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lunedì 14 giugno 2010

La parola negata (rapporto sulla poesia a Napoli)


Prima parte

PREMESSA

L’autore di questo volume, consapevole delle enormi difficoltà relative alla compilazione di un’antologia, non ha voluto sottrarsi al desiderio espresso da alcuni intellettuali napoletani, che gli hanno chiesto di approfondire il problema dei poeti meridionali “dimenticati” dai repertori della poesia italiana contemporanea, che in nome dell’autonomia e dell’arbitrarietà stanno attuando vere e proprie estromissioni, con ingiustificati sbilanciamenti a favore di una sola area geografica -quella del Nord-, contro il resto del territorio italiano, più in specifico napoletano, che qui prendiamo come exemplum per l’indubbia rilevanza qualitativa e quantitativa delle opere poetiche pubblicate. Si sta, insomma, consolidando uno status poetico da parte dei maggiori centri editoriali che non hanno più bisogno della critica ”considerata inutile, poiché l’elogio è sostituito dalla vendita riuscita e il rimprovero eventuale dalla mancata vendita. Queste sono le critiche. Ciò che non si vende, non c’è bisogno di criticarlo oltre. Se esistessero dei giudizi pubblici linguistici (la cui mancanza è naturalmente una mancanza di libertà), questi violerebbero agli occhi degli imprenditori la libertà loro concessa: appunto la libertà di offrire le loro merci sul libero mercato. Naturalmente esistono anche critiche “positive”.
Ma queste, a differenza delle critiche culturali o letterarie, non vengono scritte da colleghi, ma appunto dalle imprese stesse. In breve: consistono nella pubblicità” (1).
Il Meridione, isolato nei suoi fallimenti economici, con “i casi più vistosi, del Banco di Napoli e della Cirio, della Società Risanamento e dell’Alenia” (2), soffre da anni della totale assenza di una classe imprenditoriale fatta di autentici businessman, mentre si consolidano le piccole case editrici, tipo print on demand, con collane di poesia che non raggiungeranno mai il top delle vendite, per difetto di distribuzione e di pubblicità, al contrario dei vari Mondadori o Einaudi, che restano le sigle più ambite e mitizzate dagli scrittori, anche se pochi vedranno pubblicate le proprie opere, e molti si autoescluderanno da un mercato rigorosamente selettivo, lontano da una letteratura capace di uscire dalle maglie di una dilagante koinè poetica e superare così“la staticità dei canoni letterari nazionali e le metodologie previste per la letteratura già canonizzata”(3), nonostante le vie del web e i siti internet comincino ad essere i canali preferiti dai poeti, oltre ai festival e agli slums dove si trova un po’ di tutto: dai versi pop a cose più serie, che parlano di “periferie urbane, immigrazione, nuove forme di povertà” (4).


Questa Antologia non si occupa dei poeti deceduti, ma si limita ai poeti di Napoli e del suo hinterland, nati nel 1920, (con il decano Alberto Mario Moriconi), fino al 1960: un periodo circoscritto alla cosiddetta quarta, quinta e sesta generazione, passando dalla Tradizione, al Rinnovamento, allo Sperimentalismo (trasgressivo), senza escludere gli esiti della poesia femminile e le tante proposte innovative dalle diverse sigle editoriali, riservando per ciascun poeta una breve scheda che non riveste il significato di “critica” ma di “opinione”, fino a riportare in superficie un tratto “sommerso” della poesia del secondo Novecento a Napoli, come patrimonio culturale di complesse pluralità operative, inscindibili dalle tante Antologie critiche di ieri e di oggi, nonostante le defezioni di alcuni poeti come Gabriele Frasca, Felice Piemontese, Wanda Marasco, e Michele Sovente, che pur essendo stati invitati, si sono autoesclusi mimetizzandosi nel silenzio e nella cosiddetta — divisività -, (5) che non è nata oggi, ma che ci portiamo dietro dall’inizio della nostra storia di paese apparentemente unito.(Faziosità, il male oscuro che spacca l’Italia- di Giuliano Gallo- Corriere della sera, 2 luglio, 2004, pag. 31, come recensione al volume - Due Nazioni. Legittimazione e delegittimazione nella storia dell’Italia contemporanea -, a cura di Loreto Di Nucci e Galli della Loggia).
L’Autore ringrazia tutti coloro che hanno autorizzato la pubblicazione dei testi poetici in particolare: Alberto Mario Moriconi, Franco Riccio, Aristide La Rocca, Carlo Felice Colucci, Franco Cavallo, Antonio Spagnuolo, G. B. Nazzaro, Stelio Maria Martini, Ugo Piscopo, Franco Capasso, Ciro Vitiello, Alessandro Carandente, Tommaso Ottonieri, Irene Maria Malecore e Rina Li Vigni Galli; nonostante abbiano avuto ampi e importanti riconoscimenti perfino al Nord, (ad onta di certe ingiustificate omissioni che rappresentano appunto uno dei temi se non il principale di codesta trattazione), tuttavia non tanti, quanti ne avrebbero certamente meritato, avvertendo che la presente “antologia” (se così la si vuol definire per comodità espositiva) non vuol essere l’ennesimo repertorio dei poeti napoletani o censimento, di cui certo non si avverte la necessità. Ma come già si è accennato, e come meglio si capirà più avanti, la ragione ed il senso di questa parola negata, a partire-ovviamente-dal titolo, risiedono in ben altro.
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(1) Linguaggio e tempo finale di Günther Anders, MicroMega, 5-2002, pag. 103.
(2) Sud contro Sud, gli inediti nemici di Paolo Macry, Corriere del Mezzogiorno, 27 aprile 2003.
(3) I nipoti di Chamisso di Daniela Roversi, Chichibìo nn. 21-22, anno V, gennaio-aprile 2003, pag. 12.
(4) Tommaso Ottonieri, Lo Specchio, 14 giugno 2003, n. 377 pag.58.
(5) Il neologismo è dello storico Luciano Cafagna.


CORRELAZIONI ALLA GIUSTIFICAZIONE


All’editore compete di scegliere secondo il suo giudizio di convenienza tra le offerte sottopostegli; e potrà anche arrogarsi il diritto di manipolare i testi, nel processo di mercificazione cui dà avvio per farli giungere al lettore. L’imprenditore editoriale, anche il più forte non fa altro che scoprire, potenziare, prolungare linee di tendenza obbiettivamente esistenti. Il suo potere contrattuale è rilevante, rispetto sia a chi scrive sia a chi legge nell’ambito però di un rapporto di mediazione che non tollera di esser forzato troppo oltremisura.
(Carlo Salinari, Cesare Ricci)

Le antologie si fanno (si sono sempre fatte e si faranno), così come si fanno i codici di giustizia, i partiti della libertà, le chiese della fede religiosa, le città perfette dell’utopia sociale: è il segno oggettivo della loro necessità e dunque della loro utilità. Sempre che non diventino operazioni politicamente interessate di restaurazione, di frenaggio.
(Giuseppe Zagarrio)

Ogni letteratura, come ogni storia, è un quadro di forze vincenti, che dovrebbe però esser visto in trasparenza in modo da consentire la sovrimpressione fra diritto e rovescio.
(Luigi Baldacci)

I curatori di antologie si rifiutano di ammettere di aver curato un’antologia. In fin dei conti nessuno vuole riconoscere di aver fatto quello che ha fatto e così si genera il paradosso di qualcosa che esiste e non esiste allo stesso tempo.
(Rolf Grimminger)

Un’antologia è pur sempre un arbitrio, e non c’è criterio di presunta oggettività che possa giustificarlo.
(Enzo Siciliano)


Le antologie sono state inventate per far litigare la gente. Se sono legate al presente i viventi esclusi (o inclusi in modo secondo loro non congruo) vorrebbero fulminare il curatore (o i curatori). Se sono legate al passato ci pensano i filologi (una categoria litigiosissima, capace di trasmettere l’odio per un collega nemico fino alla terza generazione degli allievi) a rivedere, come si dice, le pulci al malcapitato di turno.
(Paolo Mauri)

