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sabato 22 maggio 2010

Ritratto di signora


PREFAZIONE

Il titolo Ritratto di Signora, scelto dall’autore per il suo volume di poesie, non è nuovo. Basti pensare al romanzo di Henry James The portrait of a Lady, da cui la regista Jane Campion ha tratto un film nel 1996, con Nicole Kidman, Shirley Winters, Barbara Hershey, John Gielgud e John Malckovich, o agli studi per il grande Ritratto di Signora di Giacomo Manzù, o al testo Portrait of a Lady di T.S. Eliot, incluso in Mercoledì delle Ceneri, o ancora, al Ritratto di Signora in Raso Rosa Lyrics di Roberto Vecchioni, per comprendere come questo titolo sia preferito non solo dalla cinematografia e dalla letteratura, ma anche dalle arti figurative, perché dotato di grande fascino e mistero. In Allegories & Macabresques, a cura di Paola Bonini, Andrzej Dragan, fotografo polacco e fisico quantistico, fa propria la tesi secondo la quale”la definizione di ritratto non è la rivelazione della verità su un determinato modello. Chi la pensa in questo modo, precisa Andrzej, non troverà alcunché di interessante nella mia fotografia in quanto l’elaborazione informatica consente di reinventare il ritratto che non appare più come semplice riproduzione della realtà ma diviene interpretazione credibile, spesso metaforica”.
E’ un po’ come accade nel volume di Mario M. Gabriele, Ritratto di Signora, dove il titolo non è correlato ad un determinato modello, ma ad una galleria di “soggetti” che, sottostanti il ritratto principale, si fondono in un’unica panoramica, dove la scrittura poetica si fa pellicola simbolica di microstorie pubbliche e private, nate dalla “metamorfosi dell’oggetto”, come rileva Rimanelli in un altro volume di Gabriele “Le finestre di Magritte” (2000), citando il critico Werner Haftmann.
Ritratti, dunque, realizzati nella più completa eterogeneità dei temi, attraverso il linguaggio della memoria e la rivisitazione del passato, espressi con la sintassi delle immagini e delle emozioni, modulate da un’onda musicale, che è un co-elemento nella struttura stessa del testo di cui riportiamo qualche esempio: “Fermati a vedere se Mamma Rose / si è smarrita nei ricordi /, quando stava sui balconi / a curare il millefoglio /. Fermati, e non dire nulla di ciò che era /, se prende ancora la passiflora /, dolce, come il nostro sauvignon /. Sosta, ma non fermarti molto / in questa casa che fu degli avi /, dove passavano figure / e nei campi brillava il primo gelo di novembre”.
Le — occasioni poetiche--, oltre ad essere un momento di indagine e di stile letterario, si immettono nei cataloghi della storia, passata e recente, soffermandosi intorno ai fatti di Torquemada, di Spandau, del Muro di Berlino, e dei villaggi del Mekong, in un remake di immagini dentro e fuori le distanze mnemoniche: “Quel Muro, Dimitrov, troppo lungo / di vedette e fil di ferro / ha lacerato il corpo e l’anima /, il nostro Novecento”, come certi episodi di malumore urbano: “E’ tornata con sorpresa la figlia inglese / tra check in e cefalea /, con valigie e un best seller /, e un dialetto metropolitano / che ha allarmato i canarini peruviani /. Si è portata dietro il 68 /, la rabbia delle piazze /, come in questa città Gomorra /.Sai, mi dice, uscita dal suo jet lag /, non tutti eravamo di sinistra /, accadde di tutto, e fu un vero manifesto”.
L’omologazione plurilinguistica, già presente nella tetralogia- Le finestre di Magritte (2000), Bouquet (2002), Conversazione Galante (2004), e in Un burberry azzurro (2008)-, permette di accedere anche in questo volume Ritratto di Signora, in un ambiente di plurali interazioni, frazioni del passato e del presente, prelievi di citazioni poetiche e di sigle intermediali, con qualche ripiegamento guidogozzaniano, correlato alla biologia dell’essere e alla incarnazione del tempo perduto: “Se me ne andassi di qui, non si accorgerebbe nessuno /Signorina Felicita, il mese più bello è stato maggio”.
Nella violazione dei luoghi in cui si concentrano i flussi di coscienza, si aprono le vie del ricordo, con alcune lettere indirizzate agli amici, sottratti da un’ombra boschiva, con repentini attacchi di rara affabulazione:
(1): “Di quale età parli, Ernesto, di quale mondo / se mancano perfino i porti, le uscite laterali /, e ora, eccoci a ravvivare le lampade votive /, le anime arrese al nulla /, ancora le cerchiamo per ricomporre un volto / una famiglia, in questa estate già alle porte / con i pensieri come catacombe”;
(2): “Ma l'hai amata davvero questa vita, Giulio? /. Il giallo, l’amaranto, il pallore del tuo viso /: tutto si decideva in un vetrino /, stillante turbamento il codice nel sangue /, la sfortuna di non essere tra i centenari”, e ancora proseguendo nella lettura: “passano senza traccia gli anni a venire /, rutilante fuga delle cose" …. Molto si sa del tuo viaggio /, del nostro, mancano le mappe, Le terre del Sacramento, le donnine allegre / dei bordelli di Lautrec.”
Gianni Provera relazionando sulla poesia di Mario M. Gabriele in Un Burberry azzurro (2008), ha messo in rilievo”contenuti e forme all’interno di ambienti poetici, autoctoni e metropolitani, con esiti di scrittura variabili, e con propri cronòtopi letterari….nella bipolarità di un linguaggio biodinamico, in cui anche i correlativi oggettivi si prestano, adeguatamente, ad altrettanti riferimenti dell’anima, come in una poesia filmica, contrassegnata dalle sequenze della vita”.
C’è un testo nel nuovo volume, che si propone come un — Ritratto - biografico del poeta che, attraverso la voce di un maggiordomo racconta alcuni aspetti privati della sua vita. L'incipit della prima quartina tratteggia un ambiente esterno, sereno e rassicurante, riattivando nella memoria episodi da vecchio album, al di fuori di ogni malumore esistenziale: "Buongiorno, signor Michael /, sono tornati i colibrì sulle guglie del castello / e la primavera non è poi così lontana /. C’è aria di chiesucce in questo studio /, e non vedo come si possano conciliare cielo e terra /. Esca! Troppo ha cantato i fumi di ciminiere e solfatare”. E che sembra un invito ad entrare in un nuovo spazio albeggiante e solare, sebbene la mitologia della degradazione biologica della vita rimanga per Gabriele, una costante oggettiva, la cui presenza rende particolarmente significativo il contenuto psicoideoepressivo, nei confronti di una poetica formalizzata come:" un canto d'armonie sepolto". Altrove il discorso assume toni critici e ironici, di fronte agli avvenimenti geopolitici:“Il signore delle otto, in grisaglia grigio-cenere /, che entra a Downing Street /, e non si sa da dove venga / né cosa faccia con le due girls, tipo Marylin /, un gentleman pronto a prendersi nel deserto il barile-oil / con i suoi G.Man, a dire il vero mi infastidiva /, più delle ricette di Vizzani / la domenica mattina/, quando di sangue si parlava / e un obice squarciava finestre e porte / e non è niente, dicevano, / non è niente / se sulle spalle vi portate un po’ di strazio / dopotutto, non è vostro il calvario / in questa terra pastorale”. Con Glossario terapeutico, presente in Ritratto di Signora, Gabriele introduce un modello operativo, in cui la ricerca verbale diventa conio di più classi etimologiche e metalinguistiche, attraverso le quali, si verticalizza il mito dell’oltre semantico, per poter distruggere la parola, ritrovandola alla fine nella propria riformulazione. Ed è altrettanto significativo questo passaggio quanto più divergente si fa lo scatto disgiuntivo dagli schemi convenzionali. Trattasi di una scrittura con accesso a citazioni farmalinguistiche, e culturali di vario genere “una vera e propria scrittura a collage, e a stesura ipermetrica, dove l’ironia, riveste il senso amaro del tempo e della tragedia, consentendo alla poesia di innestarsi, autonomamente, nella metafora della parola”. (Marco Angelini, su Poetry Wave- Dream, 1 agosto 2008).
Nella sua produzione in versi, Gabriele ha sempre fatto ricorso ad un campionario di metafore letterariamente strutturate,“dove i simboli brulicano un po’ da per tutto, anche là dove non ci si aspetterebbe di trovarli. E sono essi che instaurano, con la simulazione dialogica e/o interrogante una sorta di gnomica iniziatica sui valori della vita e il senso della morte”G.B.Nazzaro), fino a dichiarare:“Ogni tanto avverto diplopia/, tentazioni dalla donna di Bombay / che vuole ch’io cambi fede e religione /, se mai le abbia avute, in passato e ora”, con un affondo che è anche sintesi concettuale e tragica calcificazione:”Mai così fragile è stato il tempo dell’attesa /, che fosse notte o giorno nessuno lo sapeva /, nessuno conosceva i camminamenti /, ma le mura sbriciolate, le rovine, queste sì /. Mai così spenta è stata la stella del mattino /, così vicino il velo delle cose /. Oh piccoli fiori che ancora non nascete /, fiori che mai vedrò spuntare a primavera!”..
E qui si gioca tutto il rapporto del poeta con la realtà, in un universo antropologico e materiale, che mette a nudo le captazioni esterne: “Le brevi giornate di febbraio / non fanno che allungare l’ombra delle pene /, e Dorothy da Sheffield /, dì, si è ricordata della Bambina Malinconia / e di tutti i fiori sparsi al capezzale?”, pervenendo a brevi consuntivi della vita, come piccole gioie: “In silenzio leggiamo le Lettere di Leibniz /, io e te felici di aver dato il sangue ai figli / negli anni guerriglieri”.
Siamo di fronte ad una scrittura che compie il suo percorso tra abrasioni e meste sinfonie come un valzer triste di Sibelius. Questo carattere estetico della poesia di Gabriele costituisce il segno visibile di uno straordinario happening tematico, tutte le volte che vengono affrontate le dimensioni del reale, con le germinazioni delle espressioni e dei contenuti, al vaglio del poeta e del lettore, posti di fronte alle cose intraducibili e misteriose della vita, attraverso l’indagine poetica con le sue sintesi metaforiche, che si aprono a improvvisi squarci di fuga, al di fuori di ogni stagnazione psicologica, come in questo testo: “Bisogna che tu sorrida/.Usciamo da questo quadro di Rembrant/: dimmi che non vuoi morire”, ripristinando, subito dopo, la scenografia originaria nella quale tornano a sdoppiarsi i protagonisti--attori nel gioco di luci con il passato e i suoi ectoplasmi: “Signor Perry, verrà da noi quest’anno? /. Accade di rado, che qualcuno chieda di lei / e dei giacinti caduti dai balconi /. So bene che Jodie vive a Norwich / e che ha sette spade nel passato /: Jodie, miele d’amore /, nebbia, tra le nebbie di Norwich!”.
Ci si avvede subito del mutamento stilistico e dell’immancabile tono anglosassone, come compiutezza di stile nel”lungo filamento delle cose, tra effetti speciali nell’equilibrio della sera / e fermo immagine con ricordo di famiglia/”.
La forza della poesia, ha scritto Maria Corti, in Strumenti critici, n. 15, giugno 1971, “sta nell’osare la lettura di ciò che è nascosto dietro le cose”, e che tendono a venire alla luce anche attraverso il riflesso di questi — Ritratti-, che costituiscono il portale principale dove i miti e gli emblemi si collocano in una zona idealizzata e ampiamente psicoideografica,

