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martedì 15 giugno 2010

Franco Riccio

IL PENSIERO E LE IMMAGINI


Il lungo esercizio poetico di Franco Riccio, formattato in ben quindici volumi di poesie, dall’iniziale Albe del 1945, al recente Il pensiero e le immagini Poesie (1997-2006) — Lieto Colle 2007, meriterebbe maggiore attenzione da parte della critica, invece delle solite note o recensioni, che non aiutano a rendere trasparente l’opera di un autore, se non attraverso la compilazione di una monografia dalla quale si può meglio comprendere le fasi di una poetica.
Il fatto è che non tutto può essere sempre storicizzato, specie quando l’autore, lontano dalle grandi case editrici, vive in solitudine e i volumi pubblicati, sono rimasti nella sfera degli amici e nell’invisibilità.
Orbene, tornando alla poesia di Franco Riccio, essa può piacere o no, rientrando, evidentemente nelle inevitabili differenze di gusto letterario, che già nel secolo scorso, si facevano sentire con viva acredine: ”A proposito di James Joyce, Virginia Woolf scrisse: ho finito Ulysses e secondo me è un fiasco. E’ esagerato. E’ pretenzioso. E’ rozzo!
Per Geltrude Stein, Ezra Pound è un descrittore di villaggi. Eccellente se tu sei un villaggio. Se non lo sei, allora no..Con Curzio Malaparte, Carlo Muscetta la prese un po’ più da lontano: “una volta i poeti raffinati si paragonavano all’ape. Lui che vuol passare a scrittore plebeo, si paragona al verme. Gusti suoi, vorresti dargli torto?
In millenni di letteratura di quante api scriventi si sono innamorati i critici?”
Davvero poche e non sta a noi qui verificarne le ragioni! Oggi si presenta l’occasione di leggere un nuovo volume di Franco Riccio - Il pensiero e le immagini, - , che gentilmente l’autore ci ha fatto pervenire, così come si faceva una volta, in silenzio, senza il battage pubblicitario.
Il titolo è già sintesi di un rapporto interattivo, fatto di contenuti plurali, sebbene l’espressione sia rimasta nel tempo, fedele ad un modello novecentesco, fuori da ogni contaminazione e caos della parola.
Franco Riccio è un poeta abituato a vedere e ad analizzare il mondo da un’angolatura particolare: quella domestica, sempre più ristretta in pochi spazi.
Da questo luogo di fermo-immagine, si formano istantanee poetiche che hanno correlazioni sentimentali e riflessioni.
Tutto scorre come l’acqua dei mulini, e ciò non può che ridare linfa alla sua vena poetica, quando le intercettazioni della realtà, lasciano scorrere i flussi di coscienza.
La ricognizione esterna porta ad una riappropriazione sotterranea del vissuto, tra dati retroattivi e continue riscoperte del quotidiano da dare vita a pensieri e immagini.
Così le parole s’inseguono, fanno chiasso nel silenzio del lettore. L’emozione è affidata al vocabolo immediato. Nessuna disperazione esistenziale sembra emergere dai testi tutte le volte che essi tentano di decifrare l’attimo fuggente, prima del dissolvimento.


Una poesia di questo genere esplora incessantemente i nuclei delle cose, che si concretizzano in un discorso convenzionale, capace di percepire anche i brusii della città, prima ancora di affermare che “si vive delle residue/emozioni che-pur essendo conclusive- inducono a superare inevitabili / impasses.” (pag.73)
E’ un osservatorio, quello di Franco Riccio, tutto proteso verso l’esterno, per registrare le voci del rione, le melodie della terra, le oscillazioni impercettibili delle stagioni, e la Natura con tutto il suo fantasmagorico spettacolo.
Ogni istante è motivo d’umana sorpresa, e gestione dei sentimenti: compendio di suoni e voci, che si polarizzano nel dato assertivo, di tipo sentenzioso.
Una nota è tuttavia da rilevare: ed è quella che fa capo ad una tradizionale serigrafia della realtà, generalmente monocromatica, sempre nei limiti di un trasparente velo di malinconia.
La materia verbale prende forma, e dà alla poesia un colore di compiutezza non disgiunto da introspezioni, che evolvono in un atteggiamento autocritico del proprio essere — qui e ora-, “Rimane ogni volta, però, dell’ambigua certezza, qualcosa che teneramente / ferisce, lasciando rimpianti, duri / a dimenticare/”. (pag.15)
Gli affondi esistenziali e l’origliare i minimi rumori della vita permettono al poeta di esternare le pulsazioni di un biocosmo espressivo:
“Ad aggredire un’insonnia inconsueta /, ruotano intorno, silenziosi / i rancori e le speranze / in una città che non riesce / a trovare il suo essenziale equilibrio: / E di questi rancori e speranze / mi contagio fino a sofferenza /. (pag. 25)
Non sfugge dall’ampia produzione poetica di Franco Riccio il tema dell’amore, e qui, fuori del collettivo dei testi presenti nel volume, desideriamo indicarne uno, tratto da I giorni dell’ansia che ci pare esemplare e dal titolo “Passato per Firenze: Non c’eri”, nel quale s’inseriscono universi domestici, oggetti e personaggi minimi che si rivelano dentro la meraviglia delle cose, in un’armonia incontaminata.
Con questi stimoli emotivi, la poesia ha ancora la forza di trivellare il vissuto quotidiano, formando ragnatele d’aggancio col lettore.
C’è forse un — fanciullino — che s’agita nella mente e nel cuore del poeta, come il Sonny Boy di Giose Rimanelli di Alien Cantica- An American Journey- ovvero l’altro di sé del poeta italo-americano, che si stupisce d’ogni cosa, una volta che s’incammina per le strade del mondo.
L’osservazione esterna praticata da Franco Riccio,da anni lo porta a convivere in un ambiente lawrenciano, avvertibile nella stesura dei testi, attraversati anche da una umana pietas:“Non vi sarà memoria dei giorni / vissuti senza sosta e traboccanti / di speranze. / Di noi, resterà, forse; / soltanto ricordo- in quelli ancora vivi…/ (pag.26).
Se il catalogo dei sentimenti rimane così com’è, la poesia di Franco Riccio può ancora scorrere liberamente, a meno che il discorso col tempo, non sfoci in una fredda liricità e conclusiva riduzione dei contenuti e della parola.
Ma questo è un altro discorso non prevedibile oggi!



Bruco e farfalla

Dipenderà anche dalla sua decisione;
e così il bruco continuerà a restare
in terra, come larva, ovvero modificando
la sua natura, forse con sacrificio,
diventare farfalla e, tra i fiori,
lieta, volare.

………………

Impavido corre gennaio, sciando

Impavido corre gennaio, sciando
sulle innevate pianure della penisola
per affidare, al mese successivo
(che li addiziona ai propri, non meno aggressivi)
l’esubero di pericoli non ancora
espiati.

Sicché il prossimo marzo, in parte
li tralascia, per la premura d’innestarsi
dell’imminente primavera.

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