La critica letteraria si chiude in se stessa, si isterilisce nell’ambito accademico e nel microspecialismo, smarrisce il nesso fra filologia e interpretazione (e, anche, all’opposto, aggiungerei, la coscienza della distinzione fra questi due momenti) oppure si subordina alle esigenze del mercato e dei mass-media, diventando chiacchiera impressionistica, mero intrattenimento.
(Romano Luperini)

La creazione letteraria del XX secolo ha saputo penetrare nello strato più profondo del Dasein e dominare il presente, non accontentandosi soltanto di descriverlo. Essa è riuscita anzitutto a sciogliere e a coniare di nuovo, secondo un nuovo stile, le forme e i generi letterari ereditati dalla tradizione, associandoli e mescolandoli in tutte le combinazioni possibili.
(Hans Freyer)

Le probabilità che la verità di fatto sopravviva all’assalto del potere sono veramente pochissime.
(Hannah Arendt)

L’esperto di poesia è l’esperto di sé. Perciò l’esperienza della poesia è una continua messa in crisi dei luoghi comuni e delle impalcature di opinioni che acriticamente si accetta.
(Franco.Loi, Davide Rondoni)

La poesia ha saputo affrontare ardui problemi del pensiero e della vita: tutto questo va documentato senza fare questioni di genere letterario.
(Cesare Segre, Carlo Ossola)



GIUSTIFICAZIONE

Il fenomeno delle omissioni nelle antologie sta assumendo proporzioni tali da modificare completamente il quadro della poesia italiana, con gravi ripercussioni sulla visibilità di molti poeti, in particolare della Campania, numericamente più rappresentativi di quelli delle altre regioni del Centro-Sud, e per di più condannati anche dalla “storia”, che “procede per repressioni, per grandi operazioni di pulizia etnica, e quindi per falsificazioni”, specie quando“il discorso critico e la sua soluzione storiografica si traduce in uno schiacciamento sulla contemporaneità”. (Luigi Baldacci Novecento passato remoto- pagine di critica militante, Rizzoli, gennaio 2000, pp. 18-19).
L’invisibilità, che circonda gran parte di questi poeti ci ricorda, vagamente, Il cavaliere inesistente di Italo Calvino, e più in specifico, il protagonista Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, Cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez, pignolo e intransigente paladino che non esiste, dato che nella sua brillante armatura è il vuoto, e per questo è deriso e schernito dai suoi compagni. Tuttavia, Agilulfo è il migliore tra tutti gli armigeri al servizio di Carlo Magno. Sta di fatto che molti Repertori, da più di venti anni, si sono chiusi in uno spazio culturale ben definito e caratterizzato da uno squadrismo letterario che lascia poche possibilità d’accesso a chi ne ha titolo e merito, anche se esistono nelle più lontane periferie, cose valide che, come diceva Pasolini, non si ha il coraggio di farle venire a galla, né si può sperare in un intervento della critica poichè essa ha smarrito il legame tra letteratura e società, dopo l’avvento del poststrutturalismo in cui prevalgono le ipotesi decostruzioniste e neonichiliste che annientano la testualità letteraria nella sua specificità. (Romano Luperini, Breviario di critica, Guida, pag. 59), mentre avanzano, a tutto campo, piccole e grandi storie della letteratura italiana con proprie gerarchizzazioni e scale di valori, e per di più con il grave difetto delle omissioni. Di questo siamo più che convinti, abituati a leggere Repertori poetici che inducono, il più delle volte, a ipotizzare che dal Lazio in giù, si sia operata una vera e propria discriminazione se non addirittura “selezione” che ha messo in un angolo poeti dai registri innovativi di sicuro interesse, secondi a nessuno.
Il luogo geografico da noi scelto riguarda una Regione ad alta densità poetica, vale a dire la Campania con epicentro culturale Napoli, definita a suo tempo da Malaparte non una città ma un mondo, culla di Benedetto Croce, di Francesco De Sanctis, di Giovanni Gentile, di narratori come Luigi Compagnone, Luigi Incoronato, Raffaele La Capria, Lanfranco Orsini, Anna Maria Ortese, Mario Pomilio, Michele Prisco, Domenico Rea, Enzo Striano; locus naturale del teatro dialettale di Eduardo De Filippo, della poesia popolare di Salvatore Di Giacomo e dell’Umanesimo meridionale che hanno fatto da lume alla cultura italiana. Per tutti i motivi sopra esposti, giustifichiamo questa antologia in nome di una poesia da troppo tempo esclusa dalle collane dei grandi Editori e da un management sempre più attento al diritto di scelta e al raggiungimento del budget, non importa se poi a rimanere ai margini del mercato sia il prodotto innovativo e di qualità. Le dimenticanze, purtroppo, non si limitano alla sola poesia e risalgono, probabilmente, al dibattito storico-politico intorno alla questione meridionale che spesso ha cancellato l’altro parallelo filone della componente letteraria, che parimenti contribuisce ad analizzare il problema e a rifletterne i caratteri peculiari. Facilmente si dimentica che nel Mezzogiorno fiorirono un romanzo popolare attento a coglierne la dolente realtà sociale con Mastriani, una narrativa veristica che scopre efficacemente i malanni del Sud con Verga e De Roberto, una saggistica che denuncia coraggiosamente la miseria e le deformazioni ambientali con Villari, Serao, Fucini e White Mario.
Anche alle opere di questi autori, dunque, bisogna far capo se si vuole veramente conoscere il meridionalismo in tutta la sua estensione culturale, letteraria e rappresentativa oltre che politica, storica, sociale ed economica.”(Pompeo Giannantonio, Rocco Scotellaro, Mursia, Milano, 1986, pag.7).

Molti sono stati i poeti napoletani che hanno percorso vie diametralmente opposte a quelle della tradizione, aggregandosi alla realtà dell’intellettuale organico in una prospettiva poetica di work in progress e di febbrile spinta avanguardista. Cosicché la scrittura comprensiva d’ogni sapere, affrontata da Roland Barthes nell’opera Il piacere del testo, ha comportato per alcuni poeti qui presenti, un adeguamento al processo d’analisi della forma letteraria, compreso lo sperimentalismo tout court, e il rifiuto del riflusso riscoperto come autentica griffe dall’industria editoriale, alla ricerca di “casi” letterari, veri o presunti tali, con tanti curatori che continuano ad essere sempre sordi da una parte e ciechi dall’altra, finendo con l’essere essi stessi i promotori di un razzismo etnico-culturale simile a quello degli anni Cinquanta-Sessanta, quando a Torino facevano bella mostra di sé sulle facciate dei portoni e nelle bacheche, le famigerate scritte:“Non si affitta a meridionale!”Oggi che la biologia molecolare sembrerebbe, anche confermare, in qualche modo, la tesi di Julian Huxley e Alfred Haddon, secondo la quale il razzismo non è scritto nei geni, ma è un prodotto della nostra cultura, appare ancora più grave tollerare l’odio e l’indifferenza, infatti:“I livorosi, non mirano ad un proprio avere, ma al non-avere degli altri. Ciò che non sopportano e che gli altri godano di un vantaggio”.(Günther Anders, Linguaggio e tempo finale, MicroMega, 5-2002, pag. 117). Questo è un altro motivo che concorre all’invisibilità dei poeti offuscati da un pregiudizio meneghino o lombardo-veneto, che vuole a tutti i costi, “creare una brutale scissione degli “italiani” al di sopra ed al di sotto del 40° parallelo “. (Giuliano Manacorda, I Limoni, Caramanica Editore, 2001, Non due ma cinquanta anni di poesia, pag.12); e si dà il caso che a segnare un’altra ingiustizia sia un poeta non più giovane, ma dal passì di tutto rispetto, vale a dire Giancarlo Majorino! Questa tesi si può dimostrare andando a ritroso nel tempo, intorno agli anni 45-75 quando Egli pubblicò i primi Repertori da Savelli nel 1977, aggiornati in Poesie e realtà del 2000. Da allora ad oggi, nulla è cambiato e tanti sono quelli che hanno bussato alla sua porta, con libri e libretti non richiesti, è vero, ma sempre degni d’essere letti.

