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sabato 22 maggio 2010

Un Burberry Azzurro


Edizioni Nuova Letteratura, 2008

1

In una casa di libri e di parquet
abbiamo immaginato un mondo che non esiste.

Ci siamo stati dietro
come in una caccia alla volpe
quando il corno inglese suonava
ad una muta di sogni e di cerchi alieni.

Vestivamo alla zuava
ed era un sodalizio il perdono di noi stessi,
in un frullare d’ali sotto i capitelli
dove lenta s’inarcava l’ombra della sera.
Così durava il piccolo cadeau
e non era rosso inferno il vuoto che restava
ma il buio, dottor Jung,
che non è stato mai un tramonto grand couturier!

Da anni non andiamo a fare jogging.
Ne abbiamo perso di sole e di belle immagini,
con il verde cipressino e la signora in jersey!
Non leggiamo il bugiardino,
né facciamo coro nei rosari.
La domenica restiamo soli con l’astrolabio.
Di molti mancano notizie.
Perduti sono i segni e i codicilli.

Dimmi, Goodwin, è partita la stagione?
Si sente il passo, il fiato sulla pelle?
E lassù, da quell’albero maestro
si vede terra o qualche colombella?

Vestivamo alla zuava
e il futuro era un filo spinato
che chiudeva varchi alle volpi insanguinate,
e interrava nelle tombe le primule di maggio.


2

Sosta, di tanto in tanto, nella città
che ti fu fedele,
anche se c’è tumulto o ressa
e nel campo irrompono i bulldozer,
i camion dell’Iveco,
tolte le altalene,
le cucce dei dobermann e le difese,
la torretta di pietra e calce
che a vederla
sembrava un bunker della Wehrmacht.

Finiva così l’infanzia abbattuta nel cantiere.
In silenzio appassirono il vischio ed il camedrio.
Più volte tornò il falco
senza messaggi nel beccuccio.

Restarono i giorni guardati a vista, arresi,
un gran vuoto dentro il link,
e la scritta sotto i ponti:
non cercate Laura Palmer!

Correva l’anno….

L’erba alta del giardino
preparava un’estate di vespe e usignoli.
La nostra, già era andata via.


3

Non mettere, Gasby, la notte di Natale,
i cristalli Swarovscki, il profumo cielo veneziano,
i dolci ed il bouquet, al centro della tavola,
pare attirino i turisti dell’aldilà,
lontani dalla tua casa, nel giardino di Klingsor.

Il passato lo lasceremo
dove non irrompono i mulinelli d’acqua
e si recita a soggetto Maurice Bèjart.

Il balletto imitava la Passione
in un freddo avvento per noi,
proprio il tempo peggiore dell’anno
per un viaggio, nel cuore dell’inverno,
con le strade chiuse, senza le albanèlle.


4

La luna d’estate illuminava poggi e casali,
nel lieve chiarore strideva il violino di Lady B.

Le tre ragazze venute da Pittsburgh
non conoscevano Bellow,
e recitavano così male Milgate di Lowell,
da farsi perdonare
per i loro occhi di fuoco
e di lamine ardenti.

Miriam non seguiva le albe e i tramonti,
lasciava petali d’iris tra le pagine del diario,
mormorando:
“Chi si ricorderà di noi?
Ancora scendono le stagioni,
fanno valanga, ci mettono in ginocchio”.

Cessò l’ouverture Lady B.
Nel lieve chiarore di luna si spense il mondo.

Si era fatto buio nell’orto degli ulivi.


5

La sera che non ami
è quella che s’incunea nel pietrisco
e fa della vita una fragile voliera.

A tratti subentrano voci nuove,
ripetono, ciascuna per proprio conto,
che niente passa tra foglia e ramo,
tra nido e albero.

Torna l’ora ladresca.

Tu resisti alla canèa,
non superare il borderline,
tieniti lontana
dalla frana che si fende
e lascia a valle ponti e bruma:
il meglio della stagione
e della tua tortura.


6

Il vortice di polvere e di rametti,
venuto dal bosco delle tuie
ai picchi di cave e latifoglie,

la macina del tempo
sulla casa d’anemoni e pratoline,
d’anno in anno di gelate,
colpi secchi senza frusta,

il gioco delle tre carte
con la fortuna a caso,
e i lampi vespertini, le vane ore
sul filo di lama dei tuoi pensieri,
hanno nel riquadro della memoria,
la vita ferita sulle ali,
il passato che non torna,
né si sbrina.


