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lunedì 14 giugno 2010

La parola negata (rapporto sulla poesia a Napoli)

Quarta parte
DALLA TRADIZIONE, AL RINNOVAMENTO,
ALLO SPERIMENTALISMO (TRASGRESSIVO)

In questa sezione sono presenti poeti di diversa area generazionale, scelti in base ad un maggiore o minore impegno per la poesia; chi proseguendo nella scrittura in versi, e chi abbandonando tale esperienza per la pittura, come A. Leone e M. Persico, o per il giornalismo, come E. Bruno e A. De Rose, tutte testimonianze che non sono da considerare minori rispetto a quelle esposte nella campionatura antologica. Va da sé precisare che tanto più grande è la mappa dei poeti, tanto più reale è la possibilità che nomi e opere siano sfuggiti al nostro lavoro, non potendo inglobare tutta la poesia d’oggi a Napoli, qui rappresentata, con i vari codici stilistici risalenti alla tradizione lirico-ermetica e neorealista e alle forme più avanzate dei vari sperimentalismi che nei poeti napoletani sembrano resistere tuttora per l’assenza di una convincente azione di risanamento del linguaggio.

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In un’area prevalentemente tradizionale fatta di moduli romantici, neocrepuscolari, orfici e così via, riconosciamo alcuni poeti diversi per sensibilità culturale e capacità espositiva. E’ il caso di Giuseppe Antonello Leone (1914), con i volumi Vi saranno le more ai rovi, Quaderni di Nuova Identità, Napoli, 1984, Eretico, Colonnese Editore, Napoli, 1993), Vènti paralleli, Litomuseum, Maratea, 1999, in cui emergono le ragioni di una ricerca estetica e morale, in controtendenza con i segni del nostro tempo dai quali l’Autore se ne distacca esponendo le proprie significazioni verbali in un personale viaggio culturale all’insegna di una simbologia meridionale che non si sottrae ai parametri della cosiddetta civiltà contadina, vivacizzata da tutta una nomenclatura naturalistica con al centro luminose figure
domestiche, di forte intensità, interiore e memoriale, come nel testo Mia madre, tratto dal volume Vi saranno le more ai rovi, che riportiamo come esempio: Mia madre / ha le mani / come nodi di pioppo /, mani d’acqua / oceano di fatica / piatti giganti / cresciuti per novantacinque anni /. Con le sue mani ha tenuto i muri uniti: / la lesione era grande: in Irpinia il terremoto delle genti è violento. / Ogni giorno / per le terre arse dal sole / le donne vanno / alla Mefite / e gli spaccapietre / fanno polvere / per il libeccio a sera. / Paese senza castello, senza torri. / Paese frantumato,/ dalla tua covata, / solo i vecchi / raccolgono piume bianche / per il cesto della morte /. Riemergono qui tutte le condensazioni realistiche di una poetica legata ad un messaggio umano, a volte triste, altre volte corale, ma sempre luminoso nel ricordo e nella topografia del paesaggio.
Di gusto letterario datato e naif sono i volumi di Santo Feliciello (1919), documentati Nella stagione calda, Rebellato, Padova, 1960, La luna tra le mani, id. Padova, 1962, Non è vicina la sera, id. Padova 1965, La barchetta di carta, id. Padova, 1970, Un dono infinito, Benincasa, Napoli, 1994, A Padre Pio, id. Napoli, 1994, che rivelano un diario poetico di inconfondibile candore nel quale sono fissati con estrema semplicità, il senso del tempo e il mistero della fede, fino alla rappresentazione di soggetti e cose che formano un curriculum di microstorie recuperate dalla memoria e da una limpida trascrizione. Sta per tornare il tempo delle mele. / Nelle sere autunnali al mio paese / l’aria si colmerà del loro aroma. / L’uva sarà già vino / ed i pioppi, ormai nudi, / attenderanno il freddo. / Sarà gustosa la minestra calda / e le finestre, / anche se chiuse, / non sveglieranno la malinconia/.(da:Non è vicina la sera, pag.15).
“Nelle poesie di Santo Feliciello ricorrono motivi e accenti di una schiettezza esemplare. Non vi sono grosse parole, le espressioni difficili, la ricerca affannosa e disperata di uno stile sostenuto a fare il poeta, che è spesso il “fanciullino”, di cui parlava il Pascoli, proprio rivolto a manifestare i sentimenti riposti”. (Francesco Bruno).
Ma si veda anche la testimonianza poetica di Gino Grassi (1923), limitata a pochi volumi: Non ritorna l’alba, (1953) e Caligine, contrassegnati da una lettura della vita fatta di moduli malinconici che evidenziano uno stato permanente di perduta felicità, tra stupori e allarmi in una spirale picaresca ed esistenzialistica orchestrata con accenti brevi e rapidi. (Francesco Bruno in La poesia d’oggi (1945-1965), Padova, Edizioni del Sestante, 1966, pag. 104. Un caso a sé sembra essere quello di Lamberto Maccioni (1925), che non disdegna la forma lirica, con il recupero di figure mitiche del mondo greco. Fidia, Prometeo, Epicuro sono i soggetti-ombre che si riaffacciano alla memoria del poeta il quale ha un modo tutto cristallino di proporsi, facendo riaffiorare qua e là una religione, ora biblica ora classica, dove Epicuro, che dà il titolo alla sua prima raccolta di poesie, (Marotta Editore, Napoli, 1965), è il mito che diventa vita, il saggio che entra nella poesia con una metamorfosi tranquilla, secondo una felice intuizione di Salvatore Quasimodo nella prefazione al volume.
Quando Maccioni si allontana dal suo mondo filosofico e matematico e trae dalla realtà le ragioni di una poesia meno condizionata dalla passione umanistica, allora egli perviene a risultati di concreto approdo formale nella esposizione di valori autentici; ora richiamandosi ai simbolisti francesi, ora alla poesia greca con i ripetuti — epigrammi — nel volume Autodenuncia, Edizioni del Leone, 1987 che, per la varietà delle composizioni scritte tra il 1967 e il 1975 al biennio 1984-1986, producono uno spaccato della visione poetica, con testi impreziositi da neologismi e plurilinguismo, quanto basta per produrre, una pausa e un godibile piacere della lettura, che fanno allontanare alcune forzature semantiche, come in Scherzo, pag.58, in Epigramma n. 6, pag..62 e in Ripetizione n. 2 pag. 90. Ma è anche la retrospettiva storica di una vita privata a tenere banco, con le fulminee pellicole della memoria che riportano il poeta a fatti e situazioni incancellabili, come in Memoria, pag. 87:“Irrigiditi cifre e lettere sul testo / - ne seguo un poco le terminazioni con la punto a stilo / la mente sbalza per non coordinazione / la spinta vitale attenua / la foglia intellettuale si essicca / e la memoria si scioglie. / Ricordi emersi impiombano. / Le mie scuole infantili, il diploma, la laurea, / una privata opposizione politica, / il lampo dell’emergenza sul letto pomeridiano / a mezzo il corso di guerra; / la voce supplichevole di mia madre, / lo scansarsi di casa. / E il salto dei recinti murati, con il mitra a braccio, / nella città d’orto in orto, di giardino in giardino. / Il corpo del tedesco disteso. Il compagno morto. / Questa fu la “mia” epoca. Poi mi raggelo. Il me è pellicola d’altro /”. Pur trattandosi di una pausa riflessiva, si trovano nel volume testi di suasiva tensione e carica umana, per cui, come riferisce Giorgio Luti in Autodenuncia, “Maccioni è in grado di proporre ogni volta la soluzione tecnicamente giusta uscendo vittoriosa dalle sue stesse radici meditative”.
Romanziere, saggista, traduttore de i Cahiers di Paul Valéry, giornalista di importanti testate: Il Messaggero, La Stampa, Corriere della sera, l’Espresso, e di Riviste Ulisse, Mondoperaio e Nuovi Argomenti, Ruggero Guarini (1931), con il volume di poesie Quando bisbiglio la parola Dio, Leonardo Editore, 1991, pone da subito un discorso di area novecentesco-spiritualistica, che non lascia pause o momenti di divagazione, tanto serrato è il rapporto dialogante con un Interlocutore del tutto eccezionale qual è appunto Dio, sempre inseguito dal poeta, tra palpito e rapimenti, chiamato davanti ai dubbi e alle umili certezze, in complicatissimi andirivieni mentali nei quali l’Io diventa grifo inaccessibile nello stupore d’esistere. Di te talvolta si dice persino / che se ci sei non sei buono e nemmeno / cattivo appunto perché sei divino, / ma buona e anche divina credo sia / questa brama di te di cui ripieno è il mondo, e forse altra cosa che lei / tu stesso, Signore, non sei /.
Anche un solo volume di poesie, scritto nel corso della vita può essere un prezioso raccoglitore di sentimenti ed emozioni, ed è quello che ci ha consegnato Elio Bruno (1933), Il pianto degli zingari, Padova, Amicucci, 1959, già segnalato da Armando Maglione in La poesia a Napoli, op. cit. pag. 34, come storia che si affida a pochi temi e a un lessico essenziale ed estenuato. I pomeriggi solitari, il crepuscolo, il tempo che passa con le amare retroflessioni memoriali, sono l’essenza stessa di questa poesia che ama e cerca i toni bassi e le mezze luci in un’atmosfera delicatamente corazziniana che si traduce in tanti piccoli spleen, secondo un’esposizione psicologica che recepisce il senso dell’effimero e fa della luminosità della vita un luogo di mesta incantazione. “Quando l’ultimo sole / è avvampato alto sulle barche / il giorno è crollato sul timo / e i tuoi occhi si sono dispersi nel cielo / E’ triste parlare con te / e un uccello nero è il tempo / che graffia il buio delle pietre/”.
Ma pensiamo, intanto, anche alle forme postermetiche di Michelangelo Salerno (1938), che con il volume Hansel e Gretel si apre su un motivo di paura umana, corretta dalla speranza, cristiana, ma terrena; (Giacomo V. Sabatelli); inoltrandosi nella successiva opera Di Dio e di altre persone (1976), in un discorso più sofferto, che prende a riferimento la città-caos e la città-anima: groviglio di pensieri e di latenti incertezze che sembrano essere le cifre dominanti e le coordinate psicologiche che meglio identificano questo poeta:”Città. Pioggia improvvisa /nel nostro giro senza ritorno. / Cadenza ritmo battere /di ciglia. / Stasi. / Nostra piovosa alba / e nostro vento ( ago sottile nella vena. / Sempre la stessa / paura e confidenza.”.
Con Aurelio De Rose (1939), si torna ad una poesia più distesa e privata, con tematiche di chiara esposizione intersoggettiva, e di variabili scatti impressionistici, come nel volume Monili, Istituto Geografico Editoriale Italiano, Napoli, 1979, che recupera figure mitiche, di diversa natura e oggettivazione, senza grandi disperazioni e gridi esistenziali, perché la frequenza espressiva, che determina gli inserimenti autobiografici, non lascia isole di solitudine, ma brevi squarci di fede, convocando anche la figura dell’amore su un palcoscenico a più sfondi, tra urticanti momenti psicologici e pause di smarrimento:”Il sipario rosso s’allontana / e appari tra quinte barocche / a rileggermi dentro /Muove il tuo piede l’universo / e tigli odorosi m’inebriano /- quand’è che inizia il prologo?- Il sipario rosso ci divide ancora / io attore giovane, tu prima donna / -quand’è che mi racconti di noi? — / Il sipario è nero e le sillabe ) al buio frusciando lente / cercano frasi per la regina di / fantasmagoriche prose /. Quand’è che mi uccidi? /”.
Ricorrendo ai temi dell’ingiustizia e dell’oppressione, Vittorio De Asmundis (1942), riesce a fare propri alcuni rendiconti della vita quotidiana, rimanendo, a nostro avviso, forse uno dei pochi poeti che fa ancora poesia “sociale” e di “classe operaia”, quella per la quale vale la pena di solidarizzare con i propri compagni di fabbrica alienati dal sistema. Da qui il suo discorso esistenziale-resistenziale, di rabbia rivoluzionaria che ha sempre accompagnato il popolo del Sud, “Dopo / sessanta minuti per otto / passati alla catena, / dopo / duecentoquaranta pezzi per otto / lavorati alla catena, / dopo / quattromila e duecento battiti / per otto / venduti alla catena / (a poco prezzo, quasi / per fame /, dopo, / ho la pioggia negli occhi, sulla pelle / il colore del piombo, la pazzia / nel ricordo, la rabbia”/.