Non sfuggono alla “regola” delle “omissioni” e alla chiamata di “correo”, le antologie di Porta, di Berardinelli e Cordelli, di Mengaldo, di Cucchi e Giovanardi, e i tanti rapporti sulla poesia, sempre più elitàri e riduttivi, che solo per ristabilire la verità si dovrebbe permettere anche agli altri il diritto di rivelare la parola negata. L’etichetta prestige non si addice alle antologie monche e settimine se si toglie visibilità agli altri poeti la cui sfortuna è vivere al Sud.
I guastatori di antologie continueranno a disinformarci in ogni caso, attraverso operazioni che nulla hanno a che fare con il concetto di stato poetico generale.
Molto si è mistificato in questi anni di poesia amorfa e atonale, e molti poeti sono stati ridotti al silenzio da assurde pubblicazioni antologiche, che se da una parte hanno spaziato sull’intero Novecento, dall’altra hanno proposto autori già editi dai maggiori editori, accentuando ancora di più i confini della separazione territoriale, che permangono, costantemente, fino alla prossima antologia o ingiustizia.
Questo “dossier” vuole ristabilire un percorso di verità e di quanto si è venuto a produrre a Napoli con i poeti della quarta, quinta e sesta generazione che hanno dato maggiore impulso e creatività negli anni in cui Zagarrio li includeva in Febbre furore e fiele, Mursia, 1983, che è l’antologia più chiara, la più pertinente e la meno omissiva scritta fino ad oggi.
La ricerca si è indirizzata agli aspetti esteriori del testo, fino a spingerci nelle autonomie verbali e nelle formulazioni linguistiche e metasperimentali, come continuità di un rapporto dialettico tra chi vive la vita di tutti i giorni e chi la traduce emotivamente nei versi.
I poeti antologizzati pur non essendo dei Montale, dei Quasimodo, degli Ungaretti o dei Sinisgalli, esprimono e testimoniano valori umani e letterari difficilmente collocabili negli umidi e ombrosi scantinati della periferia, o in quella zona che si estende più in là del sottobosco.

Il nuovo corso della poesia napoletana nasce con il rifiuto dei moduli ermetici e neocrepuscolari, tramite l’acquisizione di un linguaggio che, pur integrandosi con lo sperimentalismo neoavanguardista, si distacca dalle forme anarchico-marxiste, attraverso la proposizione di un “messaggio ribaltato”, dando vita ad un “rinascimento poetico”, che non esclude l’acquisizione delle figure grammaticali percepite for its own sake and interest, al di là e al di fuori del significato delle parole (Hopkins).
Da qui la fusione di stili diversi e di temi sociali, politici, meditativi ed estetico-religiosi; che hanno dato giustificazione anche alle proposte verbo-visive realizzate con personale intuizione da Stelio M. Martini e da Luciano Caruso e alle tante opere di poeti che hanno inaugurato decorose pubblicazioni nei Quaderni della Fenice di Giovanni Raboni, passando addirittura nell’Almanacco dello Specchio, su Nuovi Argomenti, nella Rivista Quinta Generazione fino al complesso lavoro critico, antologico e bibliografico dal titolo La poesia a Napoli (1940-1987), a cura di Matteo D’Ambrosio, Nuove Edizioni Tempi Moderni 1992, con le relazioni di Luigi Fontanella, Mario Lunetta, Armando Maglione, Giuliano Manacorda, Filiberto Menna, Lamberto Pignotti, Vittorio Russo e Gianni Scalia, intorno agli anni Quaranta - Ottanta, con una vasta campionatura di voci consolidate e di poeti emergenti, e un dettagliato percorso storico della rivista Altri Termini, fondata nel 1972 da Franco Cavallo, che ha rappresentato un punto di riferimento per capire il periodo che va dal 68 e la neoavanguardia agli anni del boom della poesia, rivelando alcune personalità da G.Bisinger a F.Capasso, da G. Conte a C. Viviani, da J.P.Faye a J. Rothenberg ecc. in una prospettiva di aggancio con le avanguardie storiche e con il surrealismo…raccogliendo pagine critiche di indubbio significato fino ai vari esercizi di lettura dei più importanti autori.
Sul discorso delle “omissioni” neppure la narrativa ne esce indenne: infatti, nella pagina Cultura del Corriere della Sera di mercoledì 12 marzo 2003, Giovanni Raboni, con un titolo a sette colonne: “Testori, la voce di un cristiano condannato al silenzio”, fa notare un altro caso di ricusazione pregiudiziale nei confronti di un “autore che aveva fatto dell’anticonformismo e dell’integrità la sua regola”, come risulta dalla biografia di Fulvio Panzeri su Testori.”Come mai, scrive Raboni, uno scrittore che dalla fine degli anni Cinquanta, ai tempi dei suoi primi grandi libri di narrativa, aveva suscitato molto interesse e non pochi consensi, adesso, che aveva fatto tanta altra strada, che aveva alle spalle dei capolavori come la Trilogia degli Scarrozzanti e Passio Letitiae et Felicitatis, adesso che era nel pieno della sua maturità e genialità espressiva e ci stava consegnando alcuni dei suoi testi più imprevedibili e sconvolgenti — si vedeva circondato dalla sordità, dalla distrazione, dall’indifferenza?”.

La risposta è nell’intervista data dallo stesso Testori a Fulvio Panzeri:“Davo e do fastidio perché c’è uno scrittore che è cristiano”.Questo è un caso particolare, seppure non isolato, che, comunque, non riguarda i poeti napoletani più di tanto.
Ma se poi andiamo a verificare ne la Storia della letteratura italiana diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Il Novecento, Garzanti, 1987, Volume II°, Poeti del secondo Novecento, pag. 213, è lo stesso Raboni a praticare le omissioni. Infatti, tra i poeti nati fra il 1920 e il 1928, ne cita ben 31. Nessun accenno per i poeti “napoletani”.
Il Sud si salva solo con Rocco Scotellaro. Basta seguire le pubblicazioni antologiche, che si susseguono a ritmo crescente, per rendersi conto delle arbitrarietà cui spesso si soggiace anche “per l’assenza di poeti graffianti, capaci cioè di esprimere compiutamente e in modi originali il nostro tempo; mentre tornano i modelli del passato, la restaurazione di contenuti idilliaci, sentimentali, solipsistici, liberty, intimistici e guidogozzaniani, in forma chiara, che non è la — claritas — dei leibniziani o del Baummgarten, ma è oggi un mezzo per impedire l’oscurità (come se la chiarezza dei nostri giorni non potesse essere — o non è — anche strumento di oscurità e — dio non volendo — di oscurantismo”.
Quando Gaetano Salveti scrisse la suddetta nota sulla rivista Quinta Generazione, nn. 63-64, era il 1979, e tuttora non sembra che la poesia sia cambiata sul piano estetico-formale, a meno che non si voglia tornare alla lezione critica di Roman Jakobson che, in merito al testo poetico, recupera “l’uso introvertito dei segni verbali, e l’individuazione dei vari modi di strutturazione dei versi, retti da precise leggi opposizionali, operanti a tutti i livelli del linguaggio —secondo quella grammatica della poesia a proposito della quale Jakobson invoca, a sostegno, le geniali intuizioni pre-strutturaliste di Baudelaire e di Hopkins-. (Nota introduttiva di Giovanni Cacciavillani sul saggio Postscriptum di Roman Jakobson, Almanacco dello Specchio, n. 4, 1975, pag. 179). Non sempre queste indicazioni hanno fatto da guida ai poeti impegnati in una esasperante ricerca del linguaggio, collocato tra esperimenti intersemiotici e sinestesie varie.
In un’Intervista a cura di Marisa Papa Ruggiero, apparsa su Risvolti, Avernum Poetry, n. 1 ottobre 1998, Franco Cavallo rispondendo alla domanda postagli sul tema del nonsense, così chiarisce i termini del quesito: “Il nonsense se praticato da persone dotate, vedi Palazzeschi, vedi Toti Scialoja, o vedi Giulia Niccolai, non invecchia: è uno degli elementi costitutivi della poesia, sia esso inteso in senso spaziale, che temporale, aggiungendo subito dopo: quanti poeti “seri” si vedono oggi in giro? Nella gran parte dei casi si tratta di gente che, pur di stare in pace con se stessa, ma soprattutto con il successo, recupera i linguaggi obsoleti tipici delle epoche di restaurazione: linguaggi che nascono già morti (ed è per questo che riescono a riscuotere successo nella necropoli). L’unico progetto che si può fare oggi in poesia è la salvaguardia del fondamento etico della poesia stessa”.
Cosa molto difficile da realizzare con le case editrici più importanti, impegnate a consolidare la separazione territoriale nei confronti dei poeti meridionali, ovviamente assenti nelle antologie di Porta e di Majorino, ma presenti in altre Storie della letteratura Italiana, come in Poesia italiana oggi di Mario Lunetta, Newton Compton Editori, 1976; in Otto-Novecento di Lanfranco Orsini, S.E.N. 1980; in Storia della Letteratura Italiana del Novecento di Giacinto Spagnoletti Newton, 1994; in La Letteratura italiana contemporanea di Giorgio Bàrberi Squarotti, Lucarini, 1982; e ne la Letteratura Italiana d’oggi di Giuliano Manacorda, Editori Riuniti, 1987; solo per citarne alcune, anche se i Repertori del Nord prolificano come nidiate di volpi che marcano il proprio territorio, riducendo gli altri poeti”ai margini del giro”, dimenticando che sono “persone che lottano per non soccombere” di fronte a “persone che opprimono e sfruttano”. (Giuliano Manacorda, I Limoni, Caramanica Editore, 2001, pag.13).