Luca Landolfi


LE VIE DELLA POESIA TRA EDITORIA E WEB

Questo volume riporta brevi versi di noti poeti, come adesione alla dichiarazione di poetica di T.S.Eliot, in cui la poesia è “una unità vivente di tutte le poesie che sono state scritte, attraverso la voce dei vivi nell’espressione dei morti “(1).
Le citazioni sono da considerare anche come un affettuoso ricordo di poeti dimenticati dalla società, che non riesce più ad amare la poesia. A ciò si aggiunga l’incapacità della critica ad esercitare il proprio ruolo perché“non interessa proprio a nessuno. Gli editori se ne tengono alla larga. Nel frattempo l’accademia, che ha desacralizzato ogni forma di insegnamento, non sa che farsene del critico, poco funzionale a corsi svelti e a testi di poche pagine possibilmente riassuntive”(2).
L’avvento di internet ha rivoluzionato il mondo della comunicazione, attuando una vera e propria mutazione antropologica dai risvolti imprevedibili, secondo i più esperti mediologi.
Ovviamente, non mancano voci dissonanti “trattandosi di un orizzonte che sembra dar ragione alle più fosche previsioni, anch’esse formulate negli anni Novanta della fase aurorale di internet dall’urbanista francese Paul Virilio (3), in cui l’autore associa alla rete “l’ultimo atto di una guerra totale”. Al di là di ogni possibile catastrofe informatica e dell’uso improprio che se ne possa trarre, resta il fatto che siamo tutti sotto lo sguardo di“un grande occhio più implacabile di quello del Big Brother orvelliano”(4), e che milioni di persone stanno familiarizzando con l’high tech.
Nasce, come ha affermato lo psichiatra Tonino Cantelmi,”l’homo tecnologicus“ (5), che vive di cellulare, di posta elettronica o di e-mail, ossia il digitalista, che non ha bisogno della linotype, ma della tastiera del computer per collegarsi on line con il resto del mondo, e nel nostro caso, con una community letteraria, che legge, registra, invia messaggi di riscontro, superando così gli obsoleti canali cartacei.
In La lettera che muore, Gabriele Frasca ha affrontato il problema della commercializzazione del libro, soffermandosi sul volume “Il Disperso” di Maurizio Cucchi, pubblicato da Mondadori, che a fronte di “una tiratura di 2.000 esemplari, di cui 100-200 sono stati distribuiti gratis a critici, amici, ecc e gli altri, presumibilmente, venduti in libreria o nelle biblioteche“, pone di fatto un problema già noto, che riguarda la collocazione della poesia nel mercato, dove i lettori interessati non superano le 500 unità. Discorso diverso per internet, dove si stima che l’utilizzo del web sia in continua espansione e che navighino circa“25 milioni di persone, (il 44% della popolazione) per oltre 80 minuti al giorno,con una crescita pari al 12%” (6).
Il che non è poco, tenendo presente, che la poesia e la vita sono entrambe figlie dell’oblio e che anche in internet i corridoi di informazione sono diversi, secondo il grado di affidabilità.
Ma questo è un compito che spetta ad altri: all’uomo colto e tecnologico.

Mario M. Gabriele

(1) T.S. Eliot, What is a Classic, Faber & Faber, London, 1945
(2) Paolo Mauri, La critica tra le nuvole, su Eutanasia della critica di Mario Lavagetto,
La Repubblica 30 giugno 2005.
(3) Riccardo Paradisi, Prigionieri della rete su Liberal, 7 giugno 2008, p.13,
Paul Virilio,La bomba informatica, Raffaele Cortina Editore, 2000 .
(4) Riccardo Paradisi, Prigionieri della rete, su Liberal, 7 giugno 2008 , p. 13.
(5) Ernesto Capocci Come il web ci cambia la mente .Colloquio con Tonino Cantelmi, su Liberal 7 giugno 2008, p.13..
(6) Da una indagine conoscitiva sul web, a cura di Layla Pavone (AB) per Affaritaliani.it


1

Aspettiamo ancora un poco i ragazzi del fast-food,
prima che faccia alba e un altro giorno se ne va,
mentre girano i pianeti all’oscuro di te e dei tuoi cari
e Parigi non è Seattle di miti autunni e profumi di violets.

Ti scrivo da Kovice, (ma è come se fossi a Brest
o a Yorkville), con vetrine da vecchia Europa,
e rosse Niva sotto il castello di Spissky Hrad,
per dirti di aver trovato taberne e tabule romane,
tracce di storia e fossili d’arenaria,
perché questa è la sola nostra morte,
non quella di una o più sere e di altre sere che verranno
di sogni profanati, senza lampade e luminarie.

Le notti di dicembre portano comete,
appassionate veglie in una stagione
che è vuoto mondo dentro e fuori.

Semmai avremo visite a Natale
saranno quelle di Laura e di James
col loro bon ton di fine anno.
Mi rattrista lo spettro della luna sui passi di Melchiorre
tanto mi addolora questa barca senza futuro.
E non è ancora l’ora del harakiri,
né dei versetti di Zaccaria
se all’improvviso tornano in mezzo ai rovi i codirossi.

 2

Cara Juliet,
qui dove l’inverno dura più della barba di Santa Claus,
ci siamo arresi al freddo di dicembre
come quei piccoli clochard ai bordi delle vie,
senza bandiere e né futuro;
mi viene da pensare alle notti di Stoccolma,
alle renne venute a cercare gli avanzi di Natale;
tutti abbiamo festeggiato l’anno che passava;
il tempo come uno sparviero
sui pinnacoli di un’America battuta,
l’urlo di Munch
era un passepartout per un inferno alle porte:
le lunghe ore a parlare del punto morto del mondo,
l’anello che non tiene,
sempre in fede obliqua
mi venne uno strano freddo allora,
come una ipotermia
sotto la cupola avvolta dalla neve,
per poi rinascere nei giardini di marzo,
perché i più bei fiori dell’anno
sono i non-ti-scordar-di-me.


 3

Coprilo di terra il passo mai fatto. Sognalo,
di rimpianto in rimpianto, il lampo che non verrà.
Un freddo balcanico si è fermato alle porte di Minsk,
così che l’inverno è stato davvero amico delle foglie.

A sentire Wilson non c’è alba che sia più oscura della sera,
né attimo che duri più di un ricordo.
Cadono a pioggia i giorni del Capricorno.
Si nutrono di terra gli umidi inganni.
Ma ti pare, Wilson, che tutto questo sia soave tempesta?

Dura l’ombra delle querce sui nudi rami di gennaio
e sull’epigrafe di Isabel e Oliveira:
Que Seya Eterno! Meu Amor!

Così si ricordano i morti,
il mistero della separazione,
l’infanzia e l’esilio spirituale.
A volte rinascono nell’ampolla dei nostri sogni,
oltrepassano guadi e canyions.
Se ne stanno muti come Cecil
e i pallidi ghosts nell’oscurità dell’assenza,
dove fanno lumicino Fanny e Annabel,
e la Granduchessa di Swedenborg.
Ed è grazia sottile rivedere le erbe d’aprile
cingere il fiume salato dei vivi,
fino alla bottega di Wanderbitt e di Edwards,
ultimi writers e poeti,
troppo vecchi per parlare di Dio.



