemeva un vento sderrupava e
il confuso risveglio di camomilla o
l’attache di una tachicardia improvvisa
come il petto scuoteva l’assenza del
respiro che almeno finisse presto



(oh le conchiglie le concave chiglie
delle barche d’aria carche sul mare)
turba la pace d’erba la macchina che
cuce le foglie della ruta il vento
stuta la fiammella oblunga era non so
di maggio il congresso delle rondini
nell’orto vieni è finita disse il
tocco d’onda di suono lungamente si
appendeva al cielo che anneriva le
labbra ed io le primole sbattuto
l’erba il sambuco il suco m’avea
bucato il palmo e germina ora il già
colmo dolore né potrà lasciarmi
*
nemmeno sancta sanctorum omnium
decembrina novena ardea l’incienso
alba nei vicoli buissimi dal sonno
scardinato e la maglia di lana
corrono in fila i pidocchi e il prurito
nel sogno sfrigola la punta del fioretto
sotto un archetto emerso dalla fucina
con mani nere da lame di coltelli
scorrea il lapis al folio prendevano corpo
il volto di rossano e le labbra di alida
addio kira su opachi lustri il paese
calvo d’alberi al vento non avea
divorato il silenzio delle chiese
*
vacue scintille a vuoto vagolammo
librata l’aria di un uccello mostro
era di vento l’alba luce del chiostro
su di noi che nel fuoco liquido ardemmo
niuna pace a quella assimilabile
serena contemplazione dei gesti
lo stacco impartecipe che i mesti
rondoni strinse con un cappio labile
era una memoria una lieve cadenza
della mente non ancora al cospetto
delle tenebre bianche sciolte in un’ardenza
di fuochi fatui di lapilli nel petto
e si spingeva oltre le azzurre cornici
dei monti ottobrini sfogliati nei fumi
di nebbie precarie attente ai malefici
delle streghe e dei pallidi gnomi
*
perché questo silenzio di lenzuola e di vento?
La poesia non esiste è cavo il cuore
crocevia di letizia e patimento
mai che finisca questo grido
chissà che non compaia all’improvviso
un uccello dalle ali di neve
ma da spirali di luce il nostro passaggio
il contadino aveva le mani di terra
lo guardai come un corvo e dal taglio
tra le foglie il vento aveva mosso un raggio
si schiantava nel cielo dei suoi occhi
e moriva
*
Le superficie sono state lucidate. Ho un piede nell’alba e
l’altro nella notte. Fammi male ma fallo di nascosto
dolce-
mente. Odori fumano nel triangolo di terra
sull’uscio.
Il nero immacolato si allontana come una palla: Se,
comunque,
l’erba non si dissecca nelle tue estati, puoi adombrarmi
accarezzarmi più piano che sai.
Una traccia: la campana al break
nell’hotel frullato dai piccioni. Dalle vetrate si mostra
un oceano di cielo. Un autunno molisano nero di
commorienza
ha lamentazioni acute spingole nel ventre. Dio se
potesse
urlare! Sebbene agonizzi al freddo lumicino del
martedì-
alla prima silloge sei un angelo incompreso.
Mai- intanto - si chiude il vecchio oggetto. E al
riparo,
ricurvo, nel perfido richiamo delle cose, mi distraggo
nel
toccare i risvolti, nel lucidare il cielo, nel mandarlo via,
e forse nell’obliarmi appena - destinato a non essere
colore,
fiato, disuguaglianza netta, ma dissolto per sempre.

*
Ecco la beltà trasgressiva di Ferrante, misurata nel racconto, sobria nella coesistenza pacifica della parola, per farsi, alla fine, trasfigurazione di un mondo - fisico e spirituale - legato al tempo e sigillato nella memoria.
A riconfermare in pieno l’esperienza poetica coagulatasi attorno a “ Segni “ e a “ Concerto per flauto dolce “ è l’ultima raccolta di poesie : “ Làcero quotidiano “- Campanotto Editore - 1995 -, nella quale Ferrante esplora e sa esplorarsi all’interno delle cose che concorrono a formare delle - storie - prive di arricchimenti virtuali, e nelle quali il disfacimento dell’esistente, ovvero il “ làcero “ è il vero filo conduttore dell’indagine nei dintorni dell’io, sempre più legato ai temi del ricordo-amore e della vita-morte, soggetti ugualmente dominanti ed egemoni della nostra letteratura, che escludono qualsiasi ipotesi metafisica di salvezza e che tendono a rafforzare la visione laica del mondo e della crisi morale dell’uomo di fronte al negativo.
Il sapiente controllo dell’automatismo verbale mette in comunicazione un processo di identificazione tra - l’io - (soggetto esterno della fabulazione) e il - tu - (personaggio ombra o presenza amorosa), quale rapporto di natura affettivo-sentimentale, tanto che i personaggi stessi rappresentati dall’io e dal tu, risultano, alla fine, impotenti di fronte al “ làcero quotidiano”, nella scansione del verso ipermetro e alessandrino reso più prezioso da un linguaggio di derivazione trecentesca, con vari inserimenti dialettali, che amplificano il ritmo del discorso, con il trionfo dei neologismi (multifilter, tempation, matador, ecc.), del linguaggio siculo e molisano ( u tunnu a la tunnara o règna) e del latino antico (crudelitas mundi, ecc.), condensati anche in altri testi come - Collage -, Gli stupori del vento e della neve -,Variazioni sul tema -, Ipotensione-, e - Free love -, ma ve ne sono diversi, ugualmente degni di citazione, come - Tautologia - o come la seconda parte di - Segmenti - che attraverso la riscrittura temporale su alcuni episodi di guerra, carica su di sé sequenze cinematografiche, vivissime e indimenticabili nel dato fenomenico. Il ritorno cadenzato della memoria alla propria terra, anche dopo lo sradicamento dalle sue radici, attraverso una poesia chiaramente - urbana - mette in evidenza il problema della - molisanità - ed - extra-regionalità - delle opere di Ferrante, che da qualsiasi prospettiva le si mettano, pongono diatribe al lettore e alla stessa critica.
In questo contesto è d’obbligo ricondurre la problematica al saggio critico:” La memoria, il ritorno e la fuga” apparso su - Misure Critiche - Conte Editore -nn.37/39 - X - XI - ottobre - dicembre 1980 - gennaio - giugno 1981, a firma di Pasquale A. De Lisio che precisa il termine stesso della -molisanità - che va ricercato non solo nel dato anagrafico del poeta o dello scrittore ma anche “nella stratificazione di una cultura locale che ingloba la storia della propria terra e della propria gente”, mentre le connotazioni poetiche extraregionali vanno individuate soprattutto nelle “ reti di collegamento e di possibile dialogo con le altre aree nazionali” - caratteristiche queste che sembrano proprie di Ferrante, per cui dire che l’una esclude l’altra, significherebbe annullarle con la loro enunciazione testuale, essendo quest’ultima una connotazione peculiare di questo poeta che non dimentica mai il - paesaggio molisano - , né le istanze riformistiche della lingua provenienti dalla nazione In questo senso anche il viaggio misterioso e labirintico del linguaggio finisce con l’essere tutt’uno con la memoria e la presenza del proprio paese in un processo interiore di ricerca e di identificazione.
Quanto al - paesaggio molisano - esso non emerge mai come sentimento periferico nella struttura del testo, ma è quasi sempre connaturale alle esigenze biomemoriali del poeta legato alle radici della propria terra che è spesso rivisitata in ogni suo spazio planimetrico.
Tutta l’opera poetica di Ferrante offre squarci sinceri al - paesaggio molisano -, reso vivo dai luoghi, dalla natura, dal perenne incedere delle stagioni che si identificano nella dimensione effimera dell’uomo e del suo “habita”.
La riscoperta del - borgo antico - e la riappropriazione dei miti e degli usi della civiltà contadina trovano spazio e vitalità in un onirismo delicato che sfocia in un indissolubile legame tra il poeta-figlio e la terra-madre, dando luogo a tutta una fitta sequenza di rapporti vari, come ad esempio:” le stoppie e la macina”, “ il silenzio delle chiese e il decumano”, “ il pioppeto e l’autunno molisano”, “ il contadino erede di Tiberio e Druso” con la “ superstizione e i “ malefici delle streghe e dei pallidi gnomi”, il tutto senza sfociare nell’enfasi e nella rivisitazione neonaturalistica dell’ambiente, mentre il linguaggio opera su se stesso una fuga in avanti, con materiali iperattivi di vero e proprio - engagement - con le altre proposte del - centro-, che si sono venute a realizzare durante e dopo la Neoavanguardia.
Dopo Lacero quotidiano (1995) e Reperti Fonici (2000) si assiste ad un ripensamento delle espressioni e delle comunicazioni soprattutto con Racconto d’inverno, (2002), Senso del tempo, (2003), e Lessico privato, (2004), che introducono una varietà di temi, non ultimi quelli civili, presenti nel volume Dentro la vita (2007), nel quale predominano gli endecasillabi e le terzine, che fanno da ponte al negativo, con la vita illuminata dai ricordi e dalle immagini, anche se, a conti fatti, sembrano poi più forti i debiti con le meditate estrensicazioni linguistiche di Zanzotto, (Plinio Perilli) nonchè di tutta l' area del Secondo Novecento.