Con tre volumi di poesie: Una risposta, Loffredo, Napoli, 1971, Discronie, Hyria, Massa Lubrense, 1981 e L’aereo dorato, Il Laboratorio, Nola, 1999, Giovanni Ariola (1942), alterna il proprio paesaggio poetico di tipo novecentesco, con alcune soluzioni stilistiche innovative che ritracciano una scrittura polivalente di cui il volume Discronie ne è un valido esempio, assieme agli innumerevoli inediti apparsi su riviste, che raggiungono esiti strutturali di diversa suggestione e provenienza, come messaggio umano e culturale e segno di denuncia-dissenso contro il potere e la realtà sociale in “un viaggio senza auspici”, dove subentrano un insaziato bisogno d’amore e una pena partecipe per le sorti dell’umanità (Gennaro Mercogliano).
Marisa Papa Ruggiero (1943), propone un linguaggio in movimento e di ricerca autogenetica del proprio Io. Ha pubblicato Terra emersa (1991), Limite interdetto (1993), Origine inversa (1995), Campo giroscopico (1998), e Persephonia (2001).
Nel testo L’estremità del nome, pubblicato su Risvolti, Avernum poetry, n. 1, 1998, pag.44, vi sono tutte le indicazioni che pongono in essere una polivalente azione di associazione figurativa e di sviluppo autocoscienziale, di fronte a proiezioni fisiche e immaginative e ad una poetica espressa nel vertice di una tensione da cui può prodursi o il blocco insostenibile o lo strappo, come dichiarato dalla Ruggiero in Origine inversa, Guida Editori, Napoli, 1995, pag.97.
Cosicché, la parola densa di immagini si fa sviluppo tematico e oggetto di un soggetto, e cioè come altro da sé (G.B.Nazzaro, Dibattito col poeta, Ilitia Edizioni, 1997, pag.59): “Dal mio pennello / la stanza scende / sulla tela, non diversa / né uguale nella mia stanza/ e dentro qui nel mezzo / dipingo un cavalletto ed una tela…./ e sulla tela una scena, / poi me stessa / che dipinge una scena / (me stessa due volte) / o due me in una volta / entro cogli occhi dentro i miei / sulla scena, / mi guardo in ciò che manca / e ciò che manca è dipinto / e tuttavia esistente / nato qui: sulla scena”/: tanto che questo testo si offre come una finestra, psicologica; rimandandoci ai doppi soggetti dipinti da Magritte, in cui il surreale e il riflesso si pongono di fronte, integrandosi in un'unica forma sostanziale.
Poco più di una testimonianza poetica sono le due plaquettes di Antonio Sorrentino (1944), Primavera improbabile, Napoli, Intra Moenia, 1998) e Procyta, Napoli, Partenope Versus, 2001), che pur nella esiguità delle composizioni presentate, consentono di esporci ad una breve opinione collegata ai testi adeguatamente compositi, caratterizzati da un background stilistico che è già un lasciapassare per una godibile lettura come in Canto dell’opera prima, del volume Procyta: tutto portato all’interno di un movimento verbale avventuroso ed errabondo, dove la scrittura raduna attorno a sé, personaggi, vicende e rapporti memoriali, di densa accumulazione timbrica e avvolgente narratività: “Erano belle davvero le ragazze di Leida / ma troppo uguali e troppo / fiamminghe e del resto non è proprio / culturally correct ritrovarsi / tra i bulini di Durer / in un interno di Van Eyck / malesi silhouettes / e dèi tentacolari” ….Morire per una donna / non è poi cosa nuova e proseguendo / in uno spaesamento magrittiano / si trovò il brigantino a Place du Tertre / (Parigi era viva? Chissà!) / non c’era più nessuno / volato via Maurice / con la calce dei quadri-cartolina / portò con sé in cielo / - in terra troppo lo spazio / il suo infinito amore per Suzanne / non c’era più nessuno / soltanto noiosi pittori polacchi:: accademia da piazza / ritratti verosimili / la Rivoluzione di Montmartre-bene dixit lo Storico…”Né dolce né allegro il naufragio / del brigantino-negli Annali / della Navigazione non risulta / che sia stata la settima onda / a segnarne la sorte-/ non fu una sorpresa: / da tempo il capitano / attendeva la morte per acqua. / Incagliato il relitto rimase / nelle secche laggiù a testimonianza / di un modesto naufragio”.
Per Giuseppe Vetromile (1949), la poetica dell’uomo “basso”, vittima e preda dell’incastro sociale, si fa autentico percorso psicotematico intorno alla dialettica dell’effimero e dell’assoluto.
I due termini si contrappongono portandosi su un versante di pensieri e considerazioni, fino a giungere a certezze ultraterrene, che allontanano certi condizionamenti quotidiani. Da qui la speranza metafisica nella quale viene riposto l’altro di sé del poeta e il suo desiderio di aprirsi ad orizzonti più vasti, per superare così il nonsense delle cose. In questa visione sta il messaggio di Vetromile quando esprime il proprio disagio di esistere :”Mi cammina dentro l’uomo piccolo dei giochi, / basso, / più basso dell’orlo rastremato del marciapiede /. Sarà per lui una lunga discesa anche stamani / verso il solito incastro: / dagli interstizi in ombra della grande fabbrica / riuscirà a cavare — almeno — / un dente d’ingranaggio / uno spicchio di coraggio / il resto d’un fraseggio / da costruirne segrete fantasie notturne / e zattere di sogni /”. Della produzione in versi di Vetromile, segnaliamo alcuni titoli: Cuordileone nella città automatica (1990), Com’è lontana Gerusalemme (1996), Cantico dell’uomo basso (1999). Anastasiadi (2002). Canto del possibile approdo, 2005.
Per restare nel campo della poesia lirica, con qualche pausa di trasgressione, citiamo la raccolta antologica Poesie 1972-2000, Libreria Dante & Descartes, Napoli, 2001 di Antonio Lotierzo, nato a Marsiconuovo (Pz) nel 1950 e residente a Napoli.
Il volume riunisce: Il rovescio della pelle, 1977, Moritoio marginale, Forlì, Forum, 1979, Golfo di sogni inquieto, Loffredo, Napoli, 2000, e una raccolta di poesie in dialetto Revuote (Risvolti). Lotierzo è anche curatore di due antologie Poeti di Basilicata, con Raffaele Nigro, Forlì, Forum, 1980 e Dialect Poetry of Southern Italy. Edited by Luigi Bonaffini N. Y. Legas, 1997. In Golfo di sogni inquieto, predominano gli elementi mitici e simbolici, le rapide escursioni metafisiche, le tematiche sociali e una più diretta partecipazione a introdursi nella problematica esistenziale, come esposizione d’una condizione psichica e culturale, di ampio scatto morale; mentre in Moritoio Marginale, è lo stesso Lotierzo a darci utili indicazioni di lettura, quando riconosce nel volume un rimescolamento di vita, di storia, anche con frasi tratte da filosofi e commentate, per giungere a Il rovescio della pelle, in cui “la parola si esalta in sé stessa, e nel significante”(G. Scognamiglio), attualizzando in Revuote (Risvolti) l’ironia, lo sfottò come strumento e rappresentazione del reale, dove il dialetto assume la funzione di forma oppositiva al mondo consumistico e banalmente anglicizzato, configurando occasioni poetiche intorno ai temi periferici e popolari, e ad un neoespressionismo linguistico gradualmente liricizzato e contaminato da brevi intrusioni allitterative e onomatopeiche, come ne La lettera del poeta: pag.58: “No certo, Pascoli, qui nessuna nova / progenies coelo demittetur alto. / In sostanza siamo tutti erbette appetibili / chi più come te pianto crucciato e chi no, / ridente nei chiari mattini. / Tu professore al diminuitivo / animuccia uccia e noi disincantati agitatori / del presente abbiamo acquistato / una vigile conservazione / perché tutto con sentimento cambi / rimanendo latino”.Non esiste per Lotierzo una graduatoria di temi: ogni occasione poetica è un fatto su cui riflettere. Pensiero e sentimento sono i precursori di una poesia che si realizza nella potenzialità del dire.
Un poeta che coinvolge il tutto di sé nella struttura linguistica, raccontando, eloquiendo, agglutinando forme poematiche in cui la parola evoluisce in uno spazio a più strati e percorrenze simboliche, cedendo anche ad una lingua che si annoda con se stessa, matassa di cui si cerca un capo che non viene fuori (Rubina Giorgi, in Frammenti putjolanni), è Pasquale Della Ragione (1955), la cui poesia è un continuo bruciare di ali, per farle rinascere o precipitare in un linguaggio, che va dalla poltiglia di fonemi, nel magma del nonsense all’elisione di punteggiature e apostrofi, (Vittorio Russo, in La poesia a Napoli pag.292): tutti strumenti digressivi confluiti in Frammenti putjolanni (1981), Imbianclinamento (1983), Sunnuntai (1988) e Fuxia Gillette (1997).
Col suo primo volume Avvistamenti, Edizioni La Parola Abitata coop. tam tam, 2000, Enrico Fagnano (1957) fa della poesia un momento di breve incontro con il lettore, il quale si trova di fronte a lampeggianti versi e calembours, aneddoti e considerazioni autobiografiche che hanno il piglio del divertissement e della piccola saggezza in un surrealismo di diversa tonalità presente in Una cena sofisticata, in cui non sono pochi i tratti ludico-ironici: “Ci sedemmo e chiedemmo il menù. / Il cameriere ce lo portò. / Sette chili di lacrime / un serpente dietetico / cadavere di tibetano farcito / un metro e mezzo di lingua sleccacciosa / quattro timbri di lattice / un sospetto ed una margherita: / Da bere, / vino azzurro degli scavi di pompei / oppure birra scura tumefatta. / E per finire, / gelato ammuffito della Patagonia / caffè giallo rinsecchito / ed un lungo verme imbalsamato. / Decidemmo di andare a mangiare in un altro posto”/. Fagnano ha collaborato con l’editore Marotta al mensile L’Erba, curando la realizzazione di alcune riviste Brilliancity e La Parola Abitata.
Più vicini ad un espressionismo variabile nei contenuti e nelle emozioni sono i due volumi di Raffaele Piazza (1961), Luoghi visibili, Amadeus 1993 e La sete della favola, Amadeus, 1996. In quest’ultimo lavoro Plinio Perilli mette in evidenza una umbratile e plastica trasparenza illimpidita di densità, concettuale e poematica, frutto di un raziocinio gentile, mite, di una fraterna meditazione creaturale mai rinnegata al celeste immergersi o innalzarsi della Lirica.
Limitatamente all’ultina plaquette del 1996, ci pare di avvertire un linguaggio a più riflessi, ma autenticamente sincero e analitico, capace di aggrumare le letture della vita in un proprio modulo poetico, con qualche eccezione per le poesie en plein air, che danno vertigine d’azzurro, in una dimensione del privato, che coglie col riverbero della natura-amore, un momento di pausa e di salvazione rilevabile in Le cime degli alberi, pag.61: Tra la fine dei pensieri e le cime degli alberi / ci siamo noi a disegnare la vita, che non finisca, che ci dia ancora acqua / da dividere con i compagni alberi, come discorso interattivo e bipolare, che mette allo scoperto delicate transizioni emotive.
Nei recenti “Sonetti”, affiorano il mito dell’infanzia e i dati del presente, come nel testo n. 1, tratto dalla Rivista Capoverso di Carlo Cipparrone, n.4-02: “Dietro gli anni nella conca della serra, / le camere, gli oggetti / (infanzia e adolescenza parlano di gioia), / collezione di giorni se già avviene / il disegno della nuvola e l’azzurro / l’unica cosa necessaria, / mio perimetro ad avvolgerti; / non andare dove inizia da stasera il nuovo giorno / nella mia mappa a resistere restiamo / giochi elettronici di posta, / le cose, gli indumenti per terra / poi, il sogno, a inventare l’abito, il palazzo, / la strada dell’abete argentato nell’angolo, / provenienza di goccia e continuiamo./”