7

La baita di glicini e oleandri,
dove si compiva il rito della Pasqua,
è ora una pagoda di clochard
e di gente da Shanghai.

L’acquazzone di marzo
ha lambito le fondamenta,
invaso le stanze con i quadri di Carmassi,
rotto gli argini dove tu emergi
ad una luce che si nega.

La nostra storia si è ridotta ad un bozzolo,
né tornano le gazze agli inganni degli specchi.

E a durare è il brillio del mattino,
la frusta che schiocca e s’attorciglia.


8

Dopo la mareggiata emergono i relitti,
vele di brigantino, remi.

Si ricaricano i cellulari,
le valigie Samsonet,
non hanno senso i biglietti obliterati,
l’ultimo romanzo di Garcìa Màrquez,
le tue preghiere al dio Nettuno.

Dopo la mareggiata
anche il tuo silenzio
è un rispettabile confine
di codice rosso sul display
e arrivi di fasciame,
né ti allontana il tempo
dall’ora che si schianta.

E’ partito l’Hovercraft!


9

Pioggia d’estate come un rap per le strade.
Vetrine di Bulgari e Gucci
e passi che inseguono la notte
sui marciapiedi di bidoni e falò,
tra locandine di Brecht e dell’angelo azzurro,
che hanno inchiodato i nostri sogni oh Marlene,
come i libri di Doblin lasciati sulla panchina,
ombrelli di carta di viaggiatori notturni,
quando piove su Berlino
e neppure una colomba
riesce a imbiancare la sera
tra profumi d’Arabia e maghrebini spaesati,
che non hanno mai visto Blade runner al Babylon.

Ed eri con me sul treno che attraversava l’Europa
di ponti e palazzi e graffiti sui muri di Postdamerplatz.


10

Il surrealismo, cara, l’abbiamo riscoperto
una sera d’agosto
passando in via Torselli.

Erano le tazzine colorate di Keith Haring,
più che di un artista sconosciuto,
né sapevi, chiusa com’eri
nel tuo mondo di griffe ed evergreen,
che quella collezione
fosse il meglio dell’Art Now
presentata dai signori Burton.

Ora solo un colore sopravvive in noi.
Ed è autunno, prèt à porter!


11

Per queste foglie e tutte le foglie
attaccate ai rami come i koala
e la sula dai piedi azzurrini.

Per queste morti e tutte le morti
cresciute su ceneri e albe,
tra gelsomini e piccoli lillà,

Amy mi baciò
portandosi via i colori dell’anima:
blu di tristezza,
nero di morte,
azzurro d’amore.


12

Non ci sono più i giardini di marzo
dove l’inverno andava oltre
il recinto dei carpini.

Erano le nostre Scozie
con gazebo e capanne indiane,
come fiori d’albaspina.

Ora il tempo turba la grazia dei flautini,
mette a commento uno spartito di soli archi e violini.

Nella radura di megafoni e bandiere
irrompe la festa dei giocolieri.

Un altro inganno, Sara,
come le crepe del cuore
venute all’improvviso
con i tradimenti della vita.


13

Hanno pesato i giorni di lutto e di dolore.
Albume d’alba è stata la vita:
cenere mai fatta brace.

Si sgonfia il futuro,
vuota clessidra l’inutile tempo.
Sempre silenzio sul corpo e rovine;
grigio polvere il ricordo spezzato:
mia rosa, mio gambo di spine:
dolce profumo, ultima tana.

Fox abbaia alla luna,
s’accuccia in un tenero nulla,
come nelle notti d’estate,
quando non era peccato
sognare Jessica Rabbit.


14

Il tam-tam dei Maori
ha svegliato la nidiata dei colombacci,
messo a rumore il chiostro dei minori.

E’ il tempo in cui la sera
chiama i vivi sui muretti,
mentre ti sfiora l’oscura meridiana
risalita come un’ombra dai crepacci,
dove fugge il lucherino
dal ramo che si spezza
e la primavera
non ha fiori sui tuoi balconi bassi.

Dal ponte ci affacciamo
sul mare forza sette,
con avviso di burrasca.