4

Non è stato giusto lasciarci
in un gioco che non era nostro.
Peggio di così stanno i pensieri
e la foglia che ingiallisce.
C’è chi viene a dire
di tenere la lampada sempre viva.
Ma l’hai amata davvero questa vita?
Il giallo, l’amaranto, il pallore del tuo viso,
tutto si decideva in un vetrino,
stillante turbamento il codice nel sangue,
la sfortuna di non essere tra i centenari.
Antiossidanti d’occasione il selenio e il Q10
non sono bastati a darti un giorno di bonaccia;
la scia delle flottiglie abbandonate,
l’infanzia, turbolenze di vento e di dolore poi,
ma come si fa a credere alle pattuglie d’angeli,
che fosse questo il disfacimento della tua memoria?
Passeranno senza traccia le stagioni a venire,
rutilante fuga delle cose:
macula negli occhi,
irreversibile cistoide disse il dottore.
Molto si sa del tuo viaggio,
del nostro, mancano le mappe,
Le terre del Sacramento, le donnine allegre
dei bordelli di Lautrec.
Passano le illusioni e in un solo fuoco si raccolgono:
bruciano come le streghe di Torquemada.
Ne echeggia fin qui il loro grido:
ci spiegano da sempre,
che è stata una giusta penitenza,
una sopportabile evanescenza.

5

Madre gentile i giorni si sono disfatti come gelsomini,
tra fumo e cenere s’accende il tuo ritratto di signora;
giorno e notte si confondono nel tempo
lasciando poca sabbia nelle clessidre.

Gennaio entra nella casa con i quadri della sera.
Vibra nel silenzio la melodia di Milosz:
e il sentiero oscuro sarà là, umido
di un’eco di cascate. E io ti parlerò
della città sull’acqua e del Rabbi di Bacharach,
mentre sfiorisce la stella del mattino
e i morti hanno perso le ossa
là dove i sogni sono spariti come uccelli alla frontiera.
  
6

La conversazione non fu più ripresa dopo le note di Bernstein.
Suonò una campana. Cadde dalle mani della vivandiera 
l’anice stellato. Ci fu uno scambio di battute
tra la signora del quinto piano e l’ospite birmano.

Passò la spigolatrice d’anime,
colei che fa di un tocco di campana un giorno di Pasqua.
Ad una figura immaginaria 
s’accompagnò la vedova di Friedrich.
Non fu chiaro di quale felicità parlasse.

Ballavano i sonnambuli della vita la danza di Matisse.
Tremavano le mani di chi temeva di non vedere più l’alba.
Dovrà pure passare l’uomo delle reti,
il pescatore di conchiglie e perle
a dire che c’è stato mare mosso,
poca pesca  e senza capidogli.

Oh Noél, Noél,
come sono lontani i giorni di boschi e di betulle!

 7

Siamo venuti in questa casa
a leggere il Deuteronomio.
Tra cielo e terra
arcobaleni,
frutti di cactus e melograni;
tutto quello che è marcito
è rimasto dentro l’anima.

Betty ama i fiori, cura i quadri di Van Dyck,
guarda l’orizzonte se verrà acqua dalle nuvole sul monte,
se ne sta sola, senza tarocchi e santi
col suo piccolo paniere di sogni e di virtù.

Qualcuno dovrà pure dirle che è cambiata la stagione,
che è l’ora della vendemmia nel giardino vicino casa.
Come tulipani nel tempo ci pieghiamo
a raccogliere i grappoli dai cespi,
svuotare gli armadi di palissandro,
quando suona il grande Benny nel colmo della notte,
nel colmo, Betty!

8

Mi sei sfiorito tra le mani, aligero amore,
mendicante agli angoli delle vie
quando  l’autunno non ha più colori
e il carpino avvizzisce al freddo che sopravviene.

Qui non  ci è dato di vedere altri orizzonti.
Deserta è la mulattiera
come la storia che ci umilia ad ogni ora.

Fantasmi  passano sotto i ponti.
Sostano nella casa dove tu appresti la loro cena
la notte di novembre e di Natale.

 9

Sei andata oltre il giro dei pianeti
a cercare cherubini, il giardino dell’Eden,
fuori dai sogni smarriti per il mondo
come il tuo Dio, emigrante altrove;
il gesto di Florian davanti alle ceneri dei morti:
un inutile divagare fino alle rive del Po
in questo Maggio da unde malum
come se fossimo rimasti soli
in mezzo ai clivi erbosi di lupi ed orsi neri.

Bisogna che tu sorrida.
Usciamo da questo quadro di Rembrandt
se questa è la nostra storia
di verderame nelle vene
dove ristagnano le memorie
come  crisalidi del passato,
oh Helda!

10

Abbiamo sopportato l’infido inverno,
pregato Charlie di non fare brochure per il club privé,
inutile insistere col new dada;
sono cambiati i colori del mondo,
farfalle e rondoni non hanno più patria.

Raus, svegliati da questo sonno di morte!
Il signor Park ha danneggiato le aiuole,
tolte le tende dai balconi
dove non crescono più le foglie di arnica.

Mon coeur, non c’è anno che non mortifichi il passato.
Il canto di Marinella dura ancora nelle canzoni di maggio
e Natalie ha voluto l’album di nozze a colori:
i sogni del passato.

Siamo diventati vecchi Raus,
se anche la mente dimentica la danza delle piogge
quando l’estate fa di questa città
una terra di spenti candelabri e di gocce di cera essiccate.

Tu non lo sai, ma sotto i ponti di London City
passano i morti come fossero skippers.

11

Bloody Monckey aveva già fatto 10 yards
quando tornò indietro attraversando ponti,
e green countries, un’isola deserta
come potrebbe dirsi di una città vuota di chicanos e baiadere,
resistere ad un novembre piovoso,
dopo aver dipinto un cielo blu
fuori da nuvole e tornadi,
sorridendo ancora un poco delle mani di Josephine.

Zygel ha scritto che lascerà la campagna,
aspettando agosto e poi ottobre e dicembre
se ritorna la passione e s’apre a coda di rondine
un sogno di ragazzo ritmando Drum Boogie.

lo dice anche il vecchio venuto da Bisanzio
che a dispetto dei roditori
è un vero cercatore di quadrifogli e di zenzero per la notte.

Il fatto è che non ci si può più fidare neppure dei ritorni,
dolce Deborah, troppo brutte sono le ombre o corvette
come le chiamano chi si sveglia all’alba
e diventa per un giorno l’enigma di un canto inutile!
Io sto bene con Charlotte,
mi rende la vita come una cascata di fiori
nelle acque del venerdì santo;
allora sì che cominciamo davvero a divertirci,
affrontando l’azzurro.
Non a caso le famiglie Zigfrid e Larsey
ci hanno invitato alla festa del sole
domani, a Freiburg.

 12

Il viaggio è low cost con bassa cabina e senza moli
in un giorno di sopportabile follia,
verso un altro cielo, un’altra terra,
come dice padre Mills nella sua chiesetta di campagna,
affollata la domenica  per il battesimo dell’acqua
e il kyrie eleison ai morti di Jabaliya
finché durerà la terra e giorno e notte non cesseranno
con i lieviti dell’anima mai diventati pane.

Forse occorreva una schiera di trapassati
a diradare la nebbia dei nostri porti.
Oh mes amis che origliate il fruscio delle comete,
dite ai vivi che restano in città
di pensare un poco a Carol e Jodie
e a Miss Ingrid di Dusseldorf
che non hanno mai amato il buio della notte
né la polvere dei millenni!

Il viaggio è low cost
con bassa cabina e senza moli.
Prima o poi sapranno
cos’è  l’incantevole leggerezza della vita,
al largo dei carriaggi e di qualche piccola lumiére.

13

E’tardi, Daisy, quasi mezzanotte!
Non c’è più tempo per il breakfast,
cercare l’elisir di lunga vita,
uno stradivario per la fine
nella scorribanda d’aprile.

Ci minacciano le centurie, i codici del Louvre,
il tight nell’armadio stile liberty,
mentre esondano i fiumi sui morti già spogli.

L'anno scorso, a Portsmouth,
Miss Winter cercava, tra ruderi e radici,
come nella piana di Giza,
le nostre assenze già scritte.

A sentire Kaminsky parlare di tavole scisse
è  non vedere la primavera
tra rappresaglie di vento e di gelo.

E sono queste le sere che ci danno più pena,
oh Daisy dai colori dell’alba svaniti,
tu, eclissi di luna: mio sepolcro di neve!

14

Sono riapparsi i convolvoli
nel giardino della signorina Gachet.

La novità è che non si vedono più i filamenti di polvere
sulle LXVII poesie di Postkarten,
né le grigie opaline sul tuo bonheur du jour.

Sono riapparsi i convolvoli, è vero,
ma per coprire le crepe sui muri
della casa di Frantisek Olaf.