In questo caso, la parola scevra di legami letterari, s’inoltra oltre i segni delle indagini e delle sfaccettature fisiche, posizionandosi in una zona pancromatica, attraverso un neorealismo pellicolare, materico e solare.
A proporsi alla nostra attenzione è anche Roberto Pasanisi (1962), per il suo impegno culturale, direttore di Nuove Lettere, (rivista internazionale di poesia e letteratura), già autore di diversi libri di poesie di cui riportiamo alcuni titoli: Giardini del cielo, Napoli, Edizioni del Delfino, 1980, Le terre del sole, Napoli, Liguori, 1982 e Sulla rotta di Magellano, Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli; un volume quest’ultimo, che si pone, rispetto alle due precedenti opere, “di fronte a una esperienza di poesia che non solo appare in sé di altissimo valore, ma che apre un nuovo ciclo, una nuova concezione, un nuovo modo d’esercizio del linguaggio poetico,” come scrive nella prefazione Giorgio Bàrberi Squarotti.
Pasanisi opera, indifferentemente, sia sul piano delle rivisitazioni memoriali sia su quello delle testimonianze cinematiche rilevabili nei testi Dillinger è morto e Humphrey Bogart.
E’ una poesia che ama le risonanze dell’anima espresse con un lirismo di nobile tradizione e musicalità: “Nulla vale il tuo tormento /, della tua voce rotta dal pianto / nei fili oscuri del telefono /, se infiniti s’accendono / i bengala nella notte /, e tremula di pianto una riga / solca il tuo volto tenero negli anni /. Dove vada non è dato saperlo / la nostra vita carica d’affanni /, ma per compagna averti è un senso / in questa notte in cui di nuovo e sempre / s’aprono stelle filanti dentro il cuore /, e una ferita, un sogno è tutta la tua vita”.
Fuori dall’ambito poetico citiamo il saggio Le muse bendate: la poesia del Novecento contro la modernità, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, con il quale l’autore propone il ritorno ai valori fondamentali dell’umanità, che solo l’arte e la letteratura (grazie soprattutto alla poesia) sono all’altezza di illustrare e conservare, ovvero trasmettere alle generazioni a venire. (dalla Prefazione di Constantin Frosin, Università Statale “Il Basso Danubio”, Galati, Romania).


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Nel circuito del rinnovamento linguistico più avanzato, si distingue Giovanni Ruggiero (1922), che osserva il mondo circostante, descrivendo le vicende pubbliche e private, in appunti poetici, con il corpo e l’anima infiltrati dentro il nulla, dove fa confluire ogni colliquazione dell’esistenza, concedendo al linguaggio un procedimento logico e analogico. Il volume Diario di viaggio (1977) è un dossier esistenziale che “non sta tanto nell’ordine delle confessioni o delle autobiografie, quanto invece in quello delle memorie. Ma nel senso tutto particolare che può avere un taccuino esemplare degli appunti e delle annotazioni, un album della memoria critica, un almanacco della propria condizione.” (Paolo Ruffilli, Q/G. nn. 55-56, anno 1979). Con Le Signore di Betz (Guanda 1985), l’autore torna ad alfabetizzare le sequenze negative di una cultura senza illuminazioni.
Quello di Ruggiero è il tentativo, tra l’altro comune a tanti medici-scrittori di trasferire il proprio glossario scientifico sulla vita per ricavarne con la poesia alcune cartelle cliniche di infausta conclusione.” Nella poesia di Ruggiero il pensiero della morte segna il livello di più intensa sincerità. Pensare la fine significa per lui arrestare la dissipazione dell’atomismo biologico e concentrare il discorso poetico attorno al problema dell’autoriconoscimento “Riconoscersi è altro aspetto / della condizione di buon vicinato / con madama. Il next step / sarà temerne l’incontro”/..(Pietro Bonfiglioli, Q/G. nn. 135-136, anno XIII-1985, Settembre-Ottobre, pag.107).
Recentemente, Ruggiero ha dato alle stampe il volume di prosa e poesia: Il coltello della memoria (Campanotto, 2001), e Insonne dans le train (Sconosciuta in treno): Poèms bilingues, tradotti in italiano da Jean-Jacques Méric, presso L’Harmattan di Parigi.
“Questo volume concepito come approfondimento del concetto di medicoscrittore (senza trattino), evoluto come un saggio sulla morte, al quale però l’Autore si è giudicato presto inadatto per insufficiente erudizione: Ne ha allora affidato la stesura al libro stesso che ha scritto questo romanzo”.
Con la medesima sigla editoriale, ha pubblicato Je le jure, sans ironie — Vie d’un médecin seul — tradotto dall’italiano da Annalisa Giovannini e Jacques Lucchesi, con la collaboratione di Brigitte Pasquet-Gotti e Natalie Sebag, 2002, in cui racconta le vicissitudini di un celebre medico di una città del Nord d’Italia, alle prese con la lotta alla mediocrità della burocrazia politico-amministrativa.