Di materiale consultivo ce n’è abbastanza per chi veramente voglia fare un’antologia, che non sia soltanto la copia di quella precedente.
Se è vero che “all’editore compete di scegliere secondo il suo giudizio di convenienza tra le offerte sottopostegli”, in una politica di mercato, sempre più attenta al bilancio aziendale, è altrettanto vero che su questa linea di basso emporio commerciale non c’è speranza alcuna di vedersi pubblicati al Nord.
E’, insomma, ciò che riscontriamo anche in altri osservatori come ne Il Paradosso dell’evidenza -Saggi e interventi- (1985-2001), Marcus Edizioni, Napoli, 2002, con il titolo: La poesia si è fermata a Milano, di Alessandro Carandente il quale si chiede, con estrema sorpresa e ironia: “Possibile che essere poeti in Italia significa pubblicare esclusivamente con Mondadori? Come dire di editori ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno: tutti gli altri poeti sono condannati alla inesistenza”.
La logica della tolleranza e del rispetto comune, fra chi cura un’antologia, e chi ne è escluso, dovrebbe far riflettere sul -raggiungimento del superlativo inteso come morte-.L’abolizione del superlativo è indispensabile nel nostro mondo. Infatti, se esistessero degli “optima” definitivi, sarebbe bloccata la possibilità di migliorare, e dunque il motore e il garante della continuazione della storia (e non solo agli occhi dei produttori, il cui mestiere è di produrre “sempre meglio”, ma probabilmente anche agli occhi di milioni di clienti. (Günther Anders, Il raggiungimento del superlativo come morte, MicroMega, n. 5, 2002, pag. 109). Ciò vale anche per i poeti e per chi proclama la propria opera come essenza del superlativo.
Ma qui si intende presentare Autori di varia sensibilità e cultura, che con le loro opere si sono indirizzati verso più significanti, non escluso quello sperimentale, venutosi a determinare nel corso del tempo attraversorci, Velso Muc le mostre di poesia visiva, le riviste, i raggruppamenti antologici, le performances tra gli scenari liberty di villa Pignatelli, alle serate di lettura poetica sulle terrazze di Castel dell’Ovo, (Giorgio Moio, da Documento- Sud a Oltranza —Tendenze di alcune riviste e poeti a Napoli, 1958-1995 su Risvolti n. 9, 2002), fino alle proposte innovative di tipo strutturale: pensiamo, per esempio, alle frammentazioni e forme chiuse di Franco Cavallo, tra surrealismo e simbolo-mito; al tecnicismo neoavanguardista di Ciro Vitiello e alle sue mortali visioni del mondo; alle composizioni verbo-visive e agli esicasmi di Stelio Maria Martini; o ancora alle fratture citazionali e linguistico-intermediali di Tommaso Ottonieri; alla versificazione epico-ironico-satirica di Alberto Mario Moriconi: un citarèdo alla corte della poesia; alle anamnesi metaforiche nei confronti della vita, di Carlo Felice Colucci; al linguaggio perlustrativo e psicoattivo, per interrogare e interrogarsi sugli aspetti dell’inferno-quotidiano di Franco Capasso; alle composizioni ipertematiche intorno alla civiltà contadina e a quella industriale, tra mito e linguaggio pubblicitario di Ugo Piscopo; ai doppi codici strutturali, tra sperimentalismo e linguaggio novecentesco nelle illusioni dell’Eros, come sopravvivenza al vivere quotidiano di Antonio Spagnuolo; ai sussulti poetici di tramatura flegrea con il recupero di figure mitiche di G.B.Nazzaro; all’incalzante surrealismo metaforico di Alessandro Carandente; ai porti sepolti della memoria, di Irene Maria Malecore e Rina Li Vigni Galli; al puntismo cromatico e figurativo di Franco Riccio; fino al teatro di poesia di Aristide La Rocca: tutto un panorama poetico-culturale, che resiste ancora oggi di fronte al linguaggio novecentesco, tramite le edizioni di libri-oggetti e libri-opera, tra manipolazioni verbali e romanzi verbografici; e qui i nomi sono veramente tanti: da Bilotta, a Perrotta, da Moio a Cepollaro, da Bàino a Ioni, da Voce a Lubrano ecc. Ora ammettiamo pure che il tempo sia passato inesorabilmente e che molte cose siano cambiate nella critica e nel gusto letterario, ciò non toglie che leggendo i testi antologizzati, si vada incontro ad un tono di canto con propri ritmi e suoni; non soltanto fatti di significanti, ma anche di messaggi sotterranei riaffioranti dalla biografia dell’anima. E’ questo il segno che cercheremo di far emergere dai testi che si pongono nella loro valenza umana e culturale, che è poi ciò che la poesia tende a trasmettere e a far sopravvivere, anche se questi poeti sono diventati col tempo, vecchi lupi di mare e di lungo corso.“Il linguaggio originario è il linguaggio della creazione poetica. Il poeta, però, non è colui che compone versi su ciò che di volta in volta è l’odierno….. La vera creazione poetica corrisponde al linguaggio di quell’essere che già da lungo tempo ci ha in anticipo, rivolto la parola, senza che noi ancora lo abbiamo recuperato. Per tale ragione il linguaggio del poeta non è mai attuale, bensì sempre già- stato e futuro”; (Martin Heidegger in Logica, MicroMega n. 5-2002, pag.203); nonostante i pregiudizi e i separatismi territoriali dei gruppi editoriali del Nord, la cui unica preoccupazione è quella di ignorare tendenze e sperimentalismo,”sempre mal tollerati da chi è nemico d’ogni innovazione”, come rileva Gio Ferri in Annuario di poesia, quando fa notare che” l’editoria... di ricerca non ne fa e non ne promuove certamente. Anzi la ostacola, per gettarsi a corpo morto (“morto” non è qui un modo di dire) giù per la china, là dove ci porta il cuore!”.Intanto, il tradimento è stato consumato, messo in sedicesimi nei cataloghi e nei Repertori assieme al giudizio di valore, impossibile da formulare in tempi in cui la massa poetica è così enorme da annullare qualsiasi esposizione critica, come a suo tempo ebbe modo di affermare Luciano Anceschi. Per questo motivo siamo convinti che la verità si collochi in mezzo alle controversie culturali, che coesistono da sempre per la ricerca di un possibile equilibrio, fuori dal concetto di egemonia e di individualismo. In questo senso i poeti qui antologizzati aspirano ad aprire un dialogo a distanza con chi crede che anche il peccato d’orgoglio possa essere superato, nel nome di un imputato, innocuo e innocente, qual è appunto la poesia. Una volta accettata questa linea di principio si può anche giungere ad una visione non belligerante tra il Nord e il Sud d’Italia in tema di Repertori, senza alcun —annullamento della contemporaneità- e del prodotto poetico. Sarebbe, in ogni caso, un discorso di reintegrazione e di riparazione critica ricondotto nell’alveo legittimo della realtà poetica e non della mistificazione che produce solo malumore e disagio. E se si torna a confermare che la poesia è un prodotto inutile, allora ci si permetta di definire la nostra operazione, come un’anamnesi su un corpo autoptico, per il quale le doglianze non servono a molto, né aiutano a far rivivere chi è già morto o condannato ad essere tale. Ma la poesia esiste e fa parte dell’umanità e qui la trascriviamo nei diversi esiti strutturali. Osserva Giacinto Spagnoletti nella sua Introduzione alla Storia della letteratura italiana del Novecento, Newton, 1994, pag.10, che “se di un sentimento — e non di un metodo ha bisogno fortemente il critico d’oggi, esso consiste nel far parlare i più interessati, gli scrittori e i suoi lettori”. Il che ci porta a recuperare le voci dei poeti assenti nei Repertori del Nord, come testimonianza di un lavoro poetico in fieri realizzato da alcuni riservisti letterari chiamati ad una difficile operazione di “rianimazione” del testo poetico, specialmente a Napoli, popolata di sperimentalisti, ultimi disubbidienti di una poesia lasciata al libero arbitrio del linguaggio, precedentemente coniato e utilizzato con finalità diverse, dai protagonisti del Gruppo 63, i quali, in un memorandum apparso su L’Espresso del 30 aprile 2003, dal titolo: Formidabili quei 63, a firma di Enzo Golino, si sono trovati compatti nel sostenere le ragioni delle loro scelte ideologico-linguistiche che, secondo Nanni Balestrini, uno degli esponenti intervistati, vanno inquadrate in un “passaggio generazionale teso a ricostruire la cultura italiana dopo il fascismo, senza pentimento alcuno di aver cambiato le regole del gioco. Non riesco a immaginare, precisa Balestrini, “perché e di che cosa ci si potrebbe pentire. Pentirsi dovrebbero piuttosto quanti, per odio e paura di ciò che è nuovo e vitale, da quarant’anni si sono accaniti contro quell’esperienza”, e che in un certo senso riguarda il problema che qui trattiamo — i poeti emarginati del Sud -, in particolare di Napoli, uno dei pochi luoghi culturali, dove si fa ancora poesia, quando l’impegno è veramente tale e fondativo, forse il più rappresentativo, almeno nell’ambito poetico, per la qualità e per la quantità delle opere prodotte.Tuttavia la professionalità applicata all’arte poetica non sempre è stata sufficiente a rimuovere le cause che hanno determinato l’invisibilità dei poeti napoletani, che proprio per il loro individualismo hanno concorso a determinare, anche se in misura minore, il fenomeno della emarginazione. Nascere a Napoli non è come nascere a Milano dove le fortune poetiche sono migliori rispetto a quelle partenopèe. La necessità di una revisione storica della poesia appare oggi necessaria e urgente, cominciando proprio dal Sud, a recuperare voci e opere, rimaste per lungo tempo fuori dal sistema editoriale. Resta, purtroppo, ancora insoluto il problema di un linguaggio, che seppure propositivo non ha prodotto una nuova stagione poetica, per l’assenza di una spinta culturale portata verso il rinnovamento. Troppo tempo si è perso dietro il significante, erroneamente scambiato per poesia.“Per fare importante un poeta ha scritto Marina Cvetaeva, nell’Almanacco dello Specchio n. 4, Mondadori, 1975, pag. 39, basta un’importante dote poetica. Ma per fare un grande poeta anche un’importante dote poetica è poco, occorre un’equivalente dote di personalità, della mente, dell’anima, della volontà: e l’indirizzamento di tutto questo insieme verso un obiettivo definito, ossia un’organizzazione di tutto l’insieme”.Oggi che non è più tempo di avanguardia, si avverte la necessità di un recupero “totale” della poesia, dopo la kermesse linguistica, cerebrale ed accademica, che ha finito con l’impaludarsi in una strettoia dalla quale è sempre più difficile uscirne fuori per respirare arie nuove o tentare altre vie che non siano quelle del caos della parola e dello sperimentalismo tout court.