A tua immagine somigliamo,orchidea selvaggia,
e tutto il giallo, più giallo del mais,
e il chrysanthellum e il cardo mariano,
la luce del giorno e il buio della notte,
la città di cipressi e olmi,
le rose di Duisburg e la dolce dimora,
il salice bianco e il vischio a Natale:
tutto quello che amammo e perdemmo
con le lacere insonnie e le ariette oubliées
sono segnalibri del tempo
nel dominio di furti e di fiori,
come un respiro a metà, un nocciolo duro
nella laringe!

15

Con garbo e tardiva promessa
ti libero dalla mente i pensieri allo sbando,
la fine di un inganno.

Oggi ti ha riportata a me
un gioco di salvezza che più non m’appartiene
per questa fede che mi lega
ad un’onda di cormorani neri.

Vivere stanca come i respiri
mai portati a fondo;
i piccioni fuori rotta,
nessun necrologio sul Berliner Zeitung;
un Bounthy la vita alla deriva:
solo un’ipoteca per domani,
qualche metafora nei versi,
se mai la leggeranno
il signor Seurel e Edgar da Melrose.

16

E ora che dalle terre di pianura ai boschi autunnali
nessuno più si aspetta miracoli dall’aloe,
che sarà del fumo delle carbonaie
nei giorni che s’intrecciano come gambi di bouquet?

Doveva essere una sera di repertori più che di totale cecità.

Tosh tirò dritto per la sua strada dimenticando il passato,
profumo di talco e d’elicriso,
prima di ricordare
i fiumi d’anni e d’erbaspada,
tenere a bada il flusso dell’anima
risalito da un bookshop di periferia,
mentre cercavamo
Le passage de commerce Saint Andre di Balthus
e la neve cancellava la città e il suo limite,
i morti per acqua e solitudine.

Fu allora che ci avviammo fuori pista,
dopo il disegno dello sciamano, antico, quanto il mondo,
dove il silenzio è ouverture sui marmi
quando tornano i passeggeri di novembre
a ravvivare mammole, sorrisi sbiaditi:
il double face della vita, rassegnata a se stessa.

17

Quanto tempo occorre per raccogliere le croci,
 i vestiti d’una stagione Saint Laurent,
quanto tempo per sfuggire ai colpi di mannaia,
mia inutile rissa, bosco già disboscato,
dove tutti hanno qualcosa da raccontare,
quei vecchi Dialoghi con Leucò
e barracuda intorno a noi,
la malattia di Nancy, un breve batter di ciglia,
e messaggi da Sheffield:
“Abbiamo pensato a voi
come ad uno stormir di foglie dopo la tempesta”.
Come potevamo stringere d’assedio
un amore senza orientamento, né oscuramento,
salutare di qua dalle erbe e calcine,
celato in alchimie di giorni,
la sera portava con sé tutto il nulla del mondo!

Nel giallo dell’autunno moriva il quadrifoglio.

Cupi battiti opprimevano il cuore,
da un finestrino s’affacciò la donna
che mai portò certezza.

Quanto tempo occorre ancora, quanto
per resistere agli anni che verranno
se un po’ ci sbilanciamo sotto la pioggia
e la smorfia ci viene incontro,
nel silenzio delle ore, del lieve disamore.

18

E’ venuto in silenzio il tempo degli specchi
tra immagini riflesse e metonomie di Rubén Dario.

Una nebbia avvolge il giardino e le scale
nell’ora che avanza sui muri e steccati
quando più aspro si fa il lessico amaro.

Ritorna la voce dal fondo dell’anima.
Scaccia oroscopi e sibille romane,
tenta con gli amici di Boston
di essere una sola guida, un unico coro.

Ma è povertà di fede lo scandalo del buio,
la polvere degli anni sulle tombe oltraggiate.

Laura  conosce gli angoli oscuri,
traccia limiti alle albe e ai tramonti:
donna di picche e di cuori
per te ho pregato il possibile varco che qui non vedo.

So che la primavera sarà più crudele delle altre
riducendoci il fiato e il passo.

Senza avviso, e con delicata misura,
anche  la pioggia di marzo ha sferrato il suo attacco.

19

Era un barlume la luce che apriva il varco
alle magnolie assediate dalle locuste.
Su piste oleose scivolava il fango dell’autunno.
Arenavano le tartarughe
come le parole nel silenzio della tua tortura.

Nemmeno allora seppi di tuo padre morto
e della casa col presepe a vista d’occhio.
In quel luogo e in quell’età
finì il declino di nonno Vincent
dopo il canto dell’ùpupa ferma sul balcone.

Adesso mi agita il tuo avvenire.
Solo le ombre entrano nella mia tenda,
ultima brigata nella sera,
prima di scendere nel sottoscala,
dire a Ludwig che la famiglia si è dispersa
in un basso volo di rondini e di cupi inverni.

20

Sei scivolata sugli anni abbattuti dal libeccio,
tutti presenti alla conta della vita,
postulanti d’occasione agli angoli delle vie.

Si va per fiumi e per sacrari,
ma in quale veste? in quale martirio?

Da tempo ci soccorre un’amabile tristezza:
occhi di lince, barre di ferro;
ecco, è venuto il quarto giorno,
il terzo è già passato.

Sono gli stessi che annunciano la sera
voci d’angeli e nasi di circensi.

Magari si facessero avanti
a dire: questo è il mondo,
e qui è la terra promessa e desolata,
e questi sono i fiumi, i lumi, il canto di Sweeney,
il cataletto!

Entra l’arido luglio, spoglio di sonetti;
ammalia le lucciole sfolgoranti,
ci sfrangia da ogni lato.

Mai così avara è stata la stagione!
E’ come se ci avesse tarpato le ali,
strappato il cuore a Wounded  Knee,
oh Naomi!

21

Priscott, ricordi le donne di Venosa
con i piumini gialli e rossi,
come serpenti intorno al collo?
le carezze di Miniù, e la sosta nei metrò:
valigie di panni e di cartone,
con il freddo nei motel
come certi geli di dicembre;
la ragazza che sbirciava
da sotto lo specchio belvedere
le nostre ali d’angeli e di dèmoni,
gli oblò troppo piccoli per vedere il mondo,
e pensare che era una fuga dalla terra
come quei senza nomi sui barconi;
perduto ho il ricordo dei miei cari,
il Longines da tempo non lo metto più,
non s’apre l’azzurro dentro il cuore;
dillo a Betty che il mondo è cambiato,
che non bastano i cigni dentro il lago
a destare le sirenette sugli scogli,
a riportare indietro le donne di Venosa.

22

Non pensò mai ad un pianeta
di uomini e donne salvati dalle acque,
con tante storie che qui non conosciamo,
se non quelle di Hansel e Gretel
finite le compagnie
nessuno  le ricorda,
e mai un cadeau,
solo almanacchi a fine anno,
quei sospiri sui pontili
erano cattedrali di dolore,
fisarmoniche all’aperto,
le scarpe sempre lustre,
cenere i suoi libri, i suoi pensieri…
stabat mater in un solo libro,
lirico ritratto la pena che rimane.

Non molla, resiste al tempo che dilania, 
su questa terra che sbriciola ponti e case,
le chiese del Trecento.

So che prenderà di notte un corridoio,
se ne starà buono nei secoli futuri
sotto le rughe dell’universo,
riducendosi a poca cosa.

23

La stagione sta per finire
e ogni fiore è un inganno dell’inverno.

Spiovente, a taglio sulla carne,
è il meno che si possa dire dell’altezza
che ci sovrasta.

Ci duole sapere del cerchio che si restringe
e dei giacinti che si arrendono alla sera.
Anche questo è soffrire, patire  in penombra.
Non arrivano messaggi, depliant,
piccoli ormeggi attendono.

Signorina Berry verrà da noi quest’anno?
Accade di rado, che qualcuno chieda di lei
e dei giacinti caduti dai balconi.

So bene che Jodie vive a Norwich
e che ha sette spade nel passato:
Jodie, miele d’amore,
mia nebbia, tra le nebbie di Norwich!

 24

Il viaggio è appena cominciato e la casa è desolata.
Non ci sono porte, né finestre, le lacrime sono rugiada,
e il rap è appena cominciato.

Oh non è nulla, proprio nulla, ciò che accade!
pattinatore che te ne vai,
tra formiche e licheni aggrovigliati,
dove il sole più non brilla nel bosco di Winnie the Pooh.

Ti crederanno morto: i borghesi sono sciocchi.
La luna è sulle scale,
c’è un dolore nelle stanze, un bouquet nelle tue mani,
e Patsy abbaia, abbaia…pure il rap si è fermato.

Il silenzio sale in verticale, ci lega ai monti e ai sassi.
Vedi? sono già spuntati due papaveri negli occhi,
due miosotidi su Milly Pooth e Sarah O’Brain.

25

Questo tempo di rapidi tramonti,
la sirena delle sette,
vuote le fabbriche e le chiese,
poche briciole sui davanzali,
l’organetto nelle vie
col suo bolero di nostalgia,
e Madame Drupét, ad un passo dalla porta,
mantiglia nera e zoccoli di neve,
il ticchettio delle ore
come l’orologio della Garisenda,
ma ci pensi quante barche,
quanti  naufraghi son passati lungo il fiume,
le reti per i delfini innamorati,
so che è tardi, che mancano le lucciole in città,
e sono anni che più non viene la ragazza del check-in,
col suo profumo Charlie,
a distrarmi nella notte dai cloni del passato.

26

Tu che accedi nella sera
e leggi la mia vita
come fosse la Stele di Rosetta,
hai ancora approdi di pensieri
nel ristagno delle maree.