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Tra i vari artisti che si sono messi in luce tramite lo sperimentalismo trasgressivo e la poesia visiva, segnaliamo Mario Persico (1930), con le sue prime riproduzioni di titoli di tecnica tipografica, a grassetto cupo, come in Poesia collage, 1960, che rileviamo da Documento Sud, III, n. 6, gennaio, 1961, pag, 18, e successivamente, con altre idee e composizioni, in Poiorama, Linea Sud, n. 2, Napoli, aprile 1965; un fascicolo collettivo di opere e autori “che in quel momento stavano variamente sperimentando l’interazione fra codici estetici diversi”. (Lamberto Pignotti). Quello di Persico è un nome rappresentativo della dinamica artistica napoletana e nazionale, e qui va ricordato anche per aver fatto parte del Gruppo 58, promosso da Mario Colucci, insieme a Guido Biasi, Bruno Di Bello, Lucio Del Pezzo, Sergio Fergola e Luigi Castellano (Luca): un movimento culturale sorto “per chiudere il tormentoso rubinetto dell’inconscio e di gettare un ponte tra il presente della nostra civiltà spirituale e l’origine, dimostrando quanto questa civiltà sia ancora capace di cantare con semplicità le albe primordiali pulsanti nella memoria del suo sangue”. Nel 1959 lo stesso Gruppo firmò un altro manifesto polemico e programmatico dal titolo Manifeste de Naple, al quale parteciparono Nanni Balestrini ed Edoardo Sanguineti, contro le forme dell’Astrattismo.
Con Raffaele Perrotta (1936), tutti i limiti dello sperimentalismo sono superati, tant’è che si può senz’altro parlare di bolo linguistico di carattere oppositivo e ipermutante, concepito come sistema scientifico del nonsense, con una implantologia lessicale che lascia il calco, ma non la poesia: “ Lo strego — ne mesura capio cappio / flox ventare vulture marat’omnia / azzurrite plarmonica liùbrando / disegno impresso regola superba / e dei morti il vespero la promessa / vìgor loco legamentare làbor….”
A chiarire il senso di questa operazione è lo stesso Perrotta quando fa presente che.”La filosofia ufficiale istituisce la“filosofia del linguaggio” tenendosi alla larga dalla “ filosofia della parola”. Io oggi, so: viene a noi il linguaggio, la materia inorganica, fluida dei segni; noi andiamo o tentiamo di andare verso il linguaggio ordinato del discorso. Non è tanto in gioco il gioco della parola quanto il gioco di parole. La parola non è una topica; i vocabolari e le grammatiche delle lingue nazionali sono mirabili artifici. Parliamo de-lirando”. (da una Intervista a Raffaele Perrotta su Il Punto, di Alessandro Carandente, Ilitia Edizioni, Napoli, 1996). Perrotta ha pubblicato Sonatasituazione, Il Periplo, Milano 1969; G. id. 1971; Per Organo, Altri Termini, Napoli, 1979.
Prima di parlare della poesia di Giuseppe Bilotta (1939), si dovrà necessariamente accennare alla sua attività di scrittore, di critico e di direttore di importanti riviste d’Arte come Raraavis, dell’immagine, della scrittura edita dalla Lan, Napoli, insieme con Adriano Mele e Michele Buonuomo. Già curatore della collana Quaderni d’Arte, Edizioni Lo Spazio, Bilotta ha pubblicato nel 1986 Sei pittori, due generazioni (Guttuso, Girosi, Gagliolo, Giorgioantonio, Maccari, Sangiovanni). Nel 1987 ha fondato una nuova collana Erato, realizzando la prima monografia: Bendini, disegni 1950-1984.Dal 1990 dirige Orma del dicibile, dell’indicibile, quadrimestrale d’arte e cultura dove pubblica il saggio Velia Velcha, il volto del silenzio, il più famoso ritratto dell’arte antica. Per la poesia ha pubblicato Il Testimone, frammenti poetici in prosa I.G.E.I. 1981, Napoli, Angoscia solare, 1982, poemetto, Igadia Orobia, Poìemon, Ilitia Edizioni 1989 e Valle Regina, 1991, Lan Edizioni. Certamente gli esiti strutturali di Igadia Orobica, suscitano curiosità e interesse, per la proposta verbale non usuale, anzi diremmo rischiosissima sul piano della comunicazione. Qui si è venuta a realizzare una nuova ipotetica e utopica langue trasmentale, perchè va al di là dei segni della lingua, essendo autentico soggetto della non comunicazione, negazione delle emozioni, e declino della stessa forma della parola. Si tratta, in effetti, come precisa G. B. Nazzaro nella prefazione a Igadia Orobica, di “un procedimento alchemico costruito apposta per scoprire quell’eterna pietra filosofale, che non è l’oro in quanto materia vile, appetibile come insulso possesso o sconfinato potere ma quell’anima mundis, l’imperatrice di tutti gli onori”. Un esempio? 1- “Adabia legia nodia amion gol / egon nosor adoniar unia domia agrondolia / odonvar bania idinia asor, dania ilinia avor”/: parole che lo stesso autore ha recuperato da lingue classiche e moderne, come afferma in Verba all’infinito, su Secondo Tempo, libro diciassettesimo, Marcus Edizioni, Napoli, 2003, pag.25. Ma è con Valle Regina che Bilotta rientra nella poesia tornando alle forme classiche della metrica: cioè al sonetto e agli endecasillabi, in un paesaggio poetico tra i più convenzionali e familiari; tutto un inno alla vita e un ritorno ad un canto autenticamente novecentesco. Siamo veramente ad una ricomposizione del linguaggio, che nella sua semplicità scava nel fondo della vita trovando anche le ragioni di una scrittura che si pacifica con il mondo e con il poeta stesso.
Eugenio Lucrezi (1952), riesce a tracciare sulla lezione della poesia on the road, alcuni graffiti, come segno e storia della nostra esistenza, in un discorso di più strati e ripiani.
A partire dalla prima prova poetica, Arboraria, Altri Termini, 1989, ai tanti inediti pubblicati su riviste e antologie, Lucrezi entra nel filone poetico del secondo Novecento con una propria identità plurilinguistica e con un sound, lo stesso che lo contraddistingue come “musicista nel circuito dei club, assieme a Blue Stuff, Black Snake e She Devil”.(Attraversamenti, Percorsi di fotoscrittura). Se poi a tutto questo aggiungiamo l’innesto dialettale presente in L’Air; Anterem, 2001; un volume suddiviso in sei sezioni a tematiche diverse, tra gioco e ironia, velato autobiografismo e lettura critica degli eventi del mondo, allora le reti di connessione con i fatti sociali ed esistenziali, diventano registrazione del vissuto e resoconto intersoggettivo col grandangolo visivo rivolto ai dati storici e culturali del proprio tempo.“Lucrezi coltiva il genere dei “papiers dèchirès”, delle carte scritte e strappate da altre carte o delle poesie visive su materiale creativo informale” (Poetry Wave).
In questo testo dal titolo I canditi di maldoror, pubblicato su Risvolti n. 9, 2002, pag. 25; e che riportiamo soltanto una parte, senza gli inserimenti iconici, ci pare di cogliere uno dei momenti poetici più felici di Lucrezi, per via di quell’oscillamento linguistico che forma una specie di fedele rievocazione di una generazione, ma anche di una cultura favolosa e mitica: “/Satellite’s gone up to the skies / cantava Lou Reed a New York City, con le unghie / laccate di nero ai tempi di Andy e della Factory, / things like that drive me out of mind / cantava, e guardava dallo spazio i suoi amici / pomiciare per giorni interi, li guardava / in tivù grazie al satellite, satellite of love, / era fenomenale, Lou, mentre cantava e diceva / I like to watch things on TV / proprio come direbbe la casalinga di Voghera / dallo sguardo confitto nella televendita / mentre invece cantava l’amore porcellone e free, / Lou, mica il quiz show, mica le caramelle / dei B 52, mica i canditi di maldoror / diceva gli amori glam e dark, Lou, mica le albe / candide e gelate senza canti e silenzi, ma piuttosto / farcite dei bang, dei rombi degli aerei, / dei crash dei boom delle bombe; / siamo cosa senza importanza, siamo buoni / perché gli dèi con i canditi in mano paiono / magnanimi, esattamente quello che sono ?” (15 dicembre 2001).Un recente lavoro di Roberta Moscarelli Lo cunto de la voce (Napoli, Terra del Fuoco, (1999), riprende il tema delle avanguardie napoletane che hanno rappresentato linee collaterali, ma niente affatto secondarie rispetto al mainstream del Gruppo 63. Vi troviamo poeti di chiara estrazione sperimentale come Carmine Lubrano (1952) e Mariano Bàino (1953), impegnati nell’occultamento della poesia di matrici tradizionali, con l’acquisizione di un sistema linguistico fatto di innesti plurimi che si integrano e si contaminano, fino a desemantizzare i versi in un prodotto estetico, secondo gli strumenti oggi disponibili, e che si rifanno all’uso di particelle calligrammate, dialettali e citazioniste: un invariabile kit sempre più uniforme e chiuso in se stesso.
Dei testi di Carmine Lubrano segnaliamo quelli riuniti in Sulphitarie che rimarcano l’azione deviante del miscuglio oggettivo delle cose prese a riferimento, come accesso a quel vasto mondo di rappresentazione esterna, portato fino all’estremismo creativo,” senza rispettare” — come scrive la Moscarelli- “distanze di sicurezza né principi di non interferenza, stravolgendo, facendo impazzire e mettendo in crisi la funzione referenziale della lingua, per aggredire, direttamente il potere di persuasione e di dissuasione della parola”.
Di Mariano Bàino invece poniamo in evidenza il suo lavoro, radicale e iperstilistico, contaminato da ogni tipo di intrusione lessicale, dove tutto si muove in funzione del significante. Bàino ha pubblicato Camera iperbarica (Tam Tam, 1985), Fax giallo (Il Laboratorio, 1993); Onne’ e terra (Pironti, Napoli, 1994); Pinocchio (moviole) (Piero Manni, Lecce, 2000): un volume di poesie e commenti, che prende a riferimento, il ragazzino mentitore e avventuroso di Collodi, in una scenografia teatrale tra fantasia e realtà del presente.”la strada di pinocchio / tra le case / taglia, s’inoltra / nei vicoli incrociando / quartieri, s’inerpica in salita; / rampa / sugli azzurrognoli contorni della city / come in rollanti corridoi di Josef K. / surriscaldato legno di pinokkio, pianta / stremata, fruscula nel vento / strapazzone / su terrazze condominiali, cieli o terre / di nessuno, a balzi lunghi / da fare i vermi / biancheria per aria, inasciugata / in aria, dove alte / gru sorvegliano / cancellerie parcheggi assi / pedonali, in cima a un monte / d’immondizia oveggia / un uovo”. Bàino ha scritto anche in prosa Il mite e immite limite (1998), ed è stato uno dei fondatori del Gruppo 93 e della rivista Baldus. Recentemente ha dato alle stampe tre libri di poesie Onne’e terra, presso Zona, Amarellimerick da Oèdipus, e Sparigli Marsigliesi per i tipi d’if; che riconfermano una linea poetica costituita dall’integrazione di lingue morte e dialettali, in una sorta di controcanto ludico e trasgressivo.
Costanzo Ioni (1953), va oltre il messaggio, frutto del pensiero-parola, espresso in un modulo di forte creatività tensiva e, comunque, sempre di carattere evolutivo, con transizioni linguistiche e stilistiche assimilate grazie ad un proficuo tirocinio praticato con il Gruppo 93, per averne condiviso sia i presupposti teorici che la pratica letteraria. La ricerca di Costanzo Ioni si affida alla molteplicità della comunicazione, e…., ai richiami diversi del “gioco della variazione”. (Giorgio Moio da Documento Sud a Oltranza. Tendenze di alcune riviste e poeti a Napoli- 1958-1995, su Risvolti-marjinalia-continjentia,- n. 9, 2002, pag.20). Di Costanzo Ioni, riportiamo una campionatura poetica significativa nella sua forma metaforica e ironica, pubblicata su La parola abitata, n. 3, aprile 1991, pag. 30 e dal titolo: Una poesia “Il verso si rincorre, prende fiato, è schizzato dal foglio e si è / spezzato, / si è calmato sorseggiando una Coca in auto, forse, viaggiando, / potrebbe / rifarsi una vita, trovare lavoro, ma è finita, sul marciapiedi, / per cinquemila lire, e il suo passato da inghiottire”/. Ioni ha pubblicato Pret-à-porter, (Miller, Napoli, 1985), e Poesia della lateralità (Piero Manni, Lecce, 1993). E’ presente in diverse antologie tra cui La poesia in Campania (Forum, Forlì, 1990).
Tra automatismo verbale e fonetico si collocano gli esiti poetici di Lello Voce (1957), riuniti nei volumi Singin’ Napoli Cantare (Ripostes, Salerno,-Roma, 1985); Musa (Piero Manni, Lecce, 1991), I segni, i suoni le cose, Manni, 1996, e Farfalle da combattimento, in cui sperimentalismo e citazionismo prolungano nel tempo le esperienze di antipoesia, all’interno di una proiezione culturale autonoma costituita da innesti linguistici di varia provenienza e suggestione, non escluso il recupero dialettale, che si accompagna a ricercati segni formali, tra materiali di prelievo e proposizione strutturale.
Molto attivo come operatore culturale e continuatore della letteratura alternativa, già redattore delle riviste Altri Termini e Oltranza, fondatore di Risvolti, -ultima frontiera di quaderni di linguaggi in movimento-, è Giorgio Moio, nato a Quarto (Na) nel 1959, autore di nunerose raccolte di poesia: Scrittura d’attesa, Ripostes, 1989, Sabbie mobili, Edizioni Riccardi, 1996; Work in progress id. 1997, Oltre la soglia del dolore, Gabrieli, 1999, con Carlo Bugli, L’uomo dagli occhi rosa, Edizioni Riccardi, 2000, con Luciano Caruso Un vibrato continuo id. 2002 e Il libro dell’artista n. 33, Morgana Edizioni, Firenze, 2002. Dirige la collana di poesia Edizioni Riccardi. Giorgio Moio ha prodotto anche libri-oggetto e libri-.opera ed un CD-Rom, con poesie edite e inedite.
Un continuo lavoro di documentazione poetica caratterizza la linea editoriale di Risvolti, che “si fa portavoce delle più avanzate ricerche avanguardistiche odierne, presentando, con un degno apparato critico, nuove proposte di poesia totale, visiva, scenica e segnica,” (Giovanni Matteo Allone), con un discorso anche retroattivo degli eventi culturali della fase storica dell’avanguardia napoletana. Giorgio Moio nella sua proposizione poetica alterna materiali visivi nell’interscambio dei segni grafici, tra scrittura e immagine, pervenendo così a connessioni intersemiotiche, sinestesie, tavole parolibere fino al collage di elementi interfacciali, scarti pubblicitari e frammenti del linguaggio della comunicazione di massa; il che rende il messaggio attivo sul piano dei segni iconici, per esprimere quello che Stelio Maria Martini chiama l’interazione complementare tra l’elemento visivo con quello verbale. Si tratta di una letteratura alternativa rispetto ai codici linguistici dominanti, un vero e proprio rapporto condensativo di idee, progetti ed iniziative polivalenti, come si rileva in Locus solus — la babele capovolta — antologia, Edizioni Riccardi, Quarto (Napoli) 2001, dove Moio è presente con propri testi e schemi verbo-visivi, assieme a Carlo Bugli, Pasquale Della Ragione e Marisa Papa Ruggiero.
Si ritorna con Giorgio Moio alla dialettica della contaminazione tra scrittura e immagine, a quell’arte plurisensoriale di cui Lamberto Pignotti è stato uno degli iniziatori con Eugenio Miccini, Emilio Isgrò, Adriano Spatola, Luciano Caruso, Stelio Maria Martini, Michele Perfetti, Vincenzo Accame, Claudio Parmiggiani, Filiberto Menna e Daniela Palazzoli; ma Moio vi aggiunge qualcosa di personale, come risulta dalla sua dichiarazione di poetica quando afferma di “ricercare nella poesia un qualcosa che non c’è (o non ci è dato — forse — di sapere), un linguaggio della contraddizione, palinodico e giocoso, tragicomico, che non affabuli ma aggrovigli, che non addomestichi ma interroghi. E sul piano strettamente stilistico, un accumulo delirante di parole deliranti (apparentemente giocose e comiche….Si tratta di rappresentare un’immagine di sogno, un’allegoria del sogno”, così come in Scritture d’attesa, Ripostes, 1989, il cui corpo poetico si allontana dal nucleo originario: “La parola rischia il proprio fraseggio — extenuo fluyre dun inveire svenevole / nutry(menti di la(menti per un baro) ) / eterna perdita radyoso martyrio / nausea duna not(t)e lunga da passare / dyssol venza del(l)ultimo ixstante / del jornoKeVer(r)à”.
Altro sperimentalista, certamente non ultimo dei suoi compagni di viaggio, è Biagio Cepollaro (1959), che ripristina vecchie e consolidate forme verbali le quali non aiutano a rimuovere la poesia dal suo stato di parvificazione, anche se la scrittura si espone a più figure grammaticali, “tra linguaggio e potere, tra linguaggio e politica, esibendoci composizioni postmoderne, sia pure trasportate nella mitica e “laudata” letteratura del passato”.(Giorgio Moio, Risvolti n. 9, 2002, pag. 18).
Cepollaro ha pubblicato Le parole di Eliodora, Forum, Q/G. Forlì, 1964, Scribeide, Manni, Lecce, 1993; Luna presciente, Mancuso Editore, Roma, 1993.
Ha fondato e diretto nel 1990 con Mariano Bàino e Lello Voce la Rivista Baldus ed è stato curatore, con Michele Sovente dell’antologia Poesia in Campania, Forum, Forlì, 1990.
Con diverso impegno, stile e ricerca del linguaggio si sono espressi: Armando Adolgiso, Tatiana Amoruso, Carlo Bugli, Ariele D’Ambrosio, Vincenzo Digilio, Salvatore Di Natale, Luigi D’Isernia, Mario Di Pinto, Ferdinando Grossetti, Donato Lauria, Marco Longo, Ida Maffei, Alfonso Malinconico, Carlangelo Mauro, Edoardo Sant’Elia, Raffaele Urraro, Nando Vitali, ecc. che, pur testimoniando una produzione valida e complessa, prolungano con le altre voci non presenti in questo dossier, storia e tradizione, innovazione e sperimentalismo.Apparentemente ricostruttiva sembra essere la proposta di Felice Piemontese, come formulazione di una nuova ipotesi di poetica dopo la fine della Neoavanguardia, senza particolari rovesciamenti linguistici, se non nei termini di una creatività riflettente il datum verbale retroattivo, nella coesistenza di pluriaccorgimenti semantici e di calcolo estetico.
Altro è, invece, il rischio a cui si espone, con grande disinvoltura, Gabriele Frasca, con le sue terzine e sonetti, che costituiscono l’oggettistica letteraria, secondo le ragioni di una poesia che si dilata oltre i normali campi di applicazione. E’ come se il poeta lavorasse per tempi epocali e registri diversi. Il tecnicismo non annulla la cantilena autobiografica e psicologica. Questo modo di procedere toglie ogni possibilità alla lingua di giungere verso approdi emotivi, non che questi debbano essere indispensabili, ma, qualche volta, sono necessari del concetto stesso di poesia.
“L’universo degradato ritrova un senso nella forma chiusa, in quell’afasia spettacolare, in cui l’esuberanza chiusa di morfologie barocche si coniuga con il nulla di cui ci parla, per esempio, Beckett di cui Frasca è lettore e traduttore”. (Giorgio Patrizi, in Storia della letteratura italiana,Vol.XVI, pag.623, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2004).
Un poeta che sembra orientarsi verso aree semantiche miste, senza proporre importanti innovazioni tali da modificare il significante nella sua struttura generale, è Michele Sovente che, in Carbones, adotta un linguaggio triadico, con la commistione del latino, del dialetto e dell’italiano, per cui lo standard della parola rimane nella forma del chiuso gettito d’inchiostro, legando le occasioni poetiche ad un humus flegreo, che in vario modo asseconda i giri dell’anima, tra frustrazione dell’urbanesimo e carbonizzazione del tempo.
Alla fine del nostro excursus e sulla base di quanto abbiamo esposto, appare chiaro che per ricostituire il patrimonio di voci e opere disperso da assurde arbitrarietà, occorrono segnali forti, che provengano dagli intellettuali, dagli editori, dalle istituzioni, dagli amici lettori se vogliamo essere protagonisti bisogna andare anche alla riscoperta della nostra cultura e della nostra poesia. (Paolo Saggese, Per la poesia del Sud, Secondo Tempo, Libro Ventesimo, pag. 94), affidando ai filologi del Sud e agli specialisti del settore, la compilazione di repertori e storie della poesia italiana, sempre che non diventino operazioni politicamente interessate di restaurazione e di frenaggio. (Giuseppe Zagarrio, Febbre, furore e fiele, Mursia, 1983, pag.706).
La poesia italiana, agli inizi del terzo Millennio, ha davanti a sé l’affascinante compito di voltare pagina a tutti gli ismi del secolo scorso, ma anche di fondare una letteratura rivolta verso il futuro, in contrapposizione allo strapotere del mercato letterario e delle colonne dei filonordisti che si celano al Sud, nelle redazioni dei Giornali e delle piccole riviste di provincia, per mettere sotto accusa ogni tipo di giaculatòria e di sconcertante meridionalismo critico inutilmente recriminatorio. “Chi scrive poesie”, ha rilevato Adam Zagajewski, “si ritrova talvolta impegnato, in una difesa delle medesime”, a causa di continue delegittimazioni in tutto il Novecento che è stato “il secolo ammalato di amnesie”, secondo un giudizio di Claudio Magris, (a proposito dell’uscita del volume di Barbara Spinelli — L’Europa dei totalitarismi, Mondadori), quando mette in evidenza che “la memoria è soprattutto giustizia resa alle vittime di violenza che la falsificazione ideologica cancella dalla coscienza o di cui deforma la verità”, troppo spesso alienata su altri versanti, meno cruenti, ma più conflittuali, come quelli della poesia.