MARIO M. GABRIELE

(19) Il diagramma editoriale dei poeti che si sono mossi nell’ambito delle - scritture variabili - registra nel 1982 l’uscita del volume .” Carte della città segreta “, Sen - Napoli - di Mario M Gabriele, con prefazione di Domenico Rea. Il titolo è già significativo di un percorso simbolico che si effettua in una città o paese d’anima dove le carte costituiscono la -mappa- per un avventuroso ” viaggio ” che deve iniziare e intanto si svolge, che è trepida attesa ed insieme è memoria, progetto di itinerario e nello stesso tempo relazione del percorso esistenziale” (Pasquale A. De Lisio), che si infittisce di appunti e note - di reportage e di historie -, di giardini di supplizi e di punto di fuga.
In questo transito si pongono domande, si forniscono notizie, si raccolgono e si dettano testimonianze : “ chi lasciava il perduto estuario / non riportava che pochi segni / e poi anfore, amuleti, carte della città segreta / di rari cacciatori, oltre i tumuli disfatti “ (Vallechiusa) (pag.14) .La ” Città segreta” balugina sempre al di là di un - muro d’ombra -, è sempre in un “altro paesaggio” , in una primavera da “ spiare in mezzo ai rovi “. E’ una ricognizione della vita che scava” umili certezze” nel “ chiuso nocciolo del tempo / con dolzore e plazimento “ è una continua macerazione per squadrare l’ostacolo, per sciogliere il dubbio in agguato quando “ le penombre antelucane “ non accendono ancora il chiaro folgorante del giorno, o la primavera tarda a sbucare dal fiorame: “ capita alle volte, / che la bufera annulli i confini, / offuschi i cari nomi nella mente, / metta alle strette il bucaneve / che tanto vuol fiorire” (Il bucaneve), (pag.43).
La registrazione di questo percorso avviene per mezzo di una scrittura metaforica che si adegua al variare delle situazioni correlate al mondo interno e a quello esterno o “altro “, quest’ultimo meno visibile eppure ipotetico e ipotizzabile nel fluire di un discorso che diventa - racconto - o - storia - in un processo “ teso a raggiungere una dimensione sovrastorica nella quale vengono fissati con notevole spessore metaforico e ( metafisico ) simboli archetipi e universali “ (Luigi Fontanella, su Misure Critiche nn.68-69, anno 1998, pag, 13 di Poeti d’oggi: appunti per una campionatura), volti ad una ricerca etico-morale per la quale sono riposte le ragioni di questa poesia che “ reclama la morte prima della morte, il sogno prima della realtà, il fantastico prima del chiaro e del distinto, in un alone di mistero, parapsicologia e magia” (Gaetano Salveti, su Nuova letteratura, anno 1985)

Ne “ Il giro del lazzaretto “ Forum Q/G 1984 - gli scatti psicanalitici e psicoespressivi prolungano, ancora una volta l’atmosfera di attesa verso “nuovi passi-passaggi, prima ancora che” appaia “ l’alba /, che si faccia “cerchio attorno ai gelsomini” (Circo “Magnum”) , (pag.46). Il percorso si effettua sempre tra “degradate piste e dune” (pag.16) , su “irti greppi , dentro anfratti o tane” (pag.20) ,“ al largo dei carriaggi e di qualche piccola lumière“ (pag.31), ora lasciando alle spalle “ ruderi e radici / , dopo un anno davvero effimero e crudele “ (pag.45) ora facendo trasparire “ un segno o un varco/ tra sparvieri di roccia e di voliera” (pag.50) .
Con “Moviola d’inverno”- Ripostes-1992-, prosegue “la storia perenne e provvisoria di un’idea di vita e di morte, che tende a farsi immagine di sopravvivenza e di suspense. Come in una sequenza cinematografica, le parole snodano i loro intrecci segreti , confrontandosi, opponendosi, risolvendosi in un flusso continuo di coscienza....sino a sfociare nell’eterno estuario di una recherche à rebours e in progress, “ (Sintesi della prefazione di Francesco D’Episcopo al volume Moviola d’inverno.)
Anche in quest’ultimo volume la denuncia dell’esilio e il desiderio di ricerca rimangono elementi determinanti come messaggio -cifrato-, “in un allucinato speculum esistenziale, nell’intimo scambio di idea e di immagine, di memoria e di profezia, di dialogo e di monologhi ossessivi” (Francesco D’Episcopo) , con un sommesso periodare intorno alla dialettica dei vivi e dei morti visti nella loro particolare condizione di -trasmigranti e trasmigrati- in un mondo in cui ognuno è portato “ a fare domande, a chiedere notizie dell’angelo nocchiero/ che da secoli passa indisturbato in mezzo ai vivi,/ mentre si fa gelo tutt’intorno, cade la pioggia/ ed è tormenta per le anime all’aperto” (pag.37) ; e altrove “nessuno crede / che vi sia più speranza/ là dove Dio coltiva fiori nei bui giorni di disfide o rese” (pag.28) .