Stentano le vocali a formare un nome:
si fanno oscillante sogno i fogli di una storia
che mai dirà cos’é il mondo
col suo miscuglio di mistero e d’alfabeto;
tu albeggi là dove  non c’è più luce.

Gelido, così come è venuto, anche l’inverno se ne andrà
lasciando cicatrici.

Chiudi la finestra, Jenny!
Smettila di vedere se c’è qualcuno che somigli a Willy!
I morti, da sempre, sono insieme a noi,
come a dicembre
i campanelli di Santa Claus.

27

La rondine che da Gerusalemme
attraversava cupole e paesi 
fino al nostro ballatoio, 
da qualche tempo non è più, 
né lancia segnali a chi la chiama, 
se ne sta sola nel suo nido e sono giorni 
che escono capini, il resto della stirpe. 

Sarà una stagione senza pigolii  
e di lettere che mai arriveranno a domicilio. 

Ti trascrivo, senza commentare, 
quanto si dice:
-pagine corrosive, simboli da svelare, 
colore nero pece, nero di seppia, il senso della vita, 
richiami e pensieri conclusivi:
ben definiti il paesaggio
e il tempo che si restringe-. 

Ogni tanto avverto diplopia,  
tentazioni dalla donna di Bombay
che vuole che io cambi fede e religione, 
se mai le abbia avute in passato e ora.

In estate rivedrò Geltrude e Giselle,
bevendo tè all’aperto.
Ti ricordo le pasque illuminate
e i fiori di Baudelaire. 

28

La notte ammazza più di quanto non si sappia. 
Silenzio. Silence! per l’alma che s’invola a la belle ètoile.

Il problema, se mai vi è stato, non ha toccato l’anima; 
il bel casino di Quarto e di Pianura, 
e i 3 CD di Miles Davis come un flash sull’isola di Wight. 

Un febbraio di ceneri ha illuminato l’Hermitage 
e le vetrine di Mistinguette. 

L’amore si è disperso con le onde 
my baby lives across the river 
an’I ain’t got no boat. 
Duro è stato il cammino lungo la Via Romana, 
finire per asfissia, la Shoah..... 

A Canterbury si cercano indizi 
su l’Assassinio nella Cattedrale. 

Ci sono strade da percorrere, città da visitare, 
chiudere la porta al ricordo che tracolla, 
chiedere pietà ai vivi e ai morti.

29
                           I
L’alba ha cancellato ogni ombra.
Buongiorno signor Michael,
sono tornati i colibrì sulle guglie del castello
e la primavera non è così lontana.

C è aria di chiesucce in questo studio,
e non vedo come si possano conciliare cielo e terra.
Esca! Troppo ha cantato
i fumi di ciminiere e di solfatare.

Mi  trovo, ora, a farle da maggiordomo,
con uno stuolo di servette,
buone soltanto a chiacchierare,
tra odore di malva e di mentuccia.

Troppo tempo è passato
da quando Betty si scusò con lei,
parlando di uno spiacevole incidente
nell’ultima sera dell’anno.

Non è bastato rinnovare l’arredo,
cambiare le poltrone e il sofà,
spolverare la biblioteca,
buttare i vecchi dagherrotipi,
e le stampe del Seicento.
Quel libro, così pieno di nomi,
con Carol e Jodie,
che non amavano il buio della notte,
né la polvere dei millenni,
è giunto a West Road?

                            
                            II

Mi chiedo come abbia fatto a vivere nel silenzio!
C’era l’autunno, è vero,
e il rametto di mirtilli
è stato solo un dono di Alicia
per il suo compleanno.

Se questo è il passo della stagione
sarà bene potare gli alberi
perché fioriscano a primavera.

La sua casa è piena di arredi
e di sigari che non ha mai fumato
temendo le vertigini.

Ce  n’è da raccontare agli amici
quando arrivano per il bridge
o per chiacchierare con la signora Wilder
che ha fiori e golfini ed è pure un buon partito.

Qui si canta
il canto d’armonie sepolto.
Dormiamo il sonno dei samurai.
Dio penserà al risveglio!

30

La città muta confini e superficie. 
Trovare le tue radici non è facile 
e non basta una parola 
a sopportare la croce e la catena. 

Il nostro tempo? Un’autostrada nel ricordo. 
Sembrava una tradòtta del 18 il treno per Palazzolo. 
Anni di centella e ippocastano  
con i nostri nomi quasi uguali, 
diversi nell’ultima vocale, 
un ossimoro, il segno d’un amore cinquantenario, 
mai facemmo il giro intorno al mondo, 
né raccogliemmo le palme a primavera, 
oh mio piccolo fiore, le fontane sono malate, 
chi mai ti curerà nella campata? 

Le brevi giornate di febbraio 
non fanno che allungare l'ombra delle pene, 
e Dorothy da Sheffield 
dì, si  è ricordata della Bambina Malinconia 
e di tutti i fiori sparsi al capezzale?

31

Il tempo non ha concesso nulla alla Pasqua. 
Sciolte le campane  
si sono visti soltanto mouse e viperette. 

Ho spento il notiziario, 
dimenticate le formule dei cartomanti: 
je ne veux rien savoir de la vie 
e di tutte le tragedie 
che s’attorcigliano come veleni e spade acuminate. 

L’ultima volta che ho visto Madame Bernard 
era alla Scala e aveva il fascino 
di chi sa legare il cuore ai lacci. 

Arrugginito dagli anni 
il carillon ha smesso di contarci le ore. 

Sembrerà un giro di banderuola 
ma il passaggio dell’inverno non è stato indolore. 

Rotondetta, tanto da ricordare le donne di Botero, 
la Katiuscia di Kiev ha messo piede nella casa 
e nella nostra squilibrata età,  
anche se amiamo ancora gli aquiloni 
e i kayak per superare il mare. 

32

Di quale età parli, Ernesto, di quale mondo
se mancano perfino i porti, le uscite laterali,
e ora, eccoci a ravvivare le lampade votive,
le anime arrese al nulla,
ancora le cerchiamo per ricomporre un volto,
una famiglia, in questa estate già alle porte
con i pensieri come catacombe,
il dubbio del terzo giorno,
misteri sopra e sotto le terre di San Pietro,
a cercare un totem per domani
tra foglie secche e foglie gialle,
come è pallida la vita,
e come è lontana la tua Baden di sole e di pomari
da questi declivi erbosi,
dove più non scendono pastori e greggi
ad annunciare l’alba,
 treni sempre in partenza,
nessuna festa nei quartieri,
e bandiere per il memorial day,
ogni cosa smarrita sta sotto le radici,
vive di lamento,
ondeggia come un valzer triste di Sibelius.

 33

Il tuo sorriso non risuona nelle stanze,
e il fiore di Tarquinia è un segnalibro nel Codice da Vinci,
più non c’è riparo al volo di pipistrelli,
un giglio dura ancora nel giardino:
errante amore chi ti salverà dalle piogge del mattino?
pure ci abbandonano i velari del passato,
ricordiamoci di Spandau, le fisarmoniche nei cortili,
come serenate al chiar di luna,
nessuno fu mai sé stesso, né visse più d’una farfalla,
fazzoletti di carta ai porti e ai treni, e Schindler’s list,
quel Muro, troppo lungo di vedette e fil di ferro,
ha lacerato il corpo e l’anima, il nostro Novecento;
 i villaggi del Mekong, come lumi a mezzanotte,
il male nel codice genetico;
hi l’ha spenta la lampada votiva?
Dal fondo del viale, ecco Witold con le chiavi.

34

Dal salotto al terrazzino è tutto un belvedere. 
Sulla scrivania borse per notebook e webcam
e scene di Jesus Christ
con pescatori venuti alla riva:
la fine di un processo oh Madeleine,
sentiti i testimoni,
rigettati i capi d’accusa.

Tempo di vita, tempo di morte!

Nel backstage rispuntano 
la bicicletta di Duchamp 
e la locandina della Minelli in Cabaret. 
Sarai vestito di viola pallido, incantevole dolore! 
E i fiori sul tuo cappello saranno piccoli e tristi. 

Sulle colline spunterà di nuovo il sole.
Cadranno viole e margherite.
Oh, i lucchetti d’amore a Ponte Milvio!

35

Il fuoco ha annerito le case,
le tane dei docili animali.
A sentire il guardiano del parco
basta poco a bruciare un villaggio.

-Mai -dicono quelli svegliati nella notte,
- mai c’é stato tanto inferno
 in questo borgo di stemmi e di casali.-

Io amavo il giardino di Milly!
Ne curavo i confini e le altezze.

Come siano giunte fin qui le fiamme
non saprei dire!

Di certo, andremo domani ad Oleggio
a cercare bonsai e nani cipressi;
rifaremo il giardino
con i putti antichi e il bianco steccato.

Sarà come tornare alla vita
stando vicino ad una donna amica
quando il gallo al mattino non ha voce, né coda
per segnare la strada di vipere e lucertole,
mentre piano mi sfogli come un vento d’autunno
o un gelo di maggio,oh mia bella di notte, mia morte,
senza lustrini e guepiere!

36

Il segnavento

Questa terra così aspra e dura,
chiara al mattino e oscura a sera,
questa terra di muri e mirtilli neri
è entrata nel cuore come un nido di maggio.