In silenzio qui attendiamo
il passaggio a Nord Ovest,
le lampade oscillanti
sull’isola senza faro.


15

Che vuole quest’inverno
ancora dominio della neve?

Ci videro in pochi salutare dal belvedere
l’albatros di Baudelaire, ed era dicembre,
mese di spoliazione.

Pure queste sere attentano alla vita,
mettono allo scoperto i versi dei poeti,
dispersi nelle nebbie.

E ho pensato ad Esenin:
spesso i ciechi che girovagavano per i paesi,
si radunavano a casa nostra,
cantavano versi spirituali.


16

Una domenica
con poche nuvole Mary Poppins,
il giorno che finisce
come un deltaplano nelle forre
quando viene la sera
e le luci non sono che un abbaglio
nei tuoi occhi di fosfeni.

Narrare stanca,
se dura è la fine del racconto:
Il nome della rosa.

Fa freddo nello scriptorium,
in questa città dove mai partimmo
a vedere le isole del sole,
le terre dei pirati.

E ogni ora è un agguato.


17

A vedere l’orto dei Frost
sembrava che il tempo si fosse fermato
vicino alle orchidee.

E’ stato un anno d’innesti e fioriture,
un discendere le scale
di un paese vuoto di sogni e sirenette,
dove anche l’equinozio turbava il tuo futuro.

Al mattino la città si sveglia
lacerata dalle sirene dell’Emergency.

Domani sapremo chi ha lasciato la vita
al trovarobe di bambini e quadernetti.
Così vive il giardino,
senza la rosa di macchia o canina.


18

Autunno dii salici e pungitopi
cosa potevamo fare
dopo il congedo dell’estate,
se non attendere un segnale
nella ressa dei neuroni:
meglio il tiglio e l’ipèrico,
qualche preghiera in più
non guasta i riccioli di Dio.

A goccia a goccia
scende l’ipnotico serale,
si fa oscuro lo schermo del palmare.

Quei muti ragazzi di borgata,
chi li ricorda più, che diranno
se all’improvviso arriva la fine?

Forse occorreva una tregua
al profumo delle rose,
prima che gorgogliassero
le allegre grondaie di città,
oh stagione di miti ritorni
e di rapidi addii!


19

S’abbuia il paese d’afrori e di belletti
e un’altra sera scende su di te
a celare la strada di vipere e lucertole.

Chi torna nelle case
accende il lume sulle scale,
ferma il carillon,
mette in ansia il giocatore di canasta,
smarrito nella cabala.

Sullo spiazzo dove fiorirono
passate primavere,
irrompe lo stormo dei rondoni
dopo il meriggio di luci e ombre.

Nella notte che si espande
anche la tua disfatta è certa,
come il volo del canapino
finito nella rete.


20

Non portiamo fiori ai trapassati,
né cogliamo i melograni.

Un jolly è passato di mano,
come nel poker con Madame Sorius.

Ci sono stati furti nel palazzo,
microsismi,
richieste d’indennizzo.

Forse ci saranno altri disastri,
torride estati e miti inverni.

Difficile credere che la vita
faccia un salto nell’aldilà.

E’ già così affollato il cielo
di nuvole e uragani
che è assurdo pensarti altrove,
in un vuoto d’aria
o in uno squarcio universale.


21

A tratti cadevano le bràttee.
Falchi passavano da un ramo all’altro
come pensieri ad una sponda.

Anche la speranza
si chiudeva in una morsa
e qui moriva.

Niente veniva alle porte del mattino,
mia compagna pasionaria,
se non l’ombra del verbasco
su un futuro da epitaffio.


22

Si colora di rosso l’ippocastano.

Come un coup de foudre torna l’autunno
a ridisegnare carbonaie e veli strani.

Si rifanno vive le evanescenze.
Resistono i rovi e i picchi muraioli.

Non altro ci recapita la stagione.
Il resto è storia di rametti e di cesoie.


23

Non è molta la distanza che ci divide.

So che essa è meno
di quella che ci separa da Mosè
e dai tuoi rottweiler inferociti.

Così mi basta poco
per capire che sei ancora viva,
che ci stai dentro questa vita,
come il succiacapre nel suo nido.