La visione del negativo apre ampi spazi mentali alla problematica del - naufragio - dove “tutto è bruciato, defoliato,/ raso a pista come un valico dello Spluga o di passo Rolle”/, (pag.27) mentre ” fuori il fossato genera paura/, ingigantisce pensieri e ombre”/ in chi uscito nella notte/ va in cerca di case e di tiepidi motel”/ (pag.26) , o ci si ferma, per un attimo, al - fuoco dei bivacchi- o nei - piccoli vivai - a ipotizzare che “il mondo” non è questo bosco brullo per la troppa neve di dicembre”/ (pag.35) e l’immaginario va oltre la stessa - fiction - del “viaggio” alla ricerca di possibili “varchi” fuori da una realtà in cui ”si risulta storicamente assenti e si è portati a misurarsi con la minimalità di una cronaca avida e assurda”. (Francesco D’Episcopo)

Per questa via si centralizza la visione della morte e la precarietà del tempo. già presenti in “Astuccio da cherubino”” Q/G 1978, che precede l’uscita di “Carte della città segreta” e de “Il giro del lazzaretto “ , con quella particolare atmosfera circoscritta nelle - Epigrafi - , “ dove al di là del commosso partecipare ( che è un fatto del tutto ovvio), quel che colpisce è il modo di insicurezza con cui la partecipazione si risolve; l’inquieta incertezza, il “ dubbio”, la “titubanza” ( sono motivi lessicali egemoni) sulla reale consistenza di un rapporto sia pure dialettico col nostro caro estinto, da qui la vicenda del “fingersi”, dell”attendere un segnale”, perfino dell’ostinato “attendere nel vetro che si incrina/ il tuo graffio dall’al di là, e del disagio, dell’interrogare, del rinunciare, dello stesso convincersi, sentire come l’immagine cara vada sempre più appartandosi “ in penombra .“ (Giuseppe Zagarrio, Febbre, furore e fiele, Mursia 1983, pag.585)
Da questa tensione espressiva dell’assenza, vista come frattura della vita e dei rapporti familiari, nasce il progetto dell’avventura dentro e fuori il fitto erbario botanico nel quale si consumano le espansioni mentali, tra continui smarrimenti e ritrovamenti nel momento stesso in cui pare attuarsi la percezione di qualcosa che vive e sta oltre la difficilissima - trance de vie -, come un Oriente smarrito.
Su altri versanti strutturali e linguistici si pongono invece le opere successive a Moviola d’inverno, in particolare: Le finestre di Magritte, Bouquet, Conversazione Galante, e Un burberry azzurro,” che costituiscono una tetralogia nella quale viene introdotto" nella letteratura italiana lo stile poetico anglosassone e, in modo particolare nordamericano, in cui la tradizione si pone come elemento illuminante di un discorso che dell’esperienza interpreta i lati arazionali e fantastici, in uno stile di rapidi accostamenti ed impressionanti “illuminazioni”(Giuliano Ladolfi, Atelier, anno VIII, marzo 2003).

NUIT

Neppure così, mia nuit che un poco mi stringi
nei tuoi giri di lana,
quando l’albero è già menzogna di frutti
e si recede un po’ tutti dai pozzi artesiani,
si può resistere a lungo
a queste gote a stento illuminate
attorno a stipiti abbandonati
come leggende d’Atlantide e muri di Bikini,
in questi luoghi segnati da alti casamenti
dove mi perdo nel freddo e nel fumo di sere protratte,
neppure così è facile dimenticare
caligini e astri,
ogni giorno a metà strada a metà vicoli ciechi,
soli come domenicani,
le memorie accanto al gruppo di famiglia,
un interno di piccoli elisir e di tristezze,
la rosa sui dipinti
ogni volta come una ferita o una preghiera,
e ovunque - segnali, appunti,
s e r m o n e s per tutti -
o mia nuit che un poco ci recludi
oltre i muri invasi dalle ortensie
come dentro a una città che si chiuda all’alba
con tutte le sue diaspore accese
e come sento, come attendo
i contorni dell’altro paesaggio
dove chiamano i passeri,
troppo pochi perché si parli di essi,
mentre nel verde già accolto s’accorcia il blunotte di maggio
dì, puoi tu con questo affermare che è già primavera?
(da: Carte della città segreta, 1982)

VALLECHIUSA

Il giro delle lucciole sopra le rovine
non offuscava la fragile specchiera
del fiorito maggio di nespoli e di salici
nei paesi ancora chiusi dalle nevi
dove chi lasciava il perduto estuario
non riportava che pochi segni
e poi anfore, amuleti, carte della città segreta
di rari cacciatori, oltre i tumuli disfatti,
come se il vento li avesse sospinti altrove
o dispersi su qualche cima del Lavaredo
dove è vano chiedere notizie del Dio dormiente.
Molti si dispersero prima del viaggio
o chiesero dell’anno che fa più maturi i tuberi nei vasi
se mai vi fossero globi accesi nelle case
o bandiere da portare al vento
chiusi tutt’intorno dal piccolo fogliame
fino alle porte dei freddi lari
dove il giorno si spezza e muta il tempo
in labili vigilie.
Riappari
ma non sei tu il tumulto che preme nelle vene
e fa sicuro il trapezista dell’Holiday on ice
nell’abbaglio che apriva l’intimo paese
dentro un chiaro schermo.
Così morivano le stagioni a Vallechiusa
e ogni pozza era fonte per la volpe
braccata dalla muta.
Stupiva il ritmo delle ceneri,
la costanza delle ore,
la fiamma serbata a lungo
se il fumo che saliva
tutto cedeva nell’incontaminato mese
prossimo a salpare lungo l’angiporto.
(da: Carte della città segreta, 1982)