Notizie biobibliografiche


ALBERTO MARIO MORICONI, nato a Terni, vive a Napoli fin dalla fanciullezza. Penalista, poi docente di letteratura drammatica all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, collaboratore letterario di quotidiani e riviste: in particolare, critico e rubricista culturale de Il Mattino anche con lo pseudonimo di Morick. La sua opera poetica consta delle sillogi Vortici rupi mammole (Gastaldi, Milano 1952), Trittico fraterno (Cecchina, Milano 1955), Anno Mille (Rebellato, Padova 1958), Le torri mobili (Guanda, Parma 1963), e della trilogia edita da Laterza Dibattito su amore 1969, Un carico di mercurio 1975, Decreto sui duelli 1982, Il dente di Wels (Tullio Pironti, Napoli 1995), Io Rapagnetta Gabriel — e altre sorti (Pironti 1999). Sue poesie sono state tradotte in più lingue. Per la prosa ha pubblicato: Un autocommento (discreto) Ed. Liguori, Napoli, 2003.
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Un’amplissima bibliografia della critica dal 1952 al 1987 è consultabile nel volume La poesia di Moriconi di Franco Lanza, Ed. Liguori, Napoli 1988, ed una bibliografia essenziale fino al 1998 in Nord e Sud, E.S.I., agosto 1998, segue a una serie di saggi su Moriconi : di M. Carlino, E. Gioanola, G. Gramigna, N. Lorenzini, F. Muzzioli, R. Nigro, T.Notarbartolo, A. Piromalli, G. Patrizi, G. Scognamiglio. Nell’ultimo decennio:
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FRANCO RICCIO è nato a Cosenza nel 1923 e vive da molti anni a Napoli. Ha pubblicato L’equilibrio difficile, Napoli, 1965; Compagno alla prigione, Roma, 1969, La vita con coraggio, Napoli, 1967; Paese di eclissi, Venezia, 1979, Selezione Premio Viareggio 1980; I giorni dell’ansia, Forlì, 1984; Selezione Premio Viareggio, 1985, Lacerazioni, Venezia, 1989; Parole per dirsi, Venezia, Edizioni del Leone, 1994; Vita Minore, Venezia, Edizioni del Leone, 1999; Canzoniere, Ed. del Leone, 2003. Ha tradotto poeti contemporanei francesi tra i quali: P. Valery, Il cimitero marino; F. Ponge da Il partito preso delle cose; Y. Bonnefoy da Nell’insidia della soglia. Sua è anche una versione del Lamento per Ignazio Sanchez Mejias di F. G. Lorca. Versi suoi sono stati tradotti in francese e neogreco.
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W.Nesti, Franco Riccio, I giorni dell’ansia, Q/G. Forlì anno XIV 1986, Novembre-Dicembre, 149-150, p.57.
Vittoriano Esposito, Vita minore, su Oggi e domani n. 9-10- 2000.
Luigi Fontanella, Franco Riccio, Vita Minore, Gradiva Number 19, Spring 2001, pag. 157.
Giorgio Linguaglossa su Appunti critici, Ed. Scettro del Re, 2002.
Su Franco Riccio si rilevano inoltre sintesi critiche di Luigi Baldacci, Carlo Felice Colucci, Giuseppe Pontiggia, Giorgio Bàrberi Squarotti, Tiziano Rossi, Mario Petrucciani, Valerio Magrelli, Dante Della Terza.

ARISTIDE LA ROCCA è nato a Nola (Na) nel 1925. Dirige dal 1972 la Rivista Hyria. Ha pubblicato diversi racconti: Il beato inferno 1964; Finché gli occhi aiuteranno, 1964; Lezioni di guida, 1966; Stato civile, con una nota di Luigi Ammirati, 1970; e i volumi di poesie: La casa nel sole, Bologna, Cappelli, 1968, Finalista Premio Viareggio 1969; I soli, Napoli, Loffredo, 1971; Dieci Frammenti, Nola, Edizioni Hyria, 1979; L’amore randagio, 2000 e alcuni drammi classici: Scene Augustee, 2000, Frammento LXXX e Scene bizantine-Teodora- Frammento XC. Collabora a periodici e riviste ed ha curato gli Atti dei Convegni dell’84 “Le ragioni del Sud nella vita e nell’opera di Rocco Scotellaro, e nel 1993 Il Mezzogiorno da Scotellaro a oggi. Economia, Letteratura, Società, presso Liguori di Napoli.
“Il mare ciclope — Terzo Concerto Spettacolo per una identità mediterranea”. Atti del convegno presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici — a cura di A. La Rocca e A. De Crescenzo, Liguori Editore, 2003, Zenobia, Scene Palmirene, Hyria, 2004.
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M.Sbarra, La casa nel sole, di Aristide La Rocca, La Campana, 05-04-1969, pag. 6.
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CARLO FELICE COLUCCI