Di poche cose il tempo ci circonda.
L’acqua va dove il mulino gira,
dove stanno i tuoi velieri senza suono d’ukulele.

Ho pensato a te come ad una rondine di mare
quando torna dal passato con la sabbia sulle ali.

Non si sposta più di tanto la nostra vita,
di qualche storia pure si ravviva.
Tu vivi e muori nei pensieri
dentro borghi medievali.

Torna il segnavento sulle case.
Non ha orizzonti, né equinozi da seguire
come il volo della gazza
nel turbinio di foglie sul selciato.

Oh giorno di ignoto destino!
Giorno che torni tra docili attese,
chi mai sopporterà il tuo declino?

37

Sydney Club

Novembre scivola dai tetti
lasciando epitaffi di un unico poema.
Dimmi ci stai dentro, ci stai vicino al cuore dell’abete?
e a quale altezza, a quale misura si perde l’occhio,
e quanta neve dovrà ancora cadere, quanta sopra i cipressi
e il millefoglio?

La luna scopre gli angoli bui.
Oh, la luna su fiori e ori
e piccolissime memories!

Gaudiè teme la notte più degli anni,
riempie i boccali di tequila,
dopo il bacio dell’ultima ballerina,
quella che lasciò per sempre
i ragazzi del Sydney Club,
alle porte di Trezzano,
tra petali di rose e coccinelle,
nella notte, profonda e senza tempo.

Da allora, come viandanti tornano i ricordi:
nulla di strano se ti accompagni ad essi,
se puntuale suona l’orologio di San Bailon,
nulla di strano, vero, Gaudiè?
se c’è chi racconta storie di tre piume leggere,
che ogni anno tornano a farsi vedere
nel prato fiorito dove morirono Nicholas e Tobia
e la dolce Eloisa.

38

C’era nel cortile la violetta di settembre
che non dava ombra alle libellule,
il profilo di un giorno piegato dal tramonto.

Da un altrove sconosciuto tornò la donna
come  corpo o  anima, chi poteva dirlo?

Discese le scale,
a voce bassa dissi: oh, pianta mia,
punge il ricordo come l’autunno sui pitosfori,
tu fiamma, luce che ancora non si spegne!

Poi disparve nel suo altrove mai visto da nessuno,
nondimeno amato da chi bruciò la vita come sterpo.

Da molto lo sappiamo, da molto fanno da lama
le figure dell’aldilà, quelle che non perdonano l’addio,
il senso breve della vita.

Volò l’assiolo schizzato fuori
dalla balaustra antica, col suo ultimo chiurlo.

C’era nel cortile la statua di Cupido,
il pozzo dei suicidi, il tavolo da bridge.
Brillava l’amore di là dal ponte
e non c’era una barca per passare il fiume.

39

L’ape

L’inverno ci costrinse al gelo
portando figure dimenticate.

Ad una fonte rinascemmo.
Fummo un solo fuoco, un’unica radice.

Tornò la Signora dei merletti:
“ Gli amanti mi portavano fiori a primavera
 e non sapevano di un cerbiatto nella foresta”.

Poi il discorso cadde sui nomi.
Bugie innocenti colsero di sorpresa la varietà dei temi:
“Gentleman”, disse, Mary, “è colui che conserva intatto
 il suo peccato d’amore “.

Era un racconto di un’ape
innamorata di un signore.

Di tutte le cose presenti, la più crudele e perversa
era la ventura che ci aspettava.

Spuntò un sorriso, un alito lieve passò
come garbino sulla pelle.
Oh Madame del conflitto d’amore,
mia radice di bosco!

40

Hai puntato poco sul domani
in questi anni che non ci salvano
da un futuro di voli bassi.
Stenta a sbocciare il giglio nella casa.

Da una brace che non si spegne
si stampano sui muri volti e somiglianze,
ed è fuoco la tua pietà racchiusa in un respiro.

Dove un tempo brillava la cuspide romana
ora ci sono silenzio e ombra.
Assorti ci inoltriamo in un pendio che si regge appena.

E Vancouver è lontana dai nostri giorni
passati uno ad uno, come i ragazzi di via Poli:
Miguel, Giovanni, Asturias.

41

Il discorso cadde sui fatti di giornata.
Ne nacque un fuoco di minimi particolari.
Parole occorrevano invece della diatriba.

Il vuoto, il mancamento:
che fosse tutto questo ancora da decifrare?
commutare ogni perdita in verità,
sentire cosa dicono gli abatini, i dottori della chiesa.

L’autunno propizia versi,
porta ad un’officina di parole.

Mai così fragile è stato il tempo dell’attesa,
che fosse notte o giorno nessuno lo sapeva,
nessuno conosceva  i camminamenti,
ma le mura sbriciolate, le rovine, queste sì.

Mai così spenta è stata la stella del mattino,
mai così vicino è stato il velo delle cose.

Oh piccoli fiori che ancora non nascete,
fiori che mai vedrò spuntare a primavera!

42

Daddy, 
dove gli uomini portano maschere di Pierrot 
e lungo l’autostrada sfrecciano le Harley Davidson, 
un saluto ci è dato prima di spegnere le luci. 

Qui, dove un male antico scuote la memoria 
e la sera chiude il volo dei balestrucci, 
dura ancora il bosco dei ligustri 
e non c’è storia che ritorni 
a scavarci dentro l’isola che non c’è. 

All’alba bruciano le Dunlop,  
abbattono i cassonetti, 
mettono la vita di traverso quelli del turnover 
lungo le strade di falò. 

E il futuro ha il colore dei tuoi occhi:
cielo nero, capovolto!

43

Ci sono voluti passi per guardare la città 
avvolta nell’ermellino bianco.

Al supermarket morivano i Cabernet negli scaffali.
Tornavano nella casa il presepe,
le capanne indiane,
le virtù catalogate
così come voleva il libro di famiglia
prima che scendessero le nevi.

M’aspettavo qualche frammento di Saffo e Filodemo,
la storia delle Uri a braccia aperte:
io sognavo le porte del paradiso;
ma non capivo
come si potesse passare da un anno all’altro
come fosse un solo giorno.

Si è ristretta l’ardesia nel giardino.
Cattivo affare questa bianca oscurità totale,
oh Clarence!

Abbiamo fatto di tutto per sopportare il Natale,
il tempo di minuscoli dettagli,
l’ira degli anni affumicati!

44

La nebbia che dai monti diradava
verso il colle dei Normanni,
apriva pagine di storia
in chi sopravvisse alla grazia del destino. 

Sapevamo della china fuori le mura
e  di chi parte ad ogni ora
del giorno e della notte,
prima di passare sotto il ponte
tra scatole di cartone e di bouquet,
residui di ossa e di sbandati
con tante nuvole sopra il capo,
come aureole di santi e di beati,
mentre la donna uscita allo scoperto,
parlava ad una folla venuta a cercare
le luci di Carnabay Street
o di qualche altra città e universo,
dove nessuno incontrerà mai
il vecchio compagno di college,
o il gufo che dal ramo sbirciò il futuro
e volò via.

45

Pioveva senza allarmi nel pineto.
Sbocciava intanto il prataiolo
e sul nido abbandonato
nessuno lasciò fiori.

Ti porterò via, piccolo cuore, da questi lavatoi,
là dove crescono i quadrifogli.

E’ tornata con sorpresa la dama inglese,
con valigie e un best seller,
e un dialetto metropolitano
che ha allarmato i canarini peruviani.

Si è portata dietro il 68, la rabbia delle piazze,
come in questa città Gomorra.
Sai, mi dice, uscita dal suo jet lag,
non tutti eravamo di sinistra,
accadde di tutto, e fu un vero manifesto.

Dei campi di vigne e di girasoli
sono rimasti ruderi e radici,
il tempo che non perdona.

46

Accendi la TV a vedere se hanno ucciso il gobbo, 
ritrovato nel bosco il corpo di Jonny Boy, 
il V-Day a Piazza San Giovanni, 
la Storia siamo noi, 
noi il Nulla, i morti da dimenticare, 
se nevica ancora, se continua 
nel buio luminoso, l'infantile disastro del mondo, 
sbiadito nello specchio il doppio di noi stessi. 

La sera ci guardiamo mentre affondano le rughe. 

Prova a cercare, con il cordless o con il palmare, 
se nel profondo degli spazi 
ci sono ancora Nonno God e Mister Prufrock.

 47

La donna con bouquet e in rosa shocking,
(nel vento di febbraio,
che dal monte di Vernazza 
scuoteva gli alberi, rotolando cespi,
scompigliando il verde dei pinastri),
all’improvviso si fece brezza,
stridulo grido,
come una nota di Gillespie,
mentre sfiorivano le foglie di mal sottile,
piccoli reviews dentro la vita
a sognare alberi e lune,
e neppure un calendario per le date,
le feste di famiglia:
cortesemente ci diciamo addio.

48

A volte vive una vita fatta di sorprese,
oltrepassa mappe e punti cardinali.
E’ viva? E’ morta?
Ha polso bradicàrdico, ma respira.

Non ha nome il tempo che passa.
Buie pareti ad angolo chiuso. Notte.

Dormono Anthony e Joseph
e il piccolo Simon.
Nessuno si sveglia. Nessuno ritorna!
Ricordo e silenzio.
Terminal di uomini soli.
Angolo chiuso. Pareti.