IL GIARDINO DEI SUPPLIZI

Sebbene l’inverno dilagasse a Sud
col suo crogiuolo di vendette
su un mondo affumicato di gusci e di pagaie
( qualcuno interpretando instabili barometri
pronosticò neve oltre i rilievi di mille metri
e c’era chi desiderava i soli di Cipro e di Cafarnao ) ,
ci si accorse che né i fiumi né il legno delle staccionate
avrebbero annullato i rilievi d’un inverno molisano,
prima che la ragazza, dal cuore un poco crepuscolare,
una Cocotte forse, ne dicesse tutto il bene e il male;
poi accumulando le ortiche
in un gesto che non era né segno né ira o altro,
le chiedemmo il giardino dei supplizi,
qualche rametto d’ulivo e di boldo, le corde tirate a nodi,
la punta del fioretto a taglio sulla carne
benchè sembrasse strano capire il gioco delle pause,
i ritorni delle due ghiandaie,
mentre le carbonaie bruciavano nel piano
un friabile anno d’astri spenti
e la colomba delusa nella sera
ricorreva alle tue mani come ad una provvida stagione,
dopo i soli di Cipro e di Cafarnao
ove si narra che la neve, quando appare,
non sia poi un disguido dell’equinozio
o il colmo del crogiuolo appena rovesciato.
(da: Carte della città segreta,1982)

CIRCO “MAGNUM”

Le ricercate trame della sera,
dopo il grido del lodolàio solo sul marrubio,
lasciavano filtrare una sottile luce dalla lunetta
mentre l’inverno muoveva funivie,
imbiancava la sparuta orchestrina di magiari
al centro della piazza dove esuli banditori
annunciavano viaggi lungo il grande fiume
e cespi rotolanti per le vie
s’offrivano alla folla come messaggi di un mondo ignoto

(quell’assurdo origliare dietro le porte
quando la bufera premeva sopra i vetri ,
era per noi come andare per memoria),

dopo le fabulazioni, le dispersioni di nevi,
lievi su tuguri e fosse, vigilate per multas horas,
attese come i lupi e i cani discesi nelle valli,
e turisti usciti da baite e da cottages,
avvolti nelle lane, gustando caldo vino demi-sec,
vicini a un mite fuoco, soli, dopo il sogno e l’otium,

barattando l’anima, vendendola per sempre
a qualche mercante di vecchi pegni,
chiedevano al nume cresciuto nella povertà dell’ore,
nuovi passi-passaggi, prima ancora che apparisse l’alba,
che si facesse cerchio attorno ai gelsomini.
(da: Il giro del lazzaretto, 1984)

NEL TUGURIO

La luce che vedemmo come bagliore o fiamma,
non era incendio né apocalisse
e neppure fuoco di pira e di pietre sacrificali
dove chi vi giungeva portava viluppi di vita o biche
(non dimenticare in bocca e nel taschino
marenghi e ori. Oh le meste canoe
e i fumi, i gironi ardenti, notte e giorno, alba e sera
e anni lunghi e brevi !),
qualcuno riuscì a riveder le stelle e pasque nevose
nei cimiteri del mondo, il giorno che risale la china
delle ombre
tra orologi caricati a tempo o a quarzo (io non sorrido più
a chi dice che la tristezza è un organetto di Barberia),
né giungemmo mai in vista dell’anno nuovo su ponti e
dune,
né si seppe notizia
di gente passata oltre le mura (ci fu chi mandò
qualche messaggio
cifrato male,
tu ne sai il senso, la logica della metafora?),
poi vedemmo lunghe carovane, mulattiere tracciate da
zoccoli
e da passi, Magi venuti a notte alta da qualche terra
d’Africa
e d’Oriente, comete finite in fumo,
sempre verde, sempre dolce è la nostra terra
quando i giardini mettono prodigi di campo e di azalee,
la domenica la dedicheremo ai lucernari
e sarà davvero un bel mattino d’estate
se passando per le strade, una venuta in sogno o col
favonio
dirà: - Posso amarvi tutti, entrate uno a uno in
silenzio nel tugurio-.
(da: Il giro del lazzaretto, 1984)

IL TALENTO DEL MESE

Con disordine avanza il mese
tra progetti di spoliazione,
Quello che è stato ritorna:
passato spaccato in due
scandito col tocco di pendoli e sfere
quando il verde sconfina dall’orto invernale,
folto di fabule e storie, ariette discrete,
memorie del cupo fumè del giorno
( i boscaiuoli affidavano ai cani l’ira dei lupi,
temevano l’anno delle improbabili fortune),
passato - trapassato nell’ora ultima o secunda
d’altri afrori e visi
come orologi (gatti mogi) su di noi,
su tutte le foglie (doglie) del giorno
(chi partiva non lasciava che labili tracce,
così fu detto e ripetuto, trascritto,
deposto come codice nella fragile voliera),
poi ognuno si disperse come agnello nelle forre,
chi all’aperto, chi dentro tuguri e torri,
gridando, chiedendo lucerne e torce
ai pochi legnaiuoli rimasti nelle vigne
o nell’arida campagna al colmo di funghi e di pietrame.
Allora fu gradito a molti
l’improvviso talento del mese
messi a tacere i passeri dopo l’ultima kermesse.
(da: Il giro del lazzaretto, 1984)

PICCOLI VIVAI

Da questo bosco (un poco brullo per la troppa neve di dicembre) ,
un tempo senza viottoli o passaggi,
con le fiere che si partono “dinanzi al volto”,
come un’ombra nella mente
o un muro di là dal giardino delle ortensie ) ,
si forma la vita, si dilata in un tenue verde
di quadri e piccoli vivai
tra tiepide tisane e amare pozioni ai pasti o a ore
e le oneste figurine di mestiere
quando dicono che il mondo è “altro”
non questo bosco brullo per la troppa neve di dicembre
dove ogni tanto qualcuno passa,
portatore di notizie e di sventure,
e molto si discute della lunga barba di Dio
come una cometa nella notte più silente dell’anno,
quando qualcosa s’attende che sopraggiunga per incanto,
nella casa di fumo e lumicini
come se molta gente fosse venuta a cercare una verità
che da tempo non esiste,
perché fuori fa freddo,
mancano le luci
e qualche insegna per andare oltre.