Mario M. Gabriele



Nota

Per un più dettagliato elenco dei poeti campani presenti nelle antologie di ampia diffusione, si vedano in particolare: Poesia italiana d’oggi, a cura di Mario Lunetta, Newton Compton 1981, e Poesia italiana della contraddizione, a cura di Franco Cavallo, in collaborazione con Mario Lunetta, Newton Compton 1989 e quelle organicamente più complete, tra le quali Coscienza & Evanescenza, a cura di Franco Cavallo, S.E.N. Napoli, 1986; La poesia in Campania, Forun Quinta Generazione, Forlì, 1985-1990 a cura di Michele Sovente e Biagio Cepollaro, La poesia a Napoli, 1940-1987, - Atti del Convegno di studi Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 26-28 novembre 1987 -, a cura di Matteo d’Ambrosio, N.E.T.M. 1992; In my end is my beginning, a cura di Alessandro Tesauro, Ripostes, 1992, nonché il saggio Dibattito col poeta — Poesia a Napoli — di G. Battista Nazzaro, Ilitia Edizioni, 1997. Sulla scrittura verbo-visiva segnaliamo alcuni titoli: Inchiesta sulla cultura a Napoli, su Mercatrè n. 14-15 Milano, Lerici Editori, maggio-giugno 1965, pag. 25, di Gillo Dorfles; Cinque mappe del 1965, Salerno, Edizioni Laboratorio, 1971 di A. Bonito Oliva; Il messaggio ribaltato di G.B.Nazzaro, Mostra di poesia visiva, Casoria, Circolo studentesco, 1969; Ancora delle poesie visive, di F. Piemontese, Napoli, Continuum, 1972; Senso e non senso, Napoli 1980 di A. Russo. La poesia visiva si arricchisce di numerosi contributi critici da parte di Luciano Caruso, che sviluppa un sodalizio artistico negli anni Sessanta, con i pittori del Gruppo 58 e con il poeta Stelio Maria Martini a Napoli, e con Emilio Villa a Roma. Redattore di riviste letterarie d’avanguardia, fra cui Linea Sud, Uomini e Idee e Silence’s Wake, Caruso ha diretto alcune collane: Futuristi- Fonti delle avanguardie del 900, e Le brache di Gutenberg: cronaca e storia. La sua produzione critico-letteraria è presente in numerosi saggi riuniti ne Il gesto poetico, antologia della nuova poesia d’Avanguardia, Napoli 1968, in Lettera alla terza figlia, 1993 e in Dossier futurista, 1995. Curatore e animatore della rivista Continuum si è interessato alla poesia latina medievale, pubblicando con Giovanni Polara, presso l’Editore Lerici nel 69, Iuvenilia Loeti e con Stelio Maria Martini, presso l’Editore Liguori nel 74 e 77, due volumi dedicati alle Tavole parolibere futuriste. Degni di rilievo i suoi Manifesti e documenti teorici del Futurismo 1909-1944, Firenze, Spes, Salimbeni, 1980. Sempre sulla poesia visiva e sperimentale, segnaliamo altri titoli: Spessore e interferenza, Ricerca poetico-visuale a Napoli, 1979-1982 di M. D’Ambrosio, catalogo della Mostra Campania Felix, Napoli, Castel dell’Ovo, 1983 e Bibliografia della poesia italiana d’avanguardia, Roma, Bulzoni 1977, del medesimo Autore, oltre ad un altro suo lavoro dal titolo: Arte come Scrittura, nel Catalogo della IX Quadriennale d’arte di Roma, Milano, Fabbri Editori, 1986; L’impassibile naufrago, (le riviste sperimentali a Napoli negli anni 60 e 70) a cura di Stelio M. Martini, Guida, Napoli 1986), nonché i volumi Sperimentazione linguistica e poesia a Napoli, a cura di Luciano Caruso, Galleria “Ellisse”, Napoli, 1979; Poesia della voce e del corpo a cura di M. D’Ambrosio e Felice Piemontese, Pironti, Napoli, 1980. Tra le riviste letterarie più importanti ricordiamo: Altri Termini, fondata e diretta da Franco Cavallo nel 1972, e rivolta alle problematiche linguistiche degli anni Settanta, tra teorie critiche e riaggancio al Surrealismo e alle avanguardie storiche; Risvolti di Giorgio Moio, col sottotitolo quaderni di linguaggio in movimento, che ripercorre con vari argomenti la realtà poetica sperimentale a Napoli, con monografie, interviste e tracce storiche sui poeti e le loro opere; Baldus, di Mariano Bàino, Biagio Cepollaro e Lello Voce, informale e trasgressiva, vicina al Gruppo 93; Nuove Lettere, Rivista internazionale di poesia e letteratura diretta da Roberto Pasanisi, inserita fra la cultura alta e quella creativa; Il rosso e il nero, semestrale diretto da Edoardo Sant’Elia, tra letteratura colta e popolare; Incognita, fondata nel 1982 da Rina Li Vigni Galli, tra discorso innovativo e intervento sulla scrittura poetica, Oltranza, diretta da Ciro Vitiello, con l’obiettivo di perlustrare le virtù dei linguaggi; oltre ad altre Riviste, prevalentemente informative intorno alla letteratura e alla poesia come Riscontri, Nostro Tempo, Hyria, Terra del fuoco, Secondo Tempo, Cenacoli Esoterici, Plural, La parola abitata, ecc. tutte descritte nel lavoro di Roberto Deidier dal titolo Le regioni della poesia — Riviste e poetiche negli anni Ottanta, Marcos y Marcos, 1996.