24

I ciclamini soffrono il gelo dell’inverno
appassendo sopra i davanzali.

Domani, qualcuno troverà da ridire
su questi fiori che hanno patito il freddo della notte
e coperto di petali il pianerottolo antico.

Jeffry scoprirà con amarezza
come le cose più fragili
siano le prime a morire.

O capitano, mio capitano,
i bucanieri si sono persi
nella baia di Ocho Rios!

Tutto è cambiato: la città, la gente, il domuspark
con il campo dei nomadi
dove una volta si fermava il circo dei magiari.

Non ci disturba l’inverno ma il vecchio Wallas
che lega i suoi cani per sentirli strozzare
quando appare la luna.

Questa sera neppure uno scricciolo
picchierà ai nostri vetri.

I ciclamini soffrono il gelo dell’inverno
appassendo sopra i davanzali.


25

La signorina Julie aveva un profumo di giaggioli
e un burberry azzurro come il mare.

Le nostre radici si sono perse altrove,
con l’erba serpina e la calendula in fiore.

Quest’anno affitteremo una stanza in città
al nostromo dei mari del Sud,
perché riporti dai fondali
un po’ del nostro passato
in una conversazione galante,
che d’amore non ha proprio nulla,
se non la cronaca di noi mortali,
mentre usciamo dal parco
e l’inverno ci spinge nelle case
di camini e barbecue.

Fuori il tempo è umido e freddo.
A volte cade la neve
o escono allo scoperto passeri e tucani.
Non altro che si possa riferire
da qui, ai prossimi anni.

E gli amici non rispondono più,
se ne vanno silenziosi,
oltre il ponte di Mokra Gora.

Oh, Julie, se fossi rimasta,
non sarebbe bruciata la casa di Weston!


26

Ci sono anni che sembrano boschi,
strade senza uscita, signora Spolding!

Eppure i cespugli sanno dove nascere e morire.

Lory è sempre stata cortese
anche quando Herbert scrisse frasi d’amore
che ancora oggi si leggono sui muri di Bridgwater.

C’è però qualcosa che non si amalgama bene
nei suoi pensieri mistici e puri,
e questo suo passare al trip-hop,
dopo la storia di Phuket,
ci sembra un modo per sfuggire alla morte.

Di sicuro manderà cartoline da Taunton,
ma un anno è lungo a passare!

Così accade di ritrovarci soli la sera,
senza il paradiso negli occhi,
anche se Sherly parla bene di noi
come di una coppia gentile
che ha dato tutto di sé.


27

Non è bastato un anno, Maggy,
per cancellare dal passato il male oscuro,
e ritrovare le pagine del diario
con le crisi di Nazarius e il mistero di Tunguska.

Molti sono gli amici venuti nel weekend.

Se fosse estate porterebbero alisei
all’arida stagione: bouquet per la signora in rosso
che legge i Four Quartets,
quando i morti per amore
scivolano lungo il Kingdown
sulle note di no woman, no cry.

Sarà difficile per noi superare agosto,
scrivere versi in un giorno imperfetto
se mancano le fate col loro glamour.

Qui le luci della città hanno un effetto Brooklyn
nel manoscritto passato ad Ezra.


28

Mi scrivi che non è nostalgia ma rimembranza
la quartina:
“la vïora la rosa sì resona
e dise: “Eo sont plu bella e plu grand im persona,
eo sont plu odorifera e plu cortese e bona,
donca sont eo plu degna de lox e de corona”.

Ora avvicinandosi la primavera
mi pare di vederla questa rosa che sì resona
nei giardini di fra Gaudenzio che invece dei girasoli
mette a seme tulipani e croco,
per sentirsi più vicino a sorella morte e a fratel Dante:
“tanto m’angoscia ‘l prefondo pensare
che sembro vivo e morte v’ho nascoso”.

La curva del tempo crea universi,
insolite percorrenze.
Forse ci saranno altri uragani.
La stagione ha di questi passi e furori.
Scrivi, se vuoi, manda notizie di te
e del furetto soffio di vento.


29

Il sogno era vago.
Brillava una subway di luci e megastore
con gente sul marciapiede,
copertine da pretty woman,
e il volto di un amico, ubriaco di rosolio:
ma di paradisi nemmeno l’ombra.