Le pillole nel blister ogni volta a tempo e a ore,
a cosa servono se neppure il narghilè
è riuscito a calmare il sangue,
le notti americane?

Se me ne andassi di qui, non si accorgerebbe nessuno.
Signorina Felicita, il mese più bello è stato maggio.

49

Bello e dannato: non è un discorso da farsi, 
 puntaci sopra qualche penny o tre fiches,
 parlato con Sara senza algoritmi. 

Non si ferma il tempo, gioca come il gatto e la volpe. 
La mano nella bocca della sfinge. 
Smagrisce l'anoressico calendario fino al 6 maggio. 
Serraglio chiuso, sussurrato al muschio che sboccia. 
Ed  è dicembre, my way! 

La ragazza sola sul treno per Oderzo
era uscita di scena, 
lasciando profumi di marzo: 
edelweiss. 

50

Palace Hotel, sera d’agosto 2007. 
Bella vista a picco sul crostone, 
con i delegati della Romagna e il loro slang.  
Irina aveva 12 anni quando venne in Italia. 
Era bella come una regina. 
Così dicevano gli uomini che l'avevano conosciuta. 
Giù nella hall emozioni e musica  
coi pensieri in fuga per il mondo, 
10 anni per dimenticare Ofelia. 
Il tempo non muta le terre dell'anima, 
semmai le scompiglia. 
Possibili variazioni nel mese del Capricorno. 
Ho riletto Marcuse. 

51

In silenzio leggiamo Le lettere di Leibniz,
io e te, felici di aver dato il sangue ai figli
negli anni guerriglieri,
una vita che ancora si stupisce
di un ottobre estivo,
l’acqua sui capillari,
le ore a farci compagnia,
sempre attenti alle api forestiere,
e la cartolina di Jéròme mai arrivata dal Malindi.

Emo, emo, emoglobina, passepartout delle notti corte!
Vittorio rimase poco più di un mese al San Filippo Neri
 e fu la fine.

Che cosa accadde allora? Che cosa fece?
Che bisogno aveva di esagerare con il sidro?

52

Ghiaccia sui vetri  l’ultimo fiato dell’anno.

Ripenso all’armadio,
al volo del tucano  nell’ora che scoccava.
C’erano alle pareti  le stampe di Dubai,
e la foto dei ragazzi:
oggi chi professore, chi capitano di lungo corso.

Oh Vanessa, col fil di tacco nelle stanze,
che cercavi il baule nel soppalco
non so se quello che volevi
era un giorno in verticale,
o la fine del tuo disastro.

Così continuo a intrecciare il mio col tuo destino.
E ripenso all’armadio, ai vestiti un po’ birmani,
a  quando a Capodanno non si ornava il tavolo
di rose gialle.

 53

Ogni tanto togliamo ai dobermann i noccioli d’avellana,
gli amari bocconi al curaro,
portiamo acqua al branco, ai lapidari.

Era d’estate quando una donna ambrata
si fece  scudo d’amore  e cuore di marinaio.

Mia madre si era appena addormentata
con le mani sul ritratto antico
quando le disse:“ tienimi la stanza
dove lasciai il mio aprile”.

54

La stagione soave si diffonde, 
illumina le maschere di cera, 
nella sinfonia di dicembre
basterà questa furia di acqua
a scompigliare la somma degli errori? 

Sopra il ponte dei sospiri 
c’è la spalletta che ti chiama:
-petit coeur, petit coeur di placche atero 
chi mai ti schioderà dai giorni rugginosi?- 

Aprile genera lillà da terra morta,
confondendo memoria e desiderio; 
ti basterà un palloncino-sonda  
a far rifluire nelle vene il lume dei ricordi? 

Sopra il ponte dei sospiri 
c’è la spalletta che ti chiama: 
la sera è più vicina. 
Blue moon!

55

Sorprendentemente, come hai desiderato che si facesse 
è stato fatto: coltivato il giardino con le begonie, 
liberato il colibrì che tanto disturbava
la Dama di Alpignano. 

Sorprendentemente, hai lasciato che i pensieri 
si posassero nel cavo della mano, 
silenzioso dolore moltiplicato negli anni, 
ritrovato il diario di giornata,  
diviso il bene e il male, la bufera e altro

56

Si è divertito tutta la notte il vento 
mettendo in allarme il vicinato. 

Oscillavano i lampioni, 
le insegne della Erg, 
anime passavano in via Byron. 

Clary chiamò più volte dal fondo della stanza, 
cercando una torcia per uscire indenne, 
disse:” hai visto? hai sentito?  
Si è fermata al piano di sotto 
la Dama di Compagnia con i suoi fantocci”.

Oh sospirante sogno, chiuse palpebre 
di ritrovate lacrime! 

Mister Bloom credeva di farla franca 
abitando in contrade  poco frequentate.

57

Bruciano le banlieues, 
da anni spento è il fax, 
le lapidi scolorite, 
una storia di bandiere: 
Palestina, mon amour! 

A Londra oscilla il Brent, 
cambiato è l’asse della terra,  
estinti forse sono gli aborigeni, 
il capo dei Masai. 

Vecchia dimora, grigio cenere, 
come certi vestiti portati addosso tutto l’anno, 
e a Carnevale coriandoli  
fino al giorno delle assoluzioni, 
pure qualcosa ci aspetta la domenica: 
il pane diviso con i figli, 
la notte in un calembour.

58

Per una festa la Caterina si è messa in moto
portando souvenir, il breve filamento delle cose.

Si sente che c’è Aprile, nuovo d’ali e di beccucci.
Qualcuno si siede sul sofà, guarda i quadri alle pareti,
gusta sorbetti Carte d’or.

Arrivano messaggi, anime,
si scruta la lista degli assenti.

Il tempo stringe, vola la civetta,
qualche filo si spezza,
passa di mano il libro di Ken Follett,
effetti speciali nell’equilibrio della sera,
e fermo immagine con ricordo di famiglia;
non abbiamo innocenza né colpa:
solo il probabile evento del caso
nel breve filamento delle cose.

59

Stagione, questa
di pesi e di misure, di corpi alla deriva,
tra morsi di meduse, e ombrellini estivi.
e per te nessuna preghiera,
nessuna terra santa oh Welby!

Brucia la fede come il Bounty,
quel vecchio sogno americano,
finito a Memphis, già prima di cominciare!
Passo di puma, occhio di lince,
cuore di rondine: un solo fiato,
una sola anima,
per tutti i morti dell’Alabama,
la vita a pochi dollari e cents,
absolvo te, Ginsberg,
come facesti per Tom Mooney
e i ragazzi di Scottsboro,
un solo fiato, una sola anima,
e per noi, oggi, vino negroamaro,
Warning!

60

Dopo la Quaresima ci restringemmo un po’:
un pater familias non più tra noi,
come la sua compagna,
e un germano ferito al cuore:
                      care ombre lontane,
una solitudine ci è venuta addosso
né potete dire che non facemmo nulla
per capire il Mondo,
se lasciammo tutto alle sere e ai falò,
ora che un rilievo si è messo in mezzo a noi
ed è sparita la donna che mai portò ginestre.

61

La sera ci colse di sorpresa 
mentre batteva la rabbia del mese. 

Domani la gazza supererà il muro di cinta 
portandosi via i kellogg’s al ketchup. 

Il  panorama non è più quello di prima 
e dove c’era il busterbook 
ora splende una villa. 

Es una casa muy especial, disse Paco, 
y valiosa porque la construyeron mis padres 
con muchos esfuerzos. 
Tiene dos pisos y una buhardilla 
en la zona de noche. 

Sombra y sueno a volte tornano 
a coprire la zona dolore 
del nostro passato. 

Nel verde che avanza 
potrebbero starci anche una chiesa  
o una maison con draps, 
e serviettes de toilette, 
e qualcosa che ancora rimane della vita. 

62

Poco o nulla hanno lasciato i dodici mesi.

Mary aggiunge olio alla speranza,
tiene viva la lampada nel tabernacolo.

Oh le scarpine timberland
non le metterà mica nell’ultimo viaggio?

Ci sono ancora  i dì di maggio,
qualche scampolo di seta Armani
e la casa, arredata così bene,
che sarà facile venderla,
prima che ci lasceranno le care mani,
le belle stanze d’arte nucleare.

63

Accadrà d’inverno o in primavera,
forse d’estate o in autunno,
quando  Dorothy tornerà da Sheffield
a fare domande, a chiedere risposte.

George chiamerà il Comune e la Blu Car.
-Toglierete la polvere sui divani
ma non toccherete nulla dei miei libri.-

Come sempre  i  monti brilleranno di neve
 e i fiumi scorreranno nella valle
aprendo varchi alle amourettes.

Verranno Pasqua e Natale
e resterò solo nella città Zen.

Ci saranno convenevoli,
qualche goccio di rosolio.

Si  tratterà  di un attimo.
Affari di famiglia. Piccola letteratura!

64

Una fattoria nel bresciano,
e un fittavolo di cui non si poteva dubitare,
come l’uomo del miglio verde
non lasciavano trasparire inganni
dopo il furto nella cascina.

Molly sapeva tutto di ognuno,
prima che cominciasse a smarrirsi nella casa,
dimenticare il nome del chihuahua
e di chi le stava accanto.