È nato a Riccia (CB) nel 1927 ed è sempre vissuto a Napoli, svolgendo attività di medico e di ricercatore. Fra l’altro, nel corso degli anni Settanta, ha svolto ricerche sui ritmi circadiani; ricevendo molti consensi internazionali. E’ presente fra le voci bibliografiche dei Meridiani Mondadori di Giorgio Bassani, Giorgio Caproni e Vittorio Sereni. Ha collaborato come elzevirista del Mattino negli anni 70/80.
Ha pubblicato le raccolte di versi: Fenéste int’o scuro (Roma, 1960), Una vita fedele, (Guanda, Parma, 1963), La pagaia (De luca, Roma, 1967), Poésies, (Millas–Martin, Paris, 1969), Placebo, (Lacaita, Manduria, 1975), Preghiera occidentale, (Guida, Napoli, 1981), Check-up, (Almanacco dello Specchio, Milano, 1983), La bella afasia, (Lacaita, Manduria, 1983), Memoria e fuga, (Ed. del Leone, Spinea, Venezia, 1987), A fuochi spenti, (id. 1992), Il viaggio inutile, (id. 2003). Selected Poems (Plaquette bilingue in italiano-inglese, Gradiva Publications, New York, 2003), nella traduzione di Luigi Bonaffini, La materia dei sogni, (Lo spazio edizioni, Napoli, 2004). Ha pubblicato i romanzi: La corsia, (Rebellato, Padova, 1972), I figli dell’arca, (Cooperativa Scrittori, Roma, 1979), I fuochi di Sant’Elmo, (Cappelli, Bologna, 1985), Il gatto e il Rembrandt, (Rusconi, Milano, 1993). E, dopo un lungo silenzio dovuto a malattie i saggi La parola perduta: da Bassani a Borges, a Svevo, a Zanzotto ecc.(Guida, Napoli, 2005, Le città dei poeti, (Antologia), Guida, 2005.
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FRANCO CAVALLO è nato a Marano (Na) il 3 gennaio 1929 e morto a Cuma il 15 maggio 2005. Per moltissimi anni ha risieduto a Roma, facendo il giornalista e lavorando per la televisione.
Ha sempre alternato la sua attività di scrittore a quella di operatore culturale. Negli anni Sessanta ha fondato il Premio Argentario, una prestigiosa istituzione culturale che ebbe tra i vincitori Franco Fortini, Andrea Zanzotto, Amelia Rosselli, Tonino Guerra, Alberto Moravia e altri. Nel decennio successivo ha fondato le riviste Altri Termini, che ha diretto per oltre un ventennio e Colibrì. Tra le sue principali opere poetiche: Fétiche (Guanda, Parma 1969), I nove sensi (id. 1971), Flusso (Altri Termini, Napoli, 1976), Ziggurat e Frammentazioni (id. 1979), L’alfabeto dei numeri (id. 1981), La nascita del Principe (Edizioni del Vicolo del Pavone, Piacenza 1988), L’animale anomalo (Altri Termini, id. 1992), Nuove frammentazioni (Anterem, Verona, 1999, Premio Lorenzo Montano 1999 e Premio Feronia 2000), Nuvole e angoscia (Orizzonti meridionali, Cosenza 2001). Ha curato le antologie poetiche Zero. Testi e antitesti di poesia (Altri Termini, Napoli, 1975), Coscienza & evanescenza. Antologia di poeti degli anni Ottanta. (S.E.N. Napoli, 1986), Poesia italiana della contraddizione, in collaborazione con Mario Lunetta (Newton Compton, Roma 1988). Ha collaborato, nel corso degli anni, a molti giornali e riviste, tra cui: La fiera letteraria, Tempo Presente, Civiltà delle Macchine, Il Mattino. Ha curato per l’editore Guanda antologie poetiche di Tristan Corbière (1965), di Pierre Reverdy (1966) di Max Jacob (1969).
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ANTONIO SPAGNUOLO è nato a Napoli il 21 luglio 1931. Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, inserito in molte antologie, collabora a periodici e riviste di varia cultura: Altri Termini, Hebenon, Il Cobold, Issimo, L’immaginazione, L’involucro, L’Ortica, Lo stato delle cose, Mito, Offerta speciale, Oltranza, Poiesis, Porto Franco, Terra del Fuoco, Vernice. Ha diretto la collana “poesia” per Guida editori. Attualmente dirige la collana “L’assedio della poesia” e “poetry wave” in internet. Nel volume “Ritmi del lontano presente” Massimo Pamio prende in esame le sue opere edite tra il 1974 e il 1990.Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo. Per la poesia ha pubblicato: Ore del tempo perduto, Intelisano, Milano, 1953, Rintocchi nel cielo, Ofiria, Firenze, 1954, Erba sul muro, Iride, Napoli, 1965, pref. di Gaetano Salveti, Poesie 74, S.E.N. Napoli, pref. di Domenico Rea, Affinità imperfette, S.E.N., Napoli, 1978, pref. di Mario Stefanile, I diritti senza nome, S.E.N., Napoli, 1978, pref. Massimo Grillandi, Angolo artificiale, S.E.N., Napoli, 1979, Graffito controluce, S.E.N., Napoli 1980 pref. di Giovanni Raboni, Ingresso bianco, Glaux Napoli, 1983, Le stanze, Glaux, Napoli, pref. di C. Ruggiero, Fogli dal calendario, Tam Tam, Reggio Emilia, 1984, pref. di G.B. Nazzaro, Candida, Guida Napoli 1985, pref. di Mario Pomilio (Premio Adelfia 85 e Stefanile 86), Dieci poesie d’amore e una prova d’autore, Altri Termini, Napoli, 1987 (Premio Venezia 1987), Infibul/azione, Hetea, Alatri, 1988, Il tempo scalzato, All’antico mercato Saraceno, Treviso, 1992 (Premio Spallacci 1991), Dietro il restauro, Ripostes, Salerno 1993, (Premio Minturnae 1993), Attese, Porto Franco, Taranto, 1994, illustrazioni di Aligi Sassu, Inedito 95 inserito nell’antologia di Giuliano Manacorda “Disordinate convivenze” edizioni L’assedio della poesia, Napoli, 1996, Io ti inseguirò, (venticinque poesie intorno alla Croce), Luciano Editore, Napoli, 1999, Rapinando alfabeti (pref. Plinio Perilli), Napoli 2001, Corruptions, Gradiva Edizioni, 2004, Per la prosa ha pubblicato: Monica ed altri, racconti, S.E.N., Napoli, 1980, Pausa di sghembo, romanzo, Ripostes, Salerno 1994, e volumi per il teatro: Il cofanetto - due atti — L’assedio della poesia, Napoli, 1995, Nu pippolo e’ o guardapettole — due atti in vernacolo napoletano, 1996,
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G. BATTISTA NAZZARO è nato a Montesarchio (BN) il 2.10.1933. Dal 1959 vive e lavora a Napoli. Negli anni Sessanta ha fondato con altri “l’Operativo 64” e ha fatto parte del Gruppo 70 con Lamberto Pignotti ed Eugenio Piccini, sperimentando poesia visiva e poesia tecnologica. La sua prima apparizione in pubblico è avvenuta nel 1965, alla Galleria Guida, in una mostra di poesia visiva, assieme ad Achille Bonito Oliva, Felice Piemontese e Antonino Russo. Il catalogo contiene inoltre poesie tecnologiche degli espositori. A Novembre interviene nello spettacolo Poesia e no 3 alla libreria Feltrinelli di Roma. Nello stesso anno sue poesie sono pubblicate su Arte oggi (nn. 23-24, luglio-dicembre 1965) e sulla rivista il Portico (n. 6, dicembre 1965). Molta intensa risulta la sua partecipazione a collettivi di poesia visiva in Italia. Interventi teorici e poesie sono ospitati sulle riviste 3 Rosso (n.2, giugno-agosto 1966), Il Portico (n.7, luglio 1966 e Dopotutto-Letteratura (nn. 82-83, luglio-ottobre, 1966), Linea Sud (nn. 5-6 aprile 1967 e in Umanità Nova (25 novembre 1967).
Nel 1971 escono i saggi: Arti figurative ed avanguardie a Napoli in Arte e Poesia, a. III nn. 11-14: G. Pietro Lucini: Un fossile sbalorditivamente acceso, in Incentivi nn. 3-4. Compila inoltre otto profili di artisti meridionali per il primo e secondo volume dell’Arte contemporanea italiana (a cura di G. Quarta e F. Sossi), Ed. Presenza, Roma. Nel 1972 nella Rivista Prospetti, esce un folto gruppo di sue poesie. Con Franco Cavallo e Antonio Testa progetta la rivista Altri Termini. A Maggio del 1972 esce il primo numero della rivista in cui viene pubblicato il saggio Il credo estetico di Boccioni, a dicembre esce il n. 2 nel quale appaiono il poema Spartito numerato del silenzio e poesie da Silloge minore; pubblica, inoltre nello stesso numero la recensione-saggio La disoccupazione mentale. Nel 1973 esce Introduzione al Futurismo (Guida Editori, Napoli e la raccolta di poesie Roditore di Cancro, SIC. Altri Termini, Napoli. Nel n. 3 di questa rivista esce il saggio-recensione Lo stuzzicadenti di Jarry. Nello stesso anno abbandona Altri Termini e con Sergio Lambiase, Dario Spera, Antonio Testa e Glauco Viazzi fonda la rivista ES. Qui pubblica diversi saggi: Paolo Valera e la letteratura della sopravvivenza (n. 1 giugno-settembre 1974), Nel mondo di Sam Dunn (n. 2, gennaio 1975), L’essere Sinadinò (n. 3, febbraio-maggio 1975); L’Ekpyrosis e il miraggio nella poesia di Tito Marrone (n.5, settembre-dicembre 1976); Accumulo e proliferazione in Lucini (n. 7 gennaio-aprile 1978); Papini, il pragmatismo e il futurismo (n. 8, maggio-dicembre 1978); L’Hebdomeros di Giorgio De Chirico (n. 11, settembre-dicembre 1979); Poetica ed immaginario nella scrittura di D’Annunzio (nn. 12-13, gennaio-agosto 1980); Una nobile follia e la rivolta della Scapigliatura viene pubblicato nel 1976 negli Atti del Convegno dedicato a Igino Ugo Tarchetti. Nel 1977, esce a Losanna, nel volume curato da G. Lista, Marinetti et le Futurisme, presso Editions L’Age D’Homme, il saggio Idèologie marinettenne et le fascisme mentre nel volume luciniano Il Tempo della Gloria, curato da B. Malacrida, viene accolto il saggio Impegno ed ideologia in Lucini (Edizioni del Teatro Stabile di Como, Como 1977). Pubblica nel 1994 Ulisse, Dibattito col poeta (1997), e per la poesia Melusina, Marcus Edizioni (1997), e Frammenti per Poema, su Secondo Tempo, Marcus Edizioni, Napoli 2001, Piccolo poema barocco, Ogopoco, Potenza-Napoli, 2004 Il naso del clown, (racconti e aforismi) Marcus Edizioni, Napoli, 2005, e l’antologia Poeti in Campania, Marcus, Napoli, 2005.
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G. Zampa, I futuristi, arrabbiati, incompresi, in Corriere della sera, 9 febbraio 1973.
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C.Vitiello L’ossimoro ossia le opposizioni come generazione del mondo poetico in Gian Battista Nazzaro, accluso al volume Melusina. .


STELIO MARIA MARTINI nato nel 1934, docente di materie letterarie è stato tra i promotori dell’avanguardia, dando vita a numerose riviste: Documento—sud, Linea-sud, Continuum, Uomini e idee, Silence’s wake, E/mana/azione, con altri collaboratori quali Persico, Emilio Villa, Diacono, Desiato, Luciano Caruso. Ha partecipato alle grandi mostre Poesia visiva (Cinque maestri) Carrega, Martini, Miccini, Pignotti, Sarenco, Firenze, 1988) e L’ultima avanguardia (Spoleto, 1995). Ha pubblicato Schemi (prima pubblicazione italiana di scrittura visuale, Documento-sud, 1962, e Morra, 1989, Napoli), Turbiglione (Guanda, Parma,1965), Formulazioni non- A (Colonnese, 1972 e Morra, 1984, Napoli), Neurosentimental (Continuum, 1974 e Morra, 1983, Napoli), Calligrammi di Apollinaire (Morra, Napoli, 1984), L’impassibile naufrago (Guida, Napoli, 1986), Breve storia dell’avanguardia, (Nuove Edizioni, Napoli, 1988); Una postilla e altre storie (Mercato del Sale, Milano,1989), Poemi, calligrammi, metri, (Marotta, Napoli, 1991), Labentia signa (Ripostes, Roma, Salerno, 1993), La chiave universale (Morra, Napoli, 1997), Via nel tempo, (Il Laboratorio/Le Edizioni, Nola, 1997) Tramonto della parola, (Bulzoni, Roma, 1999), Tigri e filtri, (Edizioni Morra, Napoli, 2001); Forma sostanziale, Edizioni Morra, Napoli, Napoli, 2002.
Ampia e notevole risulta la sua opera di critica e saggistica.
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UGO PISCOPO è nato a Pratola Serra (AV) nel 1934, vive e lavora a Napoli. Saggista, scrittore, poeta, polemista, ha dedicato una vita alla scuola, dove è stato professore e preside nei Licei prima, ispettore ministeriale poi. Ha vinto un concorso di ricercatore di ruolo all’Università (Letteratura Italiana). Medaglia e diploma di benemerito per la scuola, per la cultura, per l’arte.
Per la saggistica ha pubblicato: Alberto Savinio, (Milano, Mursia, 1973, Vittorio Pica. La protoavanguardia in Italia (Napoli, Cassitto, Futuristi a Napoli. Una mappa da riconoscere (ibidem, 1983), Diego Valeri, (Roma Edizioni dell’Ateneo, 1985), Massimo Bontempelli. Per una letteratura dalle pareti lisce (Napoli, ESI, 2001). Collaborazioni a enciclopedie, atti di convegni, annali, riviste e quotidiani.
Per la narrativa ha pubblicato La casa di Santo Sasso, (Milano, Sellino, 1993), Scuola che sballo, (Napoli, Guida, 1997- Premio Finalista Ischia -Domenico Rea, 1998), Irpinia sette universi, cento campanili, (Napoli, ESI, 1998 — Premio Capri San Michele — 1999), Torneador e i suoi amici, (Premio di narrativa —“Monti Aurunci”, prima edizione, 2001).
Per la poesia ha pubblicato: (in plaquette), Catalepta, (Napoli, L’Arte Tipografica, 1963),- e - (Napoli, La Provincia Editrice, 1968), Jetteratura, (Manduria, Lacaita, 1984), Quaderno a Ulpia (pref. di G. Savarese, Napoli, Guida, 2002), Haiku del loglio, (Nota di G. Manacorda). Ha vinto, tra l’altro, il Primo Premio Gallicanum (1985) e il Primo Premio Luigi Petroselli (1996). Della sua opera si sono interessati: G.C Argan, F.Menna, E. Sanguineti, G. Manacorda, G. Savarese, D.Della Terza, G.Bàrberi Squarotti, S. Lanuzza, C. Di Biase, S.Campailla, F.Durante, C.F.Colucci F.Piemontese, A.Carandente, P.Maffeo, G.B.Nazzaro, M.Sovente, F.D’Episcopo, A.Trione, W.Pedullà, A.Montano, A.Benevento, M. Giodano, R.Mele.