Il luogo è quello della volpe
che ansima a metà gola nella neve.
D’altro non c’è traccia
e niente è riportato dagli scribi e amanuensi.
(da: Moviola d'inverno,1992)

UNA STANZA

Una stanza troppa angusta , piena di cose inutili,
di libri passati nell’oblio,
piccoli progetti di scrittura
tra rametti di felicità che non danno più fiori
o foglie da mesi e anni ormai,
li ha bruciati il tempo, non hanno età
rosi come sono da qualche tarlo venuto chissà come
dopo un lungo scorrere di eventi,
di messaggi mai cifrati e abbandonati tra scaffali
e umidi ripiani:
è vuoto mondo dentro e fuori
quando nel cielo qualche lampo brilla come un segno
sulla terra dalle mille nascite e morti,
prima che faccia troppo freddo e buio
e per le strade tornino le fitte schiere degli infelici
a fare domande, a chiedere notizie dell’angelo nocchiero
che da secoli passa indisturbato in mezzo ai vivi,
mentre si fa gelo tutt’intorno, cade la pioggia
ed è tormenta per le anime all’aperto’
(da: Moviola d'inverno, 1992)

1
Hai attesi tutto l’anno la primavera
e ora che è venuta hai rinnovato le arie chiuse,
tolto il blazer di Krizia,
dimenticato il vecchio umore
che incrostava l’anima,
lasciando solo la panoramica di Bristol.

Così se ne vanno gli anni
con la casa verniciata a nuovo
per cancellare la polvere e il grigiore,
l’ombra dei quadri ai muri,
un repertorio di monografie:
oh Mary Bloom
ai crocevia non troverai i minibus per Stonehenge,
ma solo cabine rosse
e un esile decibèl della tua voce
per dirci come sempre, ad ogni primavera:
verremo a settembre, nonostante il lungo viaggio
e i colpi al cuore di Alexander.
(da: Conversazione Galante, 2004)

2
Non so che senso abbia
cercare nei cassetti le foto del passato!

Sempre manca qualcuno o qualcosa:
un libro, un quadro,
il portalume di Burano,
o il dizionario della Garzanti
e quel sorriso difficile da replicare,
con Bobby che non crede più a Santa Claus
e la Tracy che sfioriva contando i leucociti,
sai, a guardarla bene,
è come se non fosse mai esistita!

E non abbiamo segreti per restare:
noi viaggiatori di strade oscure:
stelle di San Lorenzo!
(da: Conversazione Galante, 2004)

ANTONIO CARANO

Tra le tante strade che ha percorso e che percorre la poesia quella di Antonio Carano è senza dubbio un piccolo sentiero che si immette ne “La quieta follia del bosco” Edizioni del Leone - 1991 - dove convergono tutti gli elementi fono-etimo-linguistici della poesia giocosa e satirica, soprattutto di quella proveniente dalla tradizione del Dolce stil novo recuperata attraverso madrigali sempre al limite della sintesi strutturale e del verso-illuminato- tra grazia e ingenuità, tra sottili arguzie e leziosità, all’interno di un breve canzoniere - ludico e ironico - che sconfina nel ritmo di polifonie anche un po’ forzate, ma efficacissime nella corrispondenza con le rime e con il linguaggio nella minimalità delle cose e delle storie che debordano verso una - saggezza della vita - espressa in forma di - ballata e di canzone - sul modello trecentesco.
Renato Minore nella sua breve Introduzione al volume “La quieta follia del bosco” rileva che:” Se la poesia è parsimonia, Antonio Carano è il più parsimonioso dei poeti.
Carano stringe al collo la parola e ne ricava un gioco di rima baciata, una situazione volutamente strozzata, due versi che ammiccano alla fonte e precipitano nella battuta finale”.

BALLATA PER NIENTE

Io son di voi regnanti
giullare e menestrello
ho fole nel cappello
e sogni nel mantello.
Non posso dir la verità
perché spiace alle lor maestà.
Il mio mestiere è far lo sciocco
per sottrar la testa al ciocco.
Ma a mezza voce vi dico:
ogni potente ha la testa
nascosta in una foglia di fico
come ognun ch’è pudico.
E’ come un uccello
che migrando s’abbatte sul più bello.

PAESAGGIO CON ALCE

I’ mi trovai fanciulle un bel mattino
a chiedermi con l’occhio assassino
se è meglio gianna oppure il vino.
“ Cavaliere come siete cretino!”.
Era già l’estate di San Martino
e il marito partì per Torino.
Dal divano urlò: “ siete divino “.
A salvarmi poi pensò il destino.

LA RIVOLUZIONE

Madonna intelligenza
perdendo ogni pazienza
prese la decisione
di far rivoluzione
e sovvertendo la scienza
si vestì da demenza.
Ma dimmi fiorenza:
a te il tè piace più
con lo zucchero o senza?
*
Altri testi hanno ritmi e suggestioni pari agli epigrammi dei “Libri dell’Amore “ della “Antologia Palatina” , con i temi della donna infedele e dell’amante furbastro e occasionale, assai vicini al clima di certe atmosfere boccaccesche quando il - relatore - o più semplicemente il -cantore - di storie un po’ piccanti, aveva la malizia luciferina del peccato e dell’erotismo verbale.

AMAMI ALFREDO

Mi strinse forte tra le braccia
affondando tra i peli la sua faccia.
Disse non sei
l’uomo della mia vita credo
ma amami lo stesso Alfredo.

MELO...DRAMMA

Sei proprio una villana
forse anche un po’ puttana.
Però ti amo.
Chiamami pure Adamo.

PIOGGE ACIDE

Tranquillo porto avea mostrato amore.
Solo che piovve dopo poche ore.

EVASIONI

Amor è uno desio che ven da core
e fugge poi dagli alberghi a ore.

SENZA .....TITOLO

Di giugno dovvi una montagnetta
di luglio un jeans e una maglietta

L’OLIO E L’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA

Frate ranaldo do’ si’ andato?
A prender l’olio al supermercato.

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ALBERTO

Mi mandava
strane cartoline
come piccole grida.
Oh armida!
Se veramente mi fossi
chiamato Alberto
probabilmente non ne avrei sofferto.

E qui Carano dà veramente il segno di una personalissima trasgressione che trova il suo aggancio nella tradizione epigrammatica , arguta e sottile , di un Callimaco e di un Asclepiade , con versi ruffiani e maliziosi . .Il fatto è che il - divertissement - non va oltre la stesura degli stessi episodi raccontati, anzi si ferma davanti al ”confine” e al “dubbio “ delle sezioni intermedie della plaquette, e il discorso da giocoso e trovadorico si fa meditativo e crepuscolare . ma di un crepuscolarismo appena accennato di fronte al suono cupo emesso dall’òboe dell’esistenza.
*
Abbaia a lontani abbaini il cane
dell’incerto cavo del caso mentre
la voce còlta nel rapido volo
si spezza nel colpo che improvviso
spazza gli amari amori del chiasmo
del bosco. Botri attraversa l’auriga
dell’aurora che l’erta del monte
attende in un chiasso d’erba chiara
attorta all’atroce atrofia dell’atropa.
Nel salone salomè tra astratte
danze e diatonie astrali si perde
nel liquido lucore di lucide
diatonee.Un solo sogno le resta:
un testardo bisogno di trovare
un pretesto per avere una testa.
*
Un canto s’ode oltre
lo schianto del tuono: un vago suono
un’eco d’ade lungo redole d’aghi
nell’ora antelucana che rotola
lontana verso un silenzio d’alghe.