Una fattoria al limite del bosco
senza viottoli d’uscita,
come il buio della mente,
cieco tunnel, triste Alzheimer!

65

Certe notti a San Basilio
le luci sembrano Manhattan
a risvegliare il sonno delle barche
sugli argini disseccati.

Pure  l’azzurro s’arresta nei tuoi occhi
come la corsa del ghepardo
sfinito dietro la sua preda.

L’estate ha tradito i fiumi,
messo in allarme gli isolani,
inciso il tuo cuore,
nido di vespe e di calabroni.

Nel  locale dove  si fermano i coristi
uno spiritual
chiama a dimora i ragazzi dell’overdose.

Occorre subito un arcobaleno, Eveline,
a mettere pace tra cielo e terra,
a calmare l’ira delle orchidee,
il lutto dei cipressi!

66

Fermati  a vedere se mamma Rose
si è smarrita nei ricordi,
quando stava  sui balconi
a curare il millefoglio.

Fermati, e non dire nulla di ciò che era,
se prende ancora la passiflora,
dolce, come il nostro sauvignon.

Sosta, ma non fermarti molto
nella casa che fu degli avi,
dove passavano figure
e brillava il gelo di dicembre.

67

Se tu vieni in silenzio a chiudermi gli occhi,
tu sei il mio limite umano.

Se tu dormi e da me t’allontani
come rondine nel cielo,
io sono la guida dei tuoi sogni.

Se tu sei alba e tramonto,
fuga e ritorno,
non c’è lama che trapassi
la porta dei tuoi sogni,
la casa del silenzio.

68

Dove c’erano i pinastri
ci siamo guardati come una pattuglia  
arresa al tempo. 

Una fila di case abbandonate,
gli anni passati via, dispersa la brigata: 
chi maestro di sci, chi yesman, 
qualcuno jazzista in un quintetto misto, 
altri in tuta blu a Mirafiori, 
e la vita tornata sola, al centro della piazza, 
dove una volta volavano i rondoni.
 69

A Saint-Brieuc rimanemmo una notte
prima di chiudere le valigie   
soffiando sulla polvere delle cose.

Pago così una vita di porte chiuse
e di fede cancellata,
il senso dell’esistere
su questa terra afflitta tutto l’anno.

Oh dolcissimo amore,
qui, il passato ha l’offerta di marzo
quando scende a valle
con gli occhi della primavera!

70

Com’era bella, madre, la coturnice al mattino
col suo aleggiare sul frontalino della casa:
erano giorni in cui perdemmo la tristezza
per un sorriso sulle guance
e il ritorno alla libertà;
le piante della salute sul davanzale 
e la notte a guardare il cielo e le altre stelle;
io non sapevo che il tuo sangue
fosse nelle mie vene
come un fiume senza scogli
e il passato un graffito da non dimenticare,
tu, fiore di maggio
spuntato in fondo a un vecchio faubourg.

71

                                    a Giulia, per il suo primo compleanno.

Questa è la casa che in te fiorisce
come un prunalbo sul monte antico
quando dileguano le nebbie
con la prima stella del mattino.

Ridi, ridi, piccola alouette,
c’è Chiodino e Winnie The Pooh,
il gatto London ed Harry Potter.

Il lupo è rintanato,
pure il condor sta nel canyon.
La civetta ha lasciato il ramo,
e  le tue sillabe tagliate
hanno formato un lemma
in questo autunno di balestrucci
venuto a curarci gli anni, raspati dalla vita.

72

Il signore delle otto, in grisaglia grigio cenere,
a Downing Street,
e non si sa da dove venga
né cosa faccia con le due girls tipo Marylin;
un gentleman pronto a prendersi nel deserto il barile-oil
con i suoi G.Man, a dire il vero m’infastidiva
più delle ricette di Vizzani la domenica mattina,
quando di sangue si parlava
e un obice squarciava finestre e porte
e non è niente, dicevano, non è niente,
se sulle spalle vi portate un po’ di strazio
in questa terra pastorale.

 73

PIOMBO FUSO

Sono anni, Louisette, che guardi la Senna,
come un uccello il bianco dell’inverno.
Non ti dico, quanta neve è caduta sullo Stelvio!
Nelle cabine c’erano avvisi di keep out,
una guida turistica del Rotary Club,
e un cuore di rossetto firmato Goethe.
Il gelo ha impaurito i passeri forestieri,
inaciditi i mirtilli nelle cristalliere.
Da nord a sud barometri impazziti,
ghiaccio,
fosforo bianco su Gaza City,
tra artigli di condor sulle carni,
oh Mater dolorosa,
che facesti rifiorire il biancospino sulla collina!
Gennaio ha riacceso i candelabri
tra toni bassi e controfagotti.
Non so come tu abbia fatto a resistere alle corde
se il più sottile e amaro filo della vita è il ricordo.
A monte e a valle profumo di tulipani, briefing.
Eppure se ci pensi, capita di morire ogni giorno,
di passare più volte sotto il ponte di Mirabeau!

Ti dico solo che all’improvviso,
finito il piombo fuso su Jabaliya
si sono di nuovo accesi i lampi nella sera,
i fantasmi della Senna.

74

Sii ramo e fuscello,
fuoco acceso e cenere arsa
nell’ora che viene e scolora
come un diamante leso
o un rametto di Ginkgo,
tra foglie decidue,
nel bosco d’assenzio.

Ti fasceremo le mani di garze e di betulle
nel tempo del male, senza riti e magie
o colorate utopie,
oh Signora di nostra crosta terrestre
che conosci i giorni di sale
degli anni delusi, colmi di infusi,
nel breve incanto di un candido nihil,
in questa  pasqua d’aprile,
venuta come un pianto nelle acquasantiere.

75

Messaggi arrivano dal Queens.

Nei vortici del Tower Bridge
c’è chi torna al battesimo dell’acqua
lasciando pescatori e barche,
indiani Havasupai
su vecchie Harley Davidson.

Sarà perché settembre
è andato più in là di ogni barricata,
che si è ancora fedeli alle orme del passato
anche se ci sono state mutazioni,
con aria fredda dai Balcani
e lividi nell’anima.

Al Plaza Hotel c’è musica latina questa sera,
con Buena Vista Social Club.

Inutile sperare nel ritorno di Mary,
trovare il dono di luce
mai sbocciato in questa casa!

76

Settembre,
primo effluvio di mentolo sulle nere ectasie
col vento ponentino
su ogni venula e arteriola!

Oh Joseph, com’è rimasta sola la nostra vita
e come sono lontani i passeri solitari!
Quarant’anni  in un fornetto
a mutare le dita in ossicini.
Resistono ancora le angiopatie,
le stagioni di ristagno,
di lipidi e di tossine.

Eparina, fatina del male urente,
col risi e bisi e Pau D’Arco dopo cena,
brucia la safena,
e mai una corsa in mountain bike,
il mistero dei papiri, il linfedema,
e a notti alterne, la paura nella mente,
tanti  odori di macchia naturale,
con cumarina e vite rossa
come i vitigni di Franciacorta.

A Salamina c’erano bungalow e piscine,
primi piatti di souvlaki, vasche per idromassaggi,
e Tai Chi Chuan, terapie fitoterapiche,
una vecchia edizione di Arroyo del 73
con assonanze pince-sans-rire,
una luna greca sulle ectasie
e ogni tanto flebotropi, stripping!

77

Una parte del tetto è crollata,
non c’è bisogno, Morel,
di rifare le pareti dell’anima
sulla collina di Spoon River.

Legno stagionato ha portato Blondel.

Sarà perché non si andava più avanti
e quel poco che c’era da fare
era attendere un giorno fedele alla vita,
tanto difficile è spalmare di miele
le stanze della casa,
anche se il tetto è crollato
e tutto dovrà essere rifatto daccapo
quando verrà da Stafford
la Signorina “occhi perduti”
a sfogliarci le mani come rametti di ruscus.

78

GLOSSARIO TERAPEUTICO

L’acne ha scavato il derma, doctor.
Bisognerà  passare all’ablazione,signora,
prima delle devozioni della sera.
Non vi è altra speranza, altra cura
dopo il Differin Gel, e il peeling.
non allergenico, non comedogeno,
con  Salicylic Acid e  Lactamide Mea.
Bisogna aver pazienza, Madame,
aspettare  il Bing Ben
stando con monsieur K allo chateau d’Orleans.
Questa è opera di dèmoni e cherubini, di riti Voodoo.
Prima di dormire non segua il Gossip, le lezioni di Baricco,
La solitudine dei numeri primi, le staminali,
le ali dei rondoni, il Catamerone di Sanguineti,
le morti dei poeti ottuagenari.
Ci rallegrano le short stories dei Dream Songs.
Per il septemberfest preghi Dante di non farla incontrare
Farinata degli Uberti; chieda una terzina al lotto.
A Flintstones House, c’è un - tetto bianco a cupola,
muretti di pietra vulcanica, interni freschissimi.
E a Santorini, vi è pure un’ex dimora rurale -
ed un pendio per l’aldilà.
Oh le vocali di Rimbaud:  A, come  Allegory,
E, come Enjambement,  I, come Ipèrbato, O, come Ossimoro,
U, come Underground!
Avevo una volta, mani dolci e cuore gentile,
le azioni Generali finite male nel Mercato Globale,
gli ossi di seppia, le seppioline al sauvignon.