Meg sembrava che stesse meglio
bevendo infusi di tiglio e guaranà.

La musica era di Gardel,
con paso doble e caminito.

Io volevo solo restare nel sogno,
chiedere a Willy dove fosse la sua anima
quando lasciò il paese,
passando lungo i campi dei papaveri rossi.


30

L’anima venne più volte
chiamata dagli astanti.
Si era formato un cerchio
di memorie e risonanze.

Ci fu chi domandò:
Chi c’è là nel metamondo?
E Linda, è vero che sta con voi?

Qualcosa all’improvviso il medium farfugliò,
forse una vocale o un sibilo stridente
come ala di colomba a volo basso.

Si era spezzato il dialogo con gli altri,
né vennero al cold reading
il dottor Gary e l’umanista Schwartz,
da anni smarriti in un viaggio
chi a bordo delle navi,
chi su malferme barcarole.


31

Sono venute con un profumo di borgata
le ragazze del sabato sera.

Il tuo guardare le cose per come sono
può compromettere un’amicizia
o un semplice flirt con una di loro.

Non abbiamo illusioni e si fa fatica
a ricordare un verso di Brodskij
dalle strofe veneziane: mottetti esistenziali
da non recitare in un momento flou.

Da una Parigi coi colori di Monet
tornano i bouquinistes
con le storie d’amore.

Siamo diversi solo nei colori:
tu col tuo rosso, io col mio nero
e chi sorride ha l’innocenza dei ragazzi del Ruanda
che non sono i children di Beverly Hills.

Qui i segni del tempo
sono quelli lasciati dalle spine e dalle vespe.


32

Raccontami città
quando a saracinesche chiuse
dura il profumo della rosa
e qualcuno picchia ai vetri
nell’ultimo bagliore.

Ci si sveglia al primo rem
dopo un dolcissimo nirvana.

Resta l’eco del battente.
La luna è nelle stanze.
C’è chi beve un po’ di Glanphy’s.

Lucy, non so dirti!
Abbiamo spento il widescreen.
E’ successo all’improvviso.
Bisogna scendere per capire,
domandare agli assassini….

Raccontami città,la mia strada era un dolce amore.


33

Torna da me, ogni sera, una voce.
Mi dice che non sono io
chi lasciò la vita
per amore di città deserte.

Io credevo
che tutte le vie portassero al sicomòro,
come i sermoni di padre Orwell.

Quelle vie, strette e oscure,
sembravano Olzweg
assottigliati lungo i bordi.

A dicembre tornò la neve.
Sparirono parole e spettri.

A nessuno dissi in quale via
lasciai la vita,
amandola da sempre e mai tradito.


34

Non busseremo alla tua porta,
né vedremo le rose altèe,
e le care date sopra i calendari.

Good- bye, mamà!

Nessuno più ti metterà
le flebo e i tubicini.

Ci saranno stati, mi dico, piccoli rumori,
scricchiolii, i soliti segnali dell’aldilà.

Ma chi li ha sentiti?
Chi ha permesso a Rosemary
di prendere i tuoi bijoux?


35

Di vicini ne abbiamo conosciuti,
sfuggenti e poco amichevoli,
appena un buongiorno nelle sale
del Day surgery,
per un neo che cambia colore
e porta ogni notte ghostbusters e pensieri a go-go.

Al mattino scricchiola l’osso,
non dà tregua il dolore.
E’ osteoporosi sentenzia zio George!

Mi chiedo se un foulard, giallo canarino
lasciato nel box,
possa essere il colore preferito d’api e calabroni
per il loro nido d’amore.

Doveva fare bella figura tra le ragazze un po’ hippy,
in un concerto di fine stagione.

Eppure, a guardare il mio neo,
col tempo è diventato un piccolo Gesù.


36

L’inventario dei ricordi
andava oltre l’ultimo check point.

C’erano le stanze
con la vista sul fiume Neva,
il tarlo minatore tra le pagine del Time
e una collezione d’auto rally,
diversa da come l’avevamo desiderata.

Nessuno ha mai saputo
se il buio e la luce fossero vicini a noi
più del gatto Manosckij.

Il meglio, col tempo, non è mai venuto.


37

Con cura hanno portato i gatti nelle lettiere.