FRANCO CAPASSO è nato a Ottaviano (Napoli) nel 1935. Ha fatto parte della redazione di Pianura, diretta da Sebastiano Vassalli. E’ stato redattore della rivista Oltranza diretta da Ciro Vitiello.
Attualmente fa parte della redazione di Secondo Tempo diretta da Alessandro Carandente. Ha pubblicato le seguenti raccolte di versi: Punto barometrico, Pianura/Itinerari, Ivrea, 1976, con prefazione di Raffaele Perrotta; La violenza simbolica, Pianura n. 2 gennaio 1977, Germinario, Edizioni Altri Termini, Napoli, 1979, Il segno e l’incisione, Il Bagatto, Bergamo, 1980, Orme sul lago salato, Edizioni Altri Termini, Napoli, 1983, con prefazione di Dario Bellezza; Febbre, Edizioni Ripostes, Salerno, 1985, con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti e post-fazione di Rubina Giorgi; Storie di vite con ripiani, Alfredo Guida, Editore, Napoli 1991, con prefazione di Gianbattista Nazzaro; Natàlia, Edizioni Ripostes, Salerno, 1993, Poesie del fuoco, Marcus Edizioni, Napoli, 2000, con prefazione di Marcello Carlino e post-fazione di Alessandro Carandente; La luce ha piedi sonori, “Versi avversi”, Filo D’Arianna, Napoli, 2000, Codici, Signum Edizioni d’Arte, Bergamo 2001; Miraggi, Edizioni Fermenti, Roma 2003, con prefazione di Francesco Muzzioli, Dei colori, Marcus Edizioni, 2004.
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G. Pandini, Messaggero Veneto, 30 giugno 1976.
D. Bellezza, Tempo illustrato, n. 51/52,26 dicembre 1976.
A. Genovese, Melangolo, sett/ott. n. 4, 1977.
S. Lanuzza, Prospetti, n. 43/44, sett/dic.1977.
M. Sovente, Il Mattino, 15 settembre 1977.
E. Pecora, La Voce Repubblicana, 2 giugno 1978.
S. Vassalli, L’Unità, 16 luglio 1979.
G. Pandini, Gazzetta di Parma, 20 settembre 1979.
D.Cara, Il sud come definizione e linguaggio, in Progetto selinuntino di G. Barresi, Milano 1979.
G. Manacorda, Rapporti, 18/19, sett/dic. 1980.
G.B. Squarotti, Letteratura italiana Contemporanea, Lucarini, 1982.
E. Fagnano, Notiziario, Il Calderone, n.0, giugno/luglio 1982.
G. Zagarrio, Febbre, furore e fiele, Mursia, 1983.
N. Cimmino, La Ginestra, dicembre 1983, anno 1 n. 1.
M. Grasso, Napolinotte, 16 settembre 1984.
F. Piemontese, Il Mattino, 8 settembre 1985.
A. Lolini, Il Manifesto, 5 ottobre, 1985.
G. Patrizi, Rinascita, n. 47, dicembre 1985.
J.Ch Vegliante, Les Langues nèo-latines n.255 Paris, dicembre 1985.
G. Manacorda, Letteratura italiana d’oggi, 1965-1985.
S. Lanuzza, Lo sparviero sul pugno, (Guida ai poeti italiani degli anni 80) Ed. Spirali, Milano 1987.
M. Lunetta, La poesia a Napoli, 1940-1987, Nuove Ed. Tempi Moderni, 1992.
M. Amendolara, Il giornale d’Italia, 28 ottobre 1993..
M.Carlino, Profilo critico di Franco Capasso in Oltranza, n. 3 maggio 1994.
A. Carandente, Storie di vita con ripiani in Memo, n. 2 febbraio-marzo, 1995.
L. Fontanella, Gradiva, n. 19, Spring, 2001
Figura nelle seguenti antologie e storie letterarie: Le printemps italien, Poésies des annés 70, a cura di J.C. Vegliante (Action poetique, n. 71, 1977), Testi e antitesti di poesia a Napoli, Altri Termini, Napoli, 1978, Sperimentazione linguistica e poesia a Napoli 1960/1980, a cura di Luciano Caruso, Ellisse, Napoli, 1979, Poesia della voce e del corpo, a cura di Matteo D’Ambrosio e Felice Piemontese, Pironti, Napoli, 1980, Altro Polo, a cura di Raffaele Perrotta, University Sydney 1980, Poesia italiana oggi, a cura di Mario Lunetta, Newton Compton,1981, Letteratura italiana contemporanea, Lucarini 1982, Febbre, furore e fiele, di Giuseppe Zagarrio, Mursia, 1983, Variazioni di parola, di Alessandro Carandente, Edizioni Ripostes, Salerno, 1984, Le proporzioni poetiche, a cura di Domenico Cara, Laboratorio delle Arti, Milano, 1985, L’assedio della poesia, a cura di Ettore Bonessio di Terzet, Napoli, 1999, Il paradosso dell’evidenza di A. Carandente, 1985/2001, Marcus Edizioni, Napoli, 2002.


CIRO VITIELLO è nato a Torre del Greco, nel 1936. Si è laureato con Battaglia con una tesi su Ungaretti. A metà degli anni Settanta entrò a far parte della redazione di Altri Termini. Si è interessato alla cultura scolastica e dell’editoria, dedicandosi alla creatività poetica e alla poesia visiva, con collettive personali in varie città italiane. Ha collaborato a quotidiani e riviste. Ha diretto le collane Poesia contemporanea presso Guida e la Linea proteiforme presso Glaux. E’ redattore di Involucro edita a Palermo. Nel 1992 ha fondato la rivista di letteratura e altro Oltranza.
Ha pubblicato un’antologia della giovane poesia dal titolo: La vitalità della poesia italiana a Napoli. Sulla rivista Assiomatico l’antologia poetica dal titolo L’assassinio della poesia. Nell’ottobre del 1995 a Roma, ha curato la rassegna tra arte e poesia dal titolo…. pacifica demenza dei tormenti. Per Ripostes dirige la collana Poeti contemporanei. Per la scuola nel 1994 ha pubblicato un commento a novelle del Boccaccio dal titolo Calandrino.
E’presente in antologie e letterature. Suoi testi sono stati tradotti in greco e in inglese. Un oratorio Requiem, è stato, nel 1995, musicato dal maestro Vincenzo Pellegrini.
Ha pubblicato le seguenti opere:
Poesia: Corpor.azioni, (Altri Termini, 1975), Ciclica, (Guida, 1979), finalista al premio Biella 1980, Apocalipse, quattro (Loffredo, 1980), Cantico d’Erugo (Il Bagatto, 1980), Didimo (Glaux, 1983), Le resistenze (Glaux, 1983). Ha traslitterato Quisquis o delle solitudini di Marcel Mahaut (Benolt Editeur, Paris, 1995, Suite (Guida, 1984), finalista al premio Carducci 1985, Accensioni (Guida 1991), Rapimenti Ripostes, 1992), Il gioco degli errori (Ripostes 1994), Baara (Alfredo Guida Editore 1995).Il male sorgivo, Edipro, Milano, (2001), La tenue armonia, Pironti, 2003.
Prosa: Le voci leggere (Medusa, 1987), Verso Occidente (Ferraro, 1987).
Critica: Teoria e tecnica dell’avanguardia (Mursia, 1984), Teoria e analisi del linguaggio poetico (Guida Editore, 1984), La logica letteraria (Glaux, 1984).
La poesia italiana contemporanea dal 1980 al 2001 con prefazione di Giulio Ferroni, Pironti Editore, 2003.
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M. Sovente, in Inchiesta sulla poesia, Bastogi, 1978, pag.349.
G.B. Nazzaro, Corpor.azioni, in Es n. 5 1975, Introduzione a Ciclica, Guida, 1979.
G. Zagarrio, Febbre, furore e fiele, Mursia, 1983, pag. 330.
F. Cordelli, Introduzione a Suite, Guida, 1984.
F. Cordelli, Introduzione a Suite, Guida, 1984.
M. D’Ambrosio, Eccedenza sintagmatica e fenomenologia simbolica in La ricerca letteraria a Napoli, Dick Peerson Napoli 1987 pp. 11-15.
S. Lanuzza, L’apprendista stregone, D’Anna, 1979, p. 144 Lo sparviero in pugno, Spirali, 1987, p. 9.
G. Manacorda, Letteratura italiana d’oggi, Editori Riuniti 1987, p. 224, Introduzione a Baara, Vimage, Napoli 1995.
W.Pedullà, in Poesia italiana della contraddizione, Newton Compton editori, Roma, p.313.
G. Bàrberi Squarotti, in Letteratura italiana contemporanea v. III, Lucarini, 1982 pag.547 (Introduzione a Le voci leggere, Medusa, 1987.
C. Ruggiero, Svelamento di superfici e di abissi nel quarto capitolo di Suite, in Verso Dove, Glaux, 1984, pp.90-113, Il doppio e il semplice in Quaderni dell’Agro, maggio 1984. Poi i due saggi, con rifacimenti, hanno formato la monografia critica in volume: Vitiello, Glaux, Napoli, 1992 pp. 235-235.
G. Gramigna, Introduzione a Accensioni, Guida, 1992.
G. Scotti, Ciro Vitiello poeta d’avanguardia, in Il paese del 17-10-1992.
G. Scalia, in La poesia a Napoli, Edizioni Tempi Moderni, Napoli, 1992 pp.235-236.
M. Lunetta, in La poesia a Napoli, Edizioni Tempi Moderni, p. 206, 1992
F. Piemontese, in Il Mattino del 23-4-1995.


ALESSANDRO CARANDENTE è nato a Quarto (Napoli) il 1958. Laureato in Filosofia, attualmente insegna Materie Letterarie in un Istituto Tecnico Commerciale. Poeta e critico letterario ha pubblicato Passo vegliante, Altri Termini, Napoli 1982, Variazioni di parola, Edizioni Ripostes, Salerno 1984, Extravaganze, ecrivoci, screzi d’alfabeto, Lan, Napoli 1992, Il supplente, Edizioni Ripostes, Napoli 1994, Baudelaire: il sacrificio come gioco, in Oltranza n. 3 Alfredo Guida Editore, Napoli 1994, Corpo in vista, Ilitia Edizioni, Napoli 2001, Il turno, Ilitia Edizioni, Napoli 1996, Bon ton bonsai bonbon, Marcus Edizioni, Napoli 2001, Specchio d’oblio, Signum edizioni d’arte, Bollate 2001, Il paradosso dell’evidenza, Marcus Edizioni, Napoli 2002, Ha tradotto dal francese A la lisière du temps (Al limite del tempo) di Claude Roy, Ed. Ripostes, Salerno-Roma 1992, e di Giuseppe Bilotta Rob Shazar, appunti e disegni, I.G.E.I., Napoli 1993. E’ presente in varie antologie tra cui Coscienza & evanescenza, poeti italiani degli anni Ottanta (Napoli 1986) e Poesia italiana della contraddizione (Roma 1989). Figura invece tra i curatori dell’antologia In my end is my beginning, poeti italiani degli anni Ottanta/Novanta (Ripostes, Salerno 1992). Dirige dal 1997, per conto di Marcus Edizioni, la rivista letteraria Secondo Tempo giunta al libro ventesimo.

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F. Piemontese, Ma i giovani non mancano, in Il Mattino, 1982.
M. Lunetta, Poesia: neo-sperimentalismo materialistico?, in Altri Termini, n. 2. III serie, SEN Napoli, 85.
B. Cepollaro, Tra scrittura e ri-scrittura, in La poesia in Campania, Forum Q/G. Forlì 1990.
E.Lucrezi, Mobilità sperimentale di una interazione, in Hellas, Firenze 15 ottobre 1991.
G. Manacorda, La rivista Altri Termini, in La Poesia a Napoli 1940-1987, a cura di Matteo D’Ambrosio, Nuove Edizioni, Tempi Moderni, Napoli, 1992.
G.Bilotta, Giocare con le parole, Introduzione a Extravaganze, ecrivoci, screzi d’alfabeto, LAN, Napoli, 1992.
C.Vitiello, La vitalità della poesia a Napoli, in Novilunio, Insula Kilchberg, anno 3° e 4°, 1993-1994.
S. M. Martini, Rosario, il precariota dal futuro impedito, in Il Giornale di Napoli, 9 giugno 1994.
G. Battista Nazzaro, Alessandro Carandente, in Dibattito col poeta, Ilitia Edizioni, Napoli 1997.
M. P. Ruggiero, Dromena: ai confini della parola, in Roma, 29 marzo 1997.
R.Perrotta, Alessandro Carandente, laboratorio di stile in Letteratura — Tradizione, anno I, n. 2, dicembre-gennaio, Edizioni del Veliero, Pesaro, 1998.
U. Piscopo, Recensione a Secondo Tempo, libro sesto in Guida ai libri, mensile anno VII, n. 10, Napoli 1999.
C. Falanga, Le riflessioni in Secondo Tempo, in Roma, 30 ottobre 1999.
V. Magrelli, Manoscritti e libri in fiamme, in Avvenire, 23 dicembre 1999.
L. Ciccone, Futurismo, Il Diagramma 32, Napoli 2000.
F. D’Episcopo, Mezzogiorno mediterraneo, mondo, in Antologia di poeti flegrei, Marcus Edizioni, Napoli 2001.
M.Carlino, Recensione a Il paradosso dell’evidenza. Saggi e interventi (1985-2001), in Secondo Tempo, libro sedicesimo, Marcus Edizioni, Napoli 2002.
A. Spagnuolo, C’è ancora spazio per la poesia? in Il Denaro, sabato 14 dicembre 2002.
G.B.Nazzaro, Uno specchio che riflette un tempo lungo e sofferto in Il Denaro, sabato 18 gennaio 2003.