La vasta bibliografia sulla poesia campana, si perde in mille rivoli, tra monografie, saggi critici, convegni e trattazioni accademiche. Nell’elenco che abbiamo fatto delle citazioni, qualche omissione sarà pure presente e ce ne scusiamo con i lettori.Tuttavia abbiamo cercato di riportare un maggior numero di opere e di autori, prendendo spunto anche dal volume di G. Battista Nazzaro Dibattito col poeta - Poesia a Napoli -.
Riferimenti ulteriori sui poeti del Mezzogiorno si rilevano in La cultura delle regioni a cura di T. Di Salvo e G. Zagarrio, Firenze, La Nuova Italia 1971; Antologia dei poeti campani, a cura di A. Consiglio, Milano, Mondadori, 1973; Oltre Eboli: la poesia. La condizione poetica tra società e cultura meridionale, 1945-1978, a cura di A. Motta, con interventi critici di C.A. Augieri e introduzione di L. Mancino, Manduria, Lacaita, 1979 e Inchiesta sulla poesia di AA.VV. -Foggia, Bastogi, 1979-, con un capitolo di Michele Sovente sui poeti campani. Si vedano anche i saggi: Inchiesta sulla cultura a Napoli di L.Vergine in Mercatrè nn. 14-15, maggio-giugno 1965; Contributi per una storia dei gruppi culturali a Napoli 1958-1970 di Luciano Caruso, Logos n. 1, 1973; Mezzogiorno e letteratura per una ripresa del dibattito di Sebastiano Martelli su Confronto, giugno-luglio 1976, e Napoli in dialetto vive di nostalgia di L. Orsini, Tuttolibri, n. 143, 9 settembre 1978. Altre antologie sono venute alla luce recentemente e le segnaliamo per dovere di cronaca letteraria: Campania, Roma, 1999, a cura di Alfonso Malinconico e Poeti in Campania, Marcus Edizioni, Napoli, 2005, a cura di G.B.Nazzaro.



LE INTERVISTE


Aderendo ad una formula ormai consolidata, intendiamo utilizzare l’Intervista col solo scopo di instaurare con alcuni poeti un discorso diretto tendente ad affrontare il problema delle assenze nei Repertori della poesia italiana contemporanea, desiderando venire incontro a coloro che ritengono utile ogni discussione sulla poesia.
Qui riportiamo alcuni contributi di pensiero di Carlo Felice Colucci, Franco Cavallo, G. Battista Nazzaro, Ciro Vitiello e Alessandro Carandente; poeti dalle diverse aree generazionali, per sentire i loro umori e malumori di fronte alle antologie di chiara marca separatista.

D. 1) Come vede, alla luce delle sue conoscenze e della sua esperienza sulla poesia italiana del 900, la costante “emarginazione” di cui sono oggetto in antologia, repertori e perfino Storie della letteratura, i non pochi validi poeti del Sud? Ne ha sofferto, ne soffre?

Carlo Felice Colucci

Vedo, una tale premeditata “emarginazione”, e la vivo, come una “sciagura letteraria” capitata all’italica poesia; non solo alla Musa del Sud! Seppure, diciamocelo francamente, quel che oggi resta in fatto di poesia, in Italia e altrove, non è molto. Anzi! E ciò nonostante i vari conati festivalieri e premiaioli, più o meno degenerati e squalificati. Il fatto è, cari amici, che l’essere spesso “cancellati” dalle antologie patrocinate e stampate al Nord, di là dal Garigliano, ma che dico? dall’Arno….genera, fra l’altro, massima confusione e disorientamento fra i sempre più rari cultori e lettori di poesia. Perché Cavallo, Capasso, Colucci, Martini, Moriconi, Vitiello ecc.., per i poeti lombardo-emiliani (meno per i Veneti e i Piemontesi, per i Liguri…), non esistono non sono mai esistiti, tranne rare eccezioni….magari caritatevoli. Come va? Non si sa.
E nessuno sa perchè la Napoli “poetica”, (il Sud “poetico”) di oggi, degna e fertile eredità dei Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, Scotellaro, Albino Pierro, E. De Filippo (senza andare più lontano!),venga regolarmente ignorata o quasi. Esemplifichiamo, “un gioiello” per tutti: (Poesia e realtà di Majorino, dimentico-fra l’altro- della rivista napoletana Incognita e dei lauti premi calabri servitigli su piatti d’argento da ingenui poeti di quaggiù.Orbene il“nostro”Giancarlo Majorino, comunque buon poeta, nella sua un po’ confusa, “politicastra” sinistrorsa e molto parziale (omissiva) disamina dell’italica poesia (di recente riedita da Tropea, in edizione conforme e priva di qualsivoglia pur “doveroso” aggiornamento!), premesso che ogni “antologia è un arbitrio” e che il curatore si regola ad libitum (meno male che lo dice!), dà -senza ombra di dubbio- a Milano (“città centrale anche per la poesia, anche per la poesia critica”, a pag. 39) lo scettro di Regina del verso, del poetare tout court, riferendosi ovviamente alla seconda metà del Novecento. Cos’altro si può aggiungere, se non che nel repertorio del Majorino non esiste nemmeno un napoletano, un campano? Del Sud, comunque si salvano soltanto pochi…morti (riscaldati, alcuni postumamente, appunto, dal “sole dei morti”..) E come vive, tutto ciò, uno di noi, poeta mezzo emarginato al sud? Male. Molto male! Però, non per questo Colucci “si piange addosso”, si atteggia a vittima. Cosa fare per tentar di sanare codesta spaccatura dell’Italia poetica in due voluta al Nord? Non saprei; ma qualcosa sto cercando di fare in tal senso e spero di riuscirvi, prima di finire i giorni in Terra destinatimi….