Ma c’è tanto da fare:
rimuovere la polvere dai balconi,
ridare splendore all’attico antico
ora che Lucy non è più la donna di prima.

Al momento del gin, a casa di Daniel,
c’è sempre una città da prendere al volo,
come le nuvole a primavera,
piccole gondole nella mente.

Ora la tempesta non fa più paura.
Ma rimane l’orsovento a graffiare
la pelle di Ketty.


38

Lo stupore del giorno
stava tutto nel candore della neve.

Non si poteva avere di più
tranne qualche astrazione nella sera.

.Fuggitivi ora sono il fuoco
e ciò che rimane della terra desolata.

Patsy lo sa. E poi c’è Delia; profumo selvatico:
ultima rondine di passo.


39

Francesca ama il vento
e quando arriva
lo batte con le mani di ghiaccio
cingendosi i fianchi di teneri soffi.

Senza fretta c’è chi uccide il fuoco
togliendo la legna.

A pochi isolati da noi,
a parte l’albero illuminato,
c’è la signora di mezza età,
che sembra ancora un giardino fiorito.

Così si fa avanti il Natale,
non importa se il tempo passato
arrivi da comete lontane.


40

Alex sopravvive ai suoi giorni
bevendo tisane di mirto e di papaya.

C‘è ancora del tempo,
prima di vedere i salmoni risalire il fiume
e aspettare così la sera,
mentre le ragazze, un po’ Nashville,
capaci di distrarre la mente dai pensieri più cupi,
s’affianchino a noi, come ladre d’amore;
il che non può che farci piacere,
come i cioccolatini allo sherry,
sopra il bonheur du jour.

Il giorno è pieno di luci e colori.

Ma quelle ragazze, un po’ Nashville,
hanno un qualcosa che solo la primavera conosce:
e noi pure.


41

Il ricordo si è fatto gelo.
Dalle stanze vengono piccole api
a farci capire la loro esistenza.

Noi sappiamo che aspetteremo invano
chi non verrà.

Qualcosa ci spinge a casa di Nelly.
Non è il freddo o la scusa del tè,
né le storie su Freddy
quando uccide le allodole
con le frecce di Robin,
ma la foto di Julie,
col burberry azzurro
nel giardino di betulle.


42

Il nostro addio non fu mai una morte
se anche il caso ci portò al Caffè Balestra,
patria di scrittori dandy e un po’ neorealisti.

Madame Ligussì, interpellata,
non confermò la presenza d’amorini antichi,
nonostante le carte
sembrassero quelle di un mercatino
che di un’astrologa.

Tra me e te era rimasto un ponte,
e nel tempo, una tèrmite.


43

I cristalli di Boemia con il Buddha in posa mistica,
sono oggi le tue umili certezze,
troppo poche per salire ai cieli della città futura.

A dirti benvenuta in una comunità di soli spiriti
non è poi così allettante,
come una sera passata al Roxy Bar.

Pochi anni e ne saremo fuori,
dolce Deborah dagli occhi celestini.

Restare qui, per altri inverni ancora,
non dovrebbe essere più penoso
di un cupo purgatorio.


44

Sembrava un Braque del 40
il Cafè Lambert salvato dalle acque.

Erano mutate le prospettive
con i grandi estuari
che non portavano a nessuna foce.

Turbavano l’assedio dei giorni
e il ritardo dei rondoni.

Era passato l’anno
con i denti d’aspide sulla pelle.

Pure di noi si era fatta pietà
l’attesa del domani.

Svanita la stella d’Oriente,
come in un sogno tornavano
i chiaroscuri della mente.


45

La casa è da rifare, se non fosse per il giardino
che ancora ammalia la gente: turisti di bassa stagione;
niente io stesso:
autunno di bacche e di cipressi,
credevo di essermelo lasciato indietro,
come l’asma nel petto, sotto un cielo nero, capovolto,
passo dopo passo, fino al prossimo cambio o inverno.


46

Ci batterai la testa,
sarà come il rubinetto che non cola,
il giorno che finisce,
occhi asciutti e nessuna luce.

Una parte del tetto è crollata,
ma tutto il cottage non regge, tutta la vita, Freud,
dammi il mio io, l’onda che sfugge ai barracuda
e allontana la famiglia delle meduse.

Si dirama il nostro tempo
in un esilio di dimenticanza.