TOMMASO OTTONIERI pseudonimo di Tommaso Pomilio. E’ nato nel 1958 ad Avezzano (L’Aquila). Vive e lavora a Roma. Ha fatto parte del gruppo “Cryptopterus Bichirris”. Ha pubblicato: Dalle memorie di un piccolo ipertrofico, prefazione di Edoardo Sanguineti, Milano, Feltrinelli, 1980, Coniugativo, Milano, Corpo 10, 1984, Crema acida, Milano-Lecce, Lupetti-Manni, 1997; Elegia Sanremese, prefazione di Manlio Sgalambro, Milano, Bompiani, 1998, (poesia con disco), L’album crèmisi, Roma, Empiria, 2000, Coro da l’acqua per voce sola, Edizioni d’if, Napoli, 2003.
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E. Sanguineti, prefazione alle Memorie di un piccolo ipertrofico, Milano, Feltrinelli, 1980.
M. Sgalambro, prefazione a Elegia Sanremese, Milano Bompiani, 1998.
G. Alfano, Spettri III. Contesti mediatici e presenze medianiche in Elegia Sanremese di Tommaso Ottonieri su L’Apostrofo, Pietro Chegai Editore.
Niva Lorenzini, La poesia italiana del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1999, pag. 181.
G. Gaetani, Contatto, Poesia, Milano, Crocetti, anno XVI, marzo 2003, n. 170, pag.71.
Carlo Felice Colucci, Il Segnale, 2003.


IRENE MARIA MALECORE è nata a Lecce e vive a Napoli. La sua attività letteraria si svolge su due direttrici principali: la poesia e il folklore. Per la poesia ha pubblicato: Il grano già suona, Rebellato, Padova 1960; Le quattro porte, Guanda, Parma 1965; La cabala, Pan Editrice, Milano 1972, finalista Premio Viareggio 1972; Il punto unico, Rebellato, 1978, I° Premio Nazionale di Poesia G.A. Borghese, Palermo 1981; finalista Premio Pontano Poesia, Napoli 1979, Altro luogo altro tempo, Laterza, Bari 1981, II° Premio Ticino, Lugano 1981. La nostra dimora, Edizioni del Leone, Venezia, 1993.
E’ presente in Italian Writing of the 1980’s Poetry and Prose, April 7.8.1989, Harvard University Department of Romance Languages and Literatures. Figura in Yearbook of italian Studies, vol.9, Casalini Libri, Fiesole )FI), Italy 1991, con cinque poesie inedite ed un saggio introduttivo di M. Frank (Harvard University).
Per il folklore, ha pubblicato La poesia popolare nel Salento, Firenze Olschki 1967, Premio Ministeriale dell’Accademia dei Lincei per la Filologia e la Linguistica nel mondo moderno per il 1969). La lotta contro i Turchi epopea popolare di una regione italiana, Torino, 1961. Un dramma popolare che si rappresenta in un paesino del Salento, Olschki, Firenze, 1962. Contributo allo studio del costume popolare talentino, Udine, 1969. Per l’Indice delle fiabe mantovane, Olschki, Firenze, 1970. La superstizione nel “ De situ Japygiae” di A. De Ferraris detto il Galateo. Palermo, 1971. Les drames populaires dans les Pouilles aujourd’hui, I° Congrès International d’Ethnologie européenne, Paris, 1971. Letteratura e tradizioni religiose popolari nel Salento, Olschki, Firenze, 1974.Proverbi francavillesi (Olschki, Firenze, 1974). Occidente e Oriente europeo in un rito spettacolo nel Salento, Gorizia, 1977. Il Museo di tradizioni popolari centro attivo di ricerca e di dialogo, Gorizia, 1978. La religiosità popolare, canti natalizi popolari salentini, Udine, 1980. Tradition et innovation in popular paste-board art in Lecce and Salento (Puglia), II° Congress of the International Society for European Ethnology and Folklore, Moscw, september 30 — october 6, 1982 .
Ha partecipato come relatrice a Congressi Nazionali e Internazionali (Parigi, 1971, Mosca 1982, Zurigo 1987, Bergen 1990). Ha pubblicato un libro di narrativa La Tarànta (La Ginestra, Firenze, 1983).

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L. Orsini, Il grano già suona, Il Baretti, nn. 5-6, settembre-dicembre 1960.
F. Riccio, Il grano già suona, Il Baretti, nn. 19-20, gennaio-aprile 1963.
M. Sovente, La poesia in Campania, Forum Quinta Generazione, n.XII, 1985.
E. Lucrezi, La stagione napoletana de Il Baretti. Il trentennale di una importante rivista letteraria. “Esperienze letterarie”, anno XV, n. 2, 1990.
E. Lucrezi, Mobilità sperimentale di un’interazione,” Hella”s, n.15 ottobre, 1991.
D. Della Terza, Il secondo tempo della rivista Il Baretti: il momento napoletano, in “La poesia a Napoli” 1940-1987, a cura di Matteo D’Ambrosio, Nuove Edizioni Tempi moderni, 1992, pp. 126 e 128 e segg.
L. Fontanella, Poesia a Napoli negli anni 60. Una campionatura, in “La poesia a Napoli” 1940-1987, a cura di Matteo D’Ambrosio, Nuove Edizioni Tempi Moderni, 1992, pp.155-159.
C. F. Colucci, Intorno alla poesia a Napoli, “Oltranza”, n. 1, marzo 1993.
E Lucrezi, Dimore in versi di civiltà senza voce, “Roma”, 27 aprile 1993.
S. M. Martini, Cento meno uno, “Omero”, agosto-novembre,1995.


RINA LI VIGNI GALLI è nata a Torre del Greco (Napoli), nel 1932, vive a Catanzaro. Ha pubblicato il suo primo libro di poesie: Contro lo specchio freddo, nel 1979, con la Società Editrice Napoletana, nella Collana diretta da Domenico Rea; e ancora per la S.E.N., nel 1986, nella collana diretta da Giancarlo Majorino, il secondo volume di poesie: Dettati d’aria, con una prefazione di Giuliano Gramigna. Nel 1991 è uscito il libro di poesie: Le parole mansuete, per la collana “Contemporanea”, curata da V. Zeichen e G. Scalise, Ed. Campanotto. E’ stata fondatrice e redattrice della rivista di poesia Incognita, dal 1982 al 1986. In Calabria, dove vive da molti anni, ha fondato il Premio di poesia Tropea- Brutium.
Da più di un decennio collabora alla 3^ pagina de La Gazzetta del Sud.

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M. Grillandi, Prefazione a Lo specchio freddo, 1976.
M. Sovente, in La poesia a Napoli, Quinta Generazione, Forlì, 1985
G. Gramigna, Prefazione a Dettati d’aria, 1986.
D. Bellezza, Scrivere versi — Flirtando con la vita, Il Mattino, 20-5-1986.
W. Pedullà, Dettati d’aria, poesie scritte con le unghie.
M. Spinella, Prefazione a Le parole mansuete, 1991.
F. Loi, La donna ispiratrice dei poeti si ritrova musa di se stessa,
Il Sole 24 Ore,16.2.92.
M. Sovente, Parole mansuete cercano la vita, Il Mattino 31-3-1992.
P. Ruffilli, Tre candide muse con la penna rosa, Il resto del Carlino,
16-9-92.

Nella citazione di alcune note biobibliografiche si è tenuto conto dei dati presenti nel saggio di Alessandro Carandente “Il Turno”, Ilitia, Edizioni, 1996, mancando utili riscontri. Per i testi poetici, riportati, in sintesi, nella sezione - Dalla tradizione, al Rinnovamento, allo Sperimentalismo (trasgressivo)-, si è fatto riferimento ai volumi pervenuti e alle riviste letterarie Risvolti, di Giorgio Moio; Capoverso di Carlo Cipparrone e La parola abitata di Enrico Fagnano. Un grazie particolare rivolgiamo a Carlo Felice Colucci per i documenti letterari messi a disposizione rivelatisi indispensabili per la realizzazione di quest’opera, ad Alessandro Carandente per i libri di Secondo Tempo, e a Franco Cavallo per l’antologia Altri Termini.


Antologie principali consultate

L. Anceschi, S. Antonelli, Lirica del Novecento, Vallecchi, Firenze, 1953.
E. Falqui, La giovane poesia, ed. Colombo, Roma, 1956.
L.Anceschi, Lirici nuovi, Antologia di poesia contemporanea (1943) 2^ edizione, Milano, Mursia, 1964.
F. Bruno, La poesia d’oggi (1945-1965), Il Sestante, Padova, 1966.
A. Berardinelli — F. Cordelli, Il pubblico della poesia, Cosenza, Lerici, 1975
S.Ramat, Storia della poesia italiana del Novecento, Mursia, Milano, 1976.
G. Majorino, Poesie e realtà, 45-75, Roma, Savelli, 1977.
A. Porta, Poesia degli anni settanta, Milano, Feltrinelli, 1979.
L.Orsini, Otto-Novecento- Fra poesia e prosa - S.E.N., Napoli, 1980.
G. Raboni, Poesia italiana contemporanea, Firenze, Sansoni, 1981.
M. Lunetta, Poesia italiana oggi, Roma, Newton Compton, 1981.
R. Luperini, Il Novecento, Torino, Loescher, 1981.
G. Raboni, Poesia italiana contemporanea, Firenze, Sansoni, 1981.
G.Bàrberi Squarotti, Letteratura italiana contemporanea, Ed. Lucarini, Roma, 1982.
G. Zagarrio, Febbre, furore e fiele, Mursia, Milano, 1983.
M. Cucchi, Dizionario della poesia italiana, Mondadori, 1983.
G. Spagnoletti, Letteratura italiana del nostro secolo, Mondadori, 1985.
M.Sovente, La poesia in Campania, Quinta Generazione, Forlì, anno XIII, Sett. Ott. nn.135-136, 1985.
R.Pagnanelli, Studi critici- Poesia e poeti italiani del secondo Novecento, Mursia, 1991.
D.Cara, La conversazione dell’oggetto poetico, Ed. Laboratorio delle arti. Milano, 1993.
G.Spagnoletti, Storia della letteratura italiana del Novecento, Newton Compton, 1994.
P. Giannantonio, Il Novecento Letterario, Loffredo Editore, 1994.
M.Cucchi — S.Giovanardi, Poeti italiani 1845-1995, Mondadori, 1996.
G.B.Nazzaro Dibattito col poeta-Poesia a Napoli- Ilitia-Edizioni, 1997.
N. Lorenzini, La poesia italiana del Novecento, Il Mulino, Bologna, 2000.
G. Majorino, Poesie e realtà, 45-77, Savelli, Roma, 1977 (aggiornata Poesie e realtà, 1945-2000, Ed. Tropea, Milano, 2000.
G. Leonelli, Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato in 10 tomi. Tomo nono, Salerno ed. Roma 2000, (paragrafo XIII: La poesia del secondo 900, a cura di Giuseppe Leonelli
F. Loi e D. Rondoni, Il pensiero dominante, Garzanti, 2001.
V. Esposito, L’altro Novecento, Bastogi, Foggia, 2003.

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