Fra gli ultimi tremiti
d’ombra si disperdono inquieti
lèmuri nell’oscura trasparenza
della lastra che la strada divide
dagli inganni del bosco.
Neri profeti restano nel grigio
morso del vento
a inventar menzogne guizzi stanchi:
a saccheggiare il tormento che scava
i nostri giorni bianchi.
*
Un attorto groviglio di fiati
attraversa la bruma rappresa
oltre i vetri di questa stazione
come un rauco brusio
un gorgoglio profondo che c’insidia
dal fondo d’una remota stanza.
Un lungo sonno assedia
la nostra dimenticanza.


NOTIZIE BIOBIBLIOGRAFICHE



ANTONIO CARANO è nato a Campobasso dove vive e lavora. Sue poesie sono comparse, tra le altre, su: “Nuovi Argomenti”, “Tracce”, “Arenaria”, “Tam Tam”, “Salvo Imprevisti “,Juliet art magazine”, “Offerta speciale”, “Dismisura”, “Ghibli”, “L’Ortica”, “I Quaderni del Battello Ebbro”, ”Quinta Generazione", sulla rivista giapponese “O e Risvolti. Ha pubblicato presso le Edizioni del Leone nel 1991,“La quieta follia del bosco”, e "Afonie- vecchie e nuove", Gabrieli, 2003.

GIOCONDO COLANGELO è nato a Campobasso nel 1954 . E’ vissuto a Roma dove si è laureato. Ha viaggiato negli Stati Uniti, in Olanda, in Francia e in Germania. Ha curato nel 1980 una “Raccolta di poeti dialettali molisani”. Suoi inediti sono apparsi sulla Rivista ”Nuova Letteratura”. Ha collaborato alla R:A.I., sede regionale per il Molise. E’ ’incluso nella Antologia: “Poeti del Molise”, Rorum Quinta Generazione, Forlì, 1981 e ne: “Il Segno e la metamorfosi” Forum Quinta Generazioni, 1987, a cura di Mario M. Gabriele. Ha pubblicato “Senza recita”, Casa Molisana del Libro Editrice, 1982. Si sono occupati di lui, Mario M. Gabriele, “Tra versi e calembours ” in ”Molise Oggi”, 25 aprile 1982, Pasquale A. De Lisio, in “La memoria, il ritorno e la fuga (appunti sulla poesia molisana contemporanea) in “Misure Critiche” nn.37/39, anno 1980/1981 e in “Proposte Molisane” n. 1, agosto 1982; “Il Tempo”, pagina regionale molisana, del 17.8.1982. Nel 1989 ha pubblicato in edizione privata, ”Il taccuino del sognatore” che raccoglie massime, aforismi ed epigrammi Per la narrativa ha attualmente un lavoro inedito dal titolo: “Ragazzi di canapa”.

CARLO FELICE COLUCCI è nato a Riccia nel 1927 ed è sempre vissuto a Napoli dove svolge attività di medico e di ricercatore. Ha collaborato a quotidiani e riviste letterarie tra cui: “Il Mattino”, “Il Corriere di Napoli”, “Nuovi Argomenti”, “Repubblica”, “La Fiera Letteraria”, “Nostro Tempo”, “Prospetti”, “Uomini e Libri”, “Lunarionuovo”, “Quinta Generazione”, “Tam Tam”, “Poesia”, ecc.
Ha pubblicato le raccolte di versi: ”Feneste’ int’ o scuro”, Roma 1960, “Una vita fedele”, Guanda, Parma 1963;”La Pagaia”, De Luca, Roma 1967; “Poèsies”, Millas-Martin, Parigi 1969, “Placebo”, Lacaita , Manduria 1975; “Preghiera occidentale”, Guida , Napoli 1981; “Chek up” Almanacco dello Specchio, Mondadori, Milano 1983; “La bella afasia”, Lacaita, Manduria 1983; “Memoria e fuga” Edizioni del Leone, Venezia 1987; “A fuochi spenti”, Edizioni del Leone, Venezia 1992, Il viaggio inutile, Ed. del Leone, 2003, La materia dei sogni, Lo Spazio, Ed. D'arte, 2004, Io per le strade, Sabatia Editore, 2004, Il tempo del seme, Gazebo, 2004. Sue poesie sono state tradotte in varie lingue, fra cui francese, serbo-croato, tedesco, spagnolo, greco-moderno. Ha pubblicato inoltre tre romanzi: “La corsia”, Rebellato, Padova 1972; “I figli dell’arca”, Cooperativa Scrittori, Roma 1972- Premio Selezione Napoli 1979-; “I fuochi di Sant’Elmo”, Cappelli, Bologna 1985 , “Il gatto e il Rembrant”” Rusconi 1993

ANGELO FERRANTE è nato a Sepino nel 1938. Laureato in giurisprudenza, risiede attualmente a Perugia. Nel 1983 ha pubblicato “Segni”, Seledizioni-Bologna, raccolta di versi con la quale è stato finalista al Premio Viareggio per l’Opera prima ed ha vinto il Premio Cima, con altri riconoscimenti al Senigallia, a Poesia Nuova, al Cosentino,al Montale e al Premio Nosside.
Ha pubblicato, inoltre, presso le Edizioni del Leone, Venezia 1992 “Concerto per flauto dolce” e per i tipi Campanotto Editore, Udine , 1995- “Làcero quotidiano", "Reperti Fonici", Anterem Edizioni, 2000," Racconto d'inverno", Manni 2002, "Senso del Tempo," Book Editore, 2003, "Dentro la vita", Moretti & Vitali, 2007.
Nel 1985 ha esordito nella narrativa col romanzo “Marirene” nella collana “Gazebo” diretta da Mariella Bettarini e Gabriella Maleti.
Suoi versi sono stati pubblicati in Tam-Tam, Salvo imprevisti, Poesia, ecc.