Franco Cavallo

Con la scomparsa di grandi figure intellettuali e manageriali come Cesare Pavese, Elio Vittorini, Italo Calvino (che già verso la fine degli anni sessanta si era in parte defilato, lasciando Torino e il lavoro editoriale a tempo pieno presso la Einaudi per andarsene a vivere a Parigi), Vittorio Sereni, ma anche Sergio Solmi, Niccolò Gallo, Giansiro Ferrata, nella grande industria editoriale del Nord (l’unica che, tranne rarissime eccezioni, conti realmente in Italia) si sono succedute figure per così dire “minori”, legate prevalentemente- per rimanere allo specifico della poesia — alla cosiddetta “linea lombarda” e post-ermetica, una sorta di linea Maginot della cultura poetica italiana a cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo scorso. Queste figure (perlopiù poeti in-proprio, come si usa dire), facendo carriera come funzionari o come dirigenti nelle grandi case editrici nazionali, e quindi acquisendo un cospicuo potere manageriale nel contesto dell’editoria di diffusione nazionale, si sono “preoccupate” (diciamo così) di proteggere il loro lavoro e le loro opere imponendo di fatto una visione teorica univoca del fare poetico, penalizzando altre aree di ricerca. E’ partendo da questo dato che ha inizio la fase discriminatoria recentemente denunciata da molte parti e che dura ancora oggi.

G. Battista Nazzaro

Certo che, come tutti, ne soffro, anche se cerco di fronteggiare la brutta situazione che, col tempo, s’è venuta a creare con un po’ d’ironia. Una delle cause più importanti è la mancanza di centri decisionali qui, al Sud. Anche quei pochi che operavano a Napoli o a Palermo o a Bari, col tempo, si sono trasferiti a Roma o al Nord, oppure hanno perso potere, se non addirittura spariti. Ciò è dovuto anche alla mancanza di spirito imprenditoriale dei nostri editori. Mi è già capitato di dire che, gli editori operanti attualmente qui, a Napoli, salvando la pace di qualcuno, somigliano più ad impresari di pompe funebri che non ad operatori di cultura. S’aggiunga che, per ragioni facilmente comprensibili, amano il forestiero, colui che, operando ove il potere economico è forte, sembrano di poter assicurare una più rapida espansione della loro impresa. Naturalmente non è così; e quasi mai i loro sogni si realizzano attraverso quest’espediente. Il forestiero, occupati gli spazi che gli sono stati offerti, si disinteressa del resto. Si tratta, come può vedere lei stesso, soltanto di un fenomeno di colonizzazione, molto tipico del resto nelle zone economicamente sottosviluppate, che non potrebbe aver luogo senza il consenso dei meridionali stessi. Tant’è che, i direttori di collane di poesia, a Napoli perlomeno, si comportano come agenti dei poeti del Nord nella speranza d’accedere un giorno, anche loro, alle collane dei grandi editori milanesi o torinesi. Ma mi creda, nonostante queste deficienze, anche noi meridionali siamo bravi, soprattutto quando c’ispiriamo, con forza, alla nostra cultura, che non è meno gloriosa di quella del Nord.

Ciro Vitiello

La domanda presenta alcuni punti anodini da sciogliere. A) Io rifiuto la denominazione di “poeti del Sud” o come anche si dice “meridionali”. Quando nel 1984 Franco Cordelli, nella introduzione al mio Suite (Guida ed.), scrisse “Molto indirettamente, come succede in poesia, Suite di Ciro Vitiello ci parla, forse, della condizione meridionale. Che cos’è la condizione meridionale.? A una nozione storica complessa e, per più versi, negativa del termine “meridionale”, se ne può contrapporre una moderna e problematica, che abbia soprattutto valore di metafora: non più il mondo diviso in est e ovest, ma anche in nord e sud”, io in contrapposizione tenni a mettere l’accento su un fondamento che è del poeta tout court, “E nel tormento la voce si proietta alla spasmodica ricerca di una identità, che è già fuggita, è altrove, è quell’Altrove, che è la Morte. Io —ora- sono escluso, altro, appena un corpo che attende (“che cosa?”), che respira (“perché?”), in una Terra Miseranda (“il Sito”) dove Capi e Tiranni sono celati ovunque, nelle pieghe istitutive e nei luoghi i meno sospettati. E la Menzogna è lo statuto del Malvagio per farsi forte. Se l’umano può soccombere, soggiace la poesia — e l’io che la presenta — quando è significata rompe argini e strettoie, esplodendo nella forza della libertà”. E in quel testo io rovesciavo una drammatica esperienza dell’esserci nella realtà. Non da poeta del Sud o meridionale, ma da poeta che stando sotto il cielo stellato e nella bufera del giorno è radicato nelle cose e negli eventi, qui in questo meridiano o nel suo opposto. Io vivo qui, però nella memoria ho lo spirito cognitivo della cultura occidentale nel corpo la gestualità di una terrestrità illimitata, Se la libertà è una conquista, porta soprattutto alla consapevolezza di “essere nudo”, di essere “slacciato” e “sospeso” (per tanto, la sofferenza è di chi si trova incastrato nella limitatezza e nella pochezza”, ecc. In fondo, perché si è poeti? Per la Gloria? Io sono poeta per vivere questa mia esistenza con densità, fortemente, con tutta la tensione possibile di uomo, che attraversa mondi e fenomeni,ecc.). B) L’emarginazione è prodotta dal sistema innanzitutto, poi dalle teorie, infine dalla furbizia in generale. Tuttavia nei casi di seria opportunità, non è vero che i poeti del sud sono esclusi. In verità ce ne sono troppi e i più sono troppo poco efficaci (la domanda qui è la seguente: quali poeti sono degni di essere innalzati?). Il sud annovera poeti importanti, che sono doverosamente rappresentati, quali Gatto e Sinisgalli, Piccolo, addirittura vanta l’onore di un premio Nobel, Quasimodo. Tra i viventi alcuni sono riconosciuti. La verità è semplice: l’antologia, (la storia, ecc.) è fatta da un antologista (da uno storico, ecc.), il quale opera secondo propri criteri di scelta e di analisi, senza prescindere dai nessi editoriali (per intrighi di botteghe) e amicali (secondo il principio do ut des, ecc.), Se si vuole salvaguardare la propria libertà, in primo luogo si deve rispettare quella degli altri. In sostanza necessario, per il poeta, é l’avere la coscienza di fare bene il suo lavoro, di sentirlo e di soffrirne (sofferenza in sé, per il travaglio, per lo sforzo a ricavare un verso che possa risplendere. Il resto è polvere al vento). Io sono me stesso, e sono poeta. Nessuno me lo può togliere o vietare. Punto.

Alessandro Carandente

La gestione culturale in Italia, è, purtroppo, ancora di tipo corporativo. Il diritto, il valore, la correttezza sono miraggi che la realtà effettuale respinge.
Internet, la globalizzazione e la telematica, sono chiacchiere. Non ci sono progetti, indirizzi critici e linee guida giustificatrici. Regna sovrano l’arbitrio. La Mondadori antologizza, senza alcun pudore, solo i poeti pubblicati dalla stessa casa editrice. E tutto funziona ancora all’italiana. Tu recensisci me e io antologizzo te.
In quanto direttore di una rivista “Secondo Tempo” sono testimone di un malcostume e di un servilismo in atto che fa spavento. Gente che prende posizione per l’esclusione del poeta, non esita poi a recensire l’ultimo libro della stessa persona che lo ha escluso. Che schizofrenia! Ci escludono e noi come rispondiamo al sud? Non abbiamo una società letteraria e neanche una editoria che possa produrre cose alternative.
Ne soffro? Una volta li stroncavo sui giornali e sottolineavo le malefatte, (vedi La poesia si è fermata a Milano ne Il paradosso dell’evidenza) e contribuivo involontariamente a far loro la pubblicità indiretta. Oggi preferisco ironizzare perché conosco il valore effettivo dei critici e dei poeti circolanti in Italia. Vi assicuro che sono vili e intercambiabili.

D. 2) Perché e dove e quando sarebbe sorta questa “moda”, pare inarrestabile, di spaccare “l’Italia poetica” in due?

Carlo Felice Colucci

Non mi è facile rispondere. E lo farò soltanto con molta circospetta approssimazione. Anzitutto, io invocherei l’abusato, risaputo (ma purtroppo non estinto!) fenomeno del “razzismo” tout court: oggi divenuto leghismo (letterario) nemmeno poi tanto “strisciante”.
Sarà anche una questione di genoma, di “complesso di superiorità” innato? Potrebbe darsi, ma bisognerebbe analizzare in tal senso il DNA dei vari Majorino e compagni. Il che non è fattibile; e quindi “mancano le prove” tanto che la mia potrebbe restare anche una mera presunzione. Chi ha cominciato? Nemmeno questo è agevole dire. Ma penso ai peccati di Anceschi, Sanguineti, del duo Berardinelli/Cordelli (benché romani e benché, di qualche, sparuto, napoletano, pure si ricordarono); e poi-soprattutto- di certi neoavanguardisti (che il Signore li abbia in gloria!), e forse-soprattutto di Porta. Ma la Storia della letteratura-che certo non si può fermare alle incomplete antologie di Majorino e degli Altri-chiarirà pure questo.E ci si dovrebbe illuminare anche sulla stranezza insita nel fatto che proprio a Napoli, già fra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, ebbe luogo, una dinamica artistica-sia in poesia che in pittura-, tutta incentrata sulle nuove tendenze: dalla poesia visiva, di Persico, Stelio Maria Martini, Castellano, Franco Cavallo, ecc., all’arte nucleare di Mario Colucci (pittore), alle esperienze del Gruppo 58, al Manifeste de Naple del 59, cui aderirono anche Balestrini e Sanguineti. E qui mi fermo, perché io credo che lo scopo di questa “parola negata”non è quello di lanciare un “J’accuse”, bensì è cercare di capire quando è accaduto.

Franco Cavallo

Di leghismo editoriale vero e proprio, diciamo pure di razzismo culturale, si può cominciare a parlare dalla fine degli anni settanta in poi. E’ del 1979 l’antologia di Antonio Porta Poesia Italiana degli anni settanta, edita da Feltrinelli. Proprio questa operazione di riflusso, maturata negli ambienti poetici milanesi unitamente a un convegno sapientemente orchestrato e gestito, segna uno spartiacque molto preciso nel senso della discriminazione di cui sopra. Il nome del novissimo Porta non deve trarre in inganno. Negli ultimi anni di vita Porta aveva realizzato una serie di “convergenze strategiche degli opposti” che gli avevano consentito di allontanarsi, anche creativamente dal proprio luogo di origine (la neoavanguardia) e di accostarsi ad aree poetiche che fino a quel momento gli erano state estranee se non addirittura ostili. Il convegno milanese, del quale lo stesso Porta fu magna pars (pur rimanendo nell’ombra), e l’antologia che seguì subito dopo, realizzarono sul piano operativo la quadratura del cerchio, mettendo a frutto, appunto, proprio le suddette “convergenze strategiche oppositive”. Negli anni novanta, infine, in coincidenza con le fortune politiche del leghismo, il fenomeno ha assunto aspetti più marcati e radicali. Se si pensa che da quasi dieci anni sono “fermi” in tipografia i meridiani mondadoriani dedicati a Leonardo Sinisgalli e ad Alfonso Gatto, ci si potrà rendere ben conto della gravità del fenomeno….

G. Battista Nazzaro

“Quando si è prodotta questa moda?”, lei mi chiede. Essa è nelle cose, da sempre, da quando nel 1860 è stato creato lo Stato unitario e i centri decisionali sono emigrati altrove. Che la voglia, poi, di spaccare “l’Italia poetica” sia tuttora irresistibile, è un dato di fatto incontrovertibile (e riscontrabile) anche in politica.“Tu sei un umanista meridionale”, mi disse una volta Giancarlo Vigorelli sulle sponde del Lago di Como, tra le more di un convegno. In realtà, c’è nell’industria editoriale di oggi un rifiuto costante del cosiddetto umanesimo meridionale, innanzi al vincente dato tecnologico che ci viene dagli Stati Uniti, ricchi e potenti, e che pare assicurare ottimi proventi all’imprenditore. L’umanesimo, con le sue istanze, le sue tradizioni, tutta intera la sua eredità culturale, è perdente. E il poeta meridionale, anche quando orecchia i poeti del Nord, conserva sempre, nei suoi prodotti, le tracce di una tradizione culturale, che non è certo quella borghese ed industriale nata a Milano, a Torino, o nel Veneto del “piccolo ma bello”. Ecco: “Io so che il corpo ammala ove l’abbaglio d’un ritratto è funesto”, scriveva, a gola spiegata, Alfonso Gatto parlando della sua gente, subito dopo la liberazione sul “Politecnico” di Vittorini. Ciò disturba sia i minimalisti, sia i neocrepuscolari e sia i cosiddetti tecnologici; disturba perché, tradizione e cultura danno ancora un valore alle parole e al senso racchiuso nell’atto di “cantare”, là dove, per loro, il parlare, di là dell’atto pratico di comunicare spese e ricavi, è solo autonoma determinazione tecnico-formale è formulario metrico-prosodico. Si sono fermati, insomma, alla scomparsa dei “miti”, e sono annegati nei meandri del computer, ove ogni cosa, ogni gesto ed ogni intenzione, è riducibile ad un ridicolo clic.

Ciro Vitiello

Lascio agli storici il compito di indagare la problematica che richiede la domanda. Per esempio, prendo il caso Lucini. Che ebbe la sfortuna di vivere tra Pascoli e D’Annunzio, per cui ne venne triturato, la sua ansia di rinnovamento non trovò spazio. Sanguineti lo ripescò, gli diede un posto d’onore, come era doveroso. Poi è caduto di nuovo (spero non per sempre), perché? Questa è una di quelle innocenti domande quasi misteriose cui solo l’oracolo di Delfo può rispondere credibilmente.



Alessandro Carandente

Il leghismo è fenomeno politico recente. In letteratura, che io ricordi, è sempre stato così. In un campo che di solito si immagina pacifico, la discriminazione era già in atto e operante. Antonio Porta, tra l’altro cattolico, che aveva fatto il compromesso storico col comunista Sanguineti molto prima di Berlinguer, già negli anni Settanta, da re del magazzino, aveva escluso tutti, da Roma in giù. Il resto lo conosciamo. Il fenomeno sembra irreversibile. Non siamo competitivi ma un’altra cosa. La nostra differenza, scettica e solare, rimane comunque la parte creativa dell’Italia. Perciò non bisogna arrendersi, ma resistere e resistere a oltranza. Solo il lavoro e la qualità e il sodalizio convergente possono riscattarci. Il poeta possiede un bene preziosissimo: la parola. Essa è la fedele testimonianza di ciò che siamo. Al nord pensano al gettito fiscale? Noi rispondiamo attenti al gettito fiascale. Sì, beviamo su, amici, che la vita è breve.

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