MARIO M. GABRIELE è nato a Campobasso nel 1940 .Già Presidente del Centro Studi di Poesia e di Storia delle Poetiche ha fondato nel 1980 la Rivista “Nuova Letteratura”. Ha pubblicato “Arsura” Casa Molisana del Libro, Campobasso 1972, “La Liana” Edizioni Ipotesi di Cultura, Canelli, 1976 “Il cerchio di fuoco” Edizioni Ipotesi di Cultura, Canelli 1976; ”Astuccio da cherubino” Forum Quinta Generazione, Forlì, 1978; “Carte della città segreta” S.E.N., Napoli, 1982; “Il giro del lazzaretto”, Forum Q. G., Forlì 1984; “Moviola d’inverno” Ripostes, 1992, Le finestre di Magritte, Bastogi, 2000, Bouquet, Nuova Letteratura 2002, Conversazione Galante, Nuova Letteratura 2004, Un Burnerry azzurro, Nuova Letteratura 2008.
Sulle poetiche degli anni 60/80 ha pubblicato saggi e antologie tra cui: “Poeti del Molise” Forum Q.G., Forlì 1981, “La poesia nel Molise”, Forum Q, G.Forlì 1981, anno IX nn. 79/80- gennaio-febbraio 1981, “Il segno e la metamorfosi” Forum Q.G., Forlì 1987, ".La dialettica esistenziale nella poesia classica e contemporanea" 2000, "Carlo Felice Colucci, Poesie," 1960-2001, " La poesia di gennaro Morra", 2002, " La parola negata", Rapporto sulla poesia a Napoli, 2004," Colucci, un'antologia di interventi critici e alcuni inediti," (1963- 2006) 2006. E’ presente in: “Poeti Nuovi” - I Quaderni di Cultura” n. 1 - Canelli 1974, con presentazione di Giorgio Barberi Squarotti, in “Febbre, furore e fiele” - Repertorio della poesia italiana contemporanea 1970-1980 di Giuseppe Zagarrio, Mursia Editore 1983, in “Progetto di curva e di volo” a cura di Domenico Cara- Laboratorio delle Arti - Milano 1994, e in altre antologie tra le quali:" Le città dei poeti" Guida, Napoli, 2005, a cura di Carli Felice Colucci e in "Poeti della Campania" 1944-2000, Marcus Edizioni, 2006, di G:B: Nazzaro. Sue poesie sono state tradotte in iugoslavo e apparse sulla rivista ”Gradiva.” Nel 1982 la vinto il Premio Chiaravalle con il volume ”Carte della città segreta”, con prefazione di Domenico Rea.

PIER PAOLO GIANNUBILO è nato a San Severo nel 1971 e vive a Campobasso. Ha compiuto gli studi universitari a Perugia laureandosi in Letteratura italiana moderna e contemporanea.. Ha pubblicato un volume di poesie dal titolo ”Ariascensione e oltraggi”, Ondeserene - Campobasso 1996. Sta inoltre curando la preparazione di una raccolta di racconti a sfondo fantastico. Fa parte del comitato di Redazione della Rivista letteraria Altro verso.

ARTURO GIOVANNITTI è nato a Ripabottoni nel 1884 ed è morto a Nuova York nel 1959. Fu uomo politico, drammaturgo, scrittore e fondatore di varie riviste letterarie.
Ha scritto opere di poesie tra cui: ”Parole e sangue”, Labor Press, N.Y.1938, “Quando canta il gallo” Edizioni Clemente e Figli, Chicago 1957; “The collected poem” Edizioni Clemente e Figli, Chicago 1961. Per il teatro si ricorda l’opera ” Come era nel principio”” Libreria Lavoratori Industriali del Mondo Brooklin, N.Y. 1918.

NICOLA IACOBACCI è nato a Toro il 18 novembre 1935: Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli, vive a Campobasso. Autore di saggi critici e letterari, di antologie scolastiche Iperione; Urania; La Prora, Milano .Ha pubblicato i libri di versi; “L’orma sull’asfalto” Casa Molisana del Libro, 1965; “Rocce di tufo”, ibid. 1969; “Coste San Rocco” La Prora, Milano 1974; “Sotto il barbacane” ibid. 1976; “La pietra turchina” ibid. 1978; “Il passo dello scorpione” ibid. 1980; “Il diavolo senza corna” ibid. 1982; “DI/spero (Parole al muro) L’Airone, 1985; “Il lucchetto cifrato” ibid. 1987: “La volontà d’essere/Volontè d’ètre - edizione bilingue; traduzione francese di Patrice Dyerval Angelini dell’Università di Nizza, ibid. 1990. In Venezuela sono usciti due volumi tradotti da Michele Castelli dell’Università di Caracas, “Poesìas”, Editorial Vis, 1977 e “La piedra azul turqui””, Eeditorial Orinoco, 1980.
Iacobacci è Autore del dramma “Il lupo tra le lamiere”, R.A.I., Radiodue nazionale, 1983, del romanzo “La tela dei giorni” Liguori, Napoli, 1987, dell’opera teatrale “La giacca a doppio petto”, edizione televisiva nazionale, RAITRE, 1987, del volume di monologhi “Le radici del silenzio”, Liguori, Napoli, 1989, del romanzo “L’unghia incarnita”, Fratelli Conte Editori, Napoli, 1992.
Nel 1992 ha pubblicato “La parabola del volo”, L’Airone Editrice, una raccolta di poesie di 260 componimenti.

GIUSEPPE JOVINE è nato a Castelmauro nel 1922. Vive a Roma ove è Preside nelle Scuole Medie. Svolge anche attività pubblicistica: suoi scritti sono comparsi su: “Paese Sera”, “La Fiera Letteraria”, “Nuovo Mezzogiorno” e si trovano anche in antologie scolastiche per le Scuole Medie e per i Licei. Con Tommaso Fiore ha diretto la rivista “Il Risveglio del Mezzogiorno”. Giuliano Manacorda, Umberto Bosco, Tullio De Mauro, Pietro Cimatti, Tommaso Fiore, Luigi Volpicelli, Piero Bargellini, Massimo Grillandi, Walter Mauro, Gennaro Savanese, Franco Simongini, Ugo Reale, Giose Rimanelli, Raffaele Biondi, Gianni Barrella, Mario Lunetta, Sabino D’Acunto e altri si sono interessati alle sue opere. Ha pubblicato per la saggistica: “La poesia di Albino Pierro” Ed Il Nuovo Cracas- Roma 1965; un saggio citato nella bibliografia essenziale della Storia della Letteratura Italiana di Giuseppe Petronio e in quella di Cecchi e Sapegno; “Benedetti Molisani” Ed. Enne- Campobasso 1979 “ Marcello Scarano e la sua pittura”- Scarano, Campobasso, 1986; per la poesia: “Lu Pavone” Adriatica Editrice- Bari 1970, una raccolta di versi in dialetto molisano incluso nella rosa delle opere finaliste al “Premio Lanciano, 1970”, “La Sdrenga” Ed. Enne, Campobasso 1979; “ Cento proverbi di Castelluccio Acquaborrana” Ed. Enne 1991;“Chi sa se passa u ’Patraterne” Ed. Ventaglio, Roma 1992. Per la poesia in lingua ha scritto il volume ” Tra il Biferno e la Moscòva” Cartia Editore 1975, Roma; per la narrativa: “La luna e la montagna” Adriatica Ed. Bari,1972.

GENNARO MORRA è nato il 22 novembre 1922 a Venafro . Laureato in giurisprudenza ha collaborato a riviste e periodici letterari. Saggista e scrittore , vive attualmente a Roma. Ha pubblicato per la poesia:” Solstizio d’estate” Gastaldi Editore, Milano 1951; “Parole udite domani” Scharz, Milano 1953; “Un grido tra le mani”, Rebellato, Padova, 1959 “Memorie di lei”, in edizione privata e con lo pseudonimo di Andrea Morghen, Roma 1972; “Viaggio nel deserto”, Firenze Libri 1988; sue poesie sono apparse in La fiera letteraria, Momenti, Situazione, Poesia Nuova, Quartiere, Quinta generazione, Prospetti. E’ stato segnalato al San Babila ed ha vinto a Firenze il Premio La soffitta 1956.



GIUSEPPE PITTA’ è nato a Oratino nel Natale del 1949. Giovanissimo pubblica un volume di poesie e inizia una fattiva collaborazione con alcune riviste letterarie e politiche. Intensa la sua formazione poetico-culturale sugli scrittori latino-americani. Si dedica anche alla grafica ed alla poesia visiva. E’ presente con suoi testi in numerose antologie di poeti contemporanei. Per alcuni anni,, impegnato nel lavoro sindacale come dirigente della cgil del Molise, ha prodotto poche ma apprezzabili occasioni culturali: gli intermezzi poetici di un libro di antiche fotografie dedicate ad Oratino ed alla sua gente: alcune apparizioni, con la lettura degli ultimi lavori, in incontri organizzati in vari centri molisani; interventi poetici e critici nei cataloghi di presentazione di mostre di vari artisti. Già presente in “Il segno e la metamorfosi” Forum Q.G. 1987, ha pubblicato il volume di versi: “Giocare di vento” Edizione D’Arte A x A , Roma, 1993.

FILIPPO POLEGGI è nato a Castropignano il 21.10.1944. Giornalista, pubblicista Redattore di “Proposte Molisane” e Direttore di “Molise Oggi “, corrispondente dell’Avanti. Ha fondato il Premio letterario nazionale “Poesia Nuova” ed è Presidente del “Circolo dei poeti”. Svolge intensa attività sociale e politica . Ha pubblicato “Poesie di un giovane “.- Il naif-poesie racconto - Poesie per il Molise” Edizioni Studi e Ricerche 1971 .La critica più qualificata si è occupata della sua poesia con saggi e recensioni.

GIOSE RIMANELLI è nato a Casacalenda il 28 novembre 1926. Vive a Pompano Beach Florida. E’ Professore Emerito dell’Università di Stato di New York, Albany. Scrive in italiano e in inglese. Ha pubblicato :“Tiro al piccione” (romanzo) Mondadori, Milano 1953 , con ristampa nel 1992 presso Einaudi; “Peccato originale”, (romanzo) Mondadori, 1954; “Biglietto di terza”- (narrativa) Mondadori, 1958; “Una posizione sociale”, (romanzo) Vallecchi, Firenze, 1959: “Il mestiere del furbo”(cronaca letteraria) Sugar, Milano 1959; “Tè in casa Picasso”, (commedia) Il Dramma, Torino 1961; “The French Hom” (commedia) 1962 ”Lares” (commedia) Il Dramma, Torino; ”Modern Canadian Stories”(antologia critica del racconto canadese) 1966; “Carmina Bla-Bla” (poesie) Rebellato, Padova 1967; “Monaci d’amore medievali” (poesia tradotta e adattata) 1967; “Tragica America”(saggi narrativi su U.S.A. sessanta) 1968; “Poems Make Pictures Pictures Make Poems”(poesia visiva (concreta) per bimbi, 1971; “Graffiti” (romanzo); “Italian Literature: Roots & Branches” (saggi di letteratura comparata dall’A alla Z italiana anni settanta) 1978; “Molise Molise”(memorie: autobiografia/romanzata) narrata, 1979; “Il tempo nascosto tra le righe”(racconti),1986; “Arcano” (poesia) 1990; “Moliseide” (poesie in dialetto molisano) 1990/1992; “Benedetta in Guysterland” (romanzo in inglese) che ha ricevuto :”l’American Book Award nel 1994 “Alien Cantica An American Journey” (poesia/diario) Peter Lang 1995; “Dirige me Domine, Deus Meus”(saggio) 1966; “I Rascenije” (poesia in dialetto) MobyDick, 1966.
Altri titoli sono in preparazione per il 1966: “Detroit Blues” (romanzo stampato in America, in italiano) ; “La stanza grande” (ristampa presso Avagliano Editore di: “Una posizione sociale”; “ Da G. a G.: 101 sonnetti (sonetti a 4 mani) di imminente uscita a New York con traduzione in inglese di vari noti italianisti; “ Accademia ” (romanzo) in inglese, in corso di stampa. Notevoli i contributi critici su Rimanelli, in particolare quelli di Accrocca, Manacorda, Tedeschi, G. Jovine, Faralli, Martelli, Reina, Spagnoletti ,Fontanella, Granese Serrao ecc..

VINCENZO ROSSI è nato a Cerro al Volturno il 7 luglio 1924. Laureato in lettere ha svolto attività di insegnante nelle scuole molisane. Collaboratore di periodici e riviste letterarie., ha pubblicato le sillogi “In cantiere” Gastaldi Editore, Milano, 1960; “Dove i monti ascoltano” Gugnali Editore, Modica , 1973; “Verdi terre” Forum Quinta Geneerazione, Forlì 1979; “Il grido della terra” Forum Quinta Generazione, Forlì, 1987. Ha scritto diversi racconti: “La memoria del vecchio” Editrice Italia Letteraria, Milano 1975; “Il tarlo” Forum Q/G. Forlì 1977; “La terra e l’erba” ”E.Di.Ci. Editrice, Isernia, 1984; “Il Cimerone” Editrice Il Salice”, Potenza, 1990 e alcuni romanzi : “Conto alla rovescia” Gugnali, Modica, 1973 ;”Il Ritorno” Forum Q/G. Forlì 1983; “Fonterossa” Cosmo Iannone Editore, Isernia, 1987; “Lola” Edizioni Il Ponte Italo/Americano, N.Y. 1991. Notevoli i saggi sulle sue opere.

LAURA VITONE è nata a Sepino l’11 luglio 1911. Ha pubblicato due volumi di poesia: “La notte della luna” Pellegrini Editore, Cosenza, 1973 e “Lettera immaginaria” Forum Quinta Generazione Forlì 1982. Diego Valeri e Marino Moretti sono stati i primi estimatori delle sue poesie pubblicate su “La fiera letteraria”.

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