Ci batterai la testa,
sarà come il rubinetto che non cola,
la luce che si oscura,
il circolo di Warren Daddy,
dove chi entra
bussa almeno tre volte alle porte del Nulla.


47

Se ne va l’unto di novembre nell’anno del fior di loto.

Qui ancora ci contiamo, ragazzi del quaranta,
mentre saltano pick-up, bruciano palmizi,
boati scuotono casupole.

Non è ancora primavera
eppure c’è tanta rugiada
intorno agli occhi.

Leggo il libro del villaggio,
seguo Halina sui suoi passi,
non ho parole di conforto
per i gelsomini massacrati nei giardini.

Sempre c’è una stazione, di là per tutti,
ma nessuno sa, nessuno vuol parlarne.
Mandaci, oh my God, un sms, prima della fine.

Non ho foto, né auguri da lasciare ai posteri,
ma solo il verso nudo e crudo.

Il freddo ci lasciò contriti,
non indietreggiò davanti ai rami
abbattuti dalla neve.

Non sapeva che da lì, a breve,
sarebbero venute le idi di marzo.


48

Si era fatta una bella corsa l’inverno
mentre la neve spegneva ogni suono
e nel giardino planavano passeri e petali di fiori.

L’officina delle lettere
aveva ancora inediti percorsi.

Ci sono stati eventi da dimenticare,
lutti che ancora ci appartengono.

Il gentiluomo William Browning,
fuori dal Cimitero degli inglesi,
si era legato d’amore con Annie Barret,
stanco di morti e di viltà nel mondo.

Così, senza saperlo,
ci siamo trovati in mezzo ai dadi,
mite Charlotte, che dell’erba di monte,
facesti un orto e un vestito a punto - croce.


49

Veneziani merletti di schiuma e di glassa,
ci pensi oh Al Qasim, sembravano luminarie
ed erano cannule di cancri e inganni:
Burano d’arte e di vetro soffiato,
da guardare in silenzio come le stelle di Natale
dai balconi dell’Occidente:
arabesque di fosforo bianco
sulla città senza skateboard e pick-up,
come a Phuket, quando in un mattino dorato
sbarrava gli occhi di terrore lo tsunami,
venuto per bocca di mare e splendido sole,
Hurricane di steli di dalia
dalla spiaggia alla collina di Spoon River.


50

Inverno sotto zero è un miracolo se non si occludono le vene.
Good morning, Baghdad!
Cartilagine assottigliata all’osso, come un morso stringe il gelo.
Non si capisce se c’è nebbia oppure neve.

Battono tappeti, rifanno le facciate, bauli aprono al passato,
c’è chi ha un cuore di rottami; uno rincorre l’anima,
si perde in un viaggio oltre le terre del cormorano.

Bonjour tristesse, Mister President!
I crani della Storia luccicano sotto i campi di baseball,
come le cupole dorate nei giorni dell’ashura.

Bombs, bombs, bombs, bombs!
Zia Molly conta solo i boys del West Coast
caduti ad al Anbar: ragazzi del melting pot,
che amavano raps e rhythm & blues, senza sogni e mitragliette Uzi.

In viaggio con Jack si avverte una ferita ancora aperta,
un senso di colpa mai risolto. Pure fanciulli patirono ad Abu Ghraib,
soldato Joe e Mrs. Karpinski!

Si dirà poi che era necessario attraversare il Tigri,
mettere check point, colorare di rosso la sabbia a Baghdad.


51

Blu notturno,
videocamere accese sulla città,
profondo pozzo artesiano,
lucchetti alle porte
e sbarre alla sera
che non si arresta.

Per la via grande son tornato a casa
ed ecco ho terminato.

Dentro di noi, sempre più dentro,
c’èra ancora Alphaville.


52

Suona papà Doc, il blues del Cotton Club,
è morto il canarino del Wisconsin.

Lo piangono boschi e valli
nel paradiso degli impala.

Vuote restano le stanze di luci e arredi
e la parola più non torna,
uno iato appena la soccorre:
è questa l’ultima poesia?

S’allontana il lessico degli avi,
di qualche simbolo pure si circonda
l’enigma del mondo tra i conflitti della sera,
con argomenti da discutere insieme,
nel buio che avanza
e fa del naufrago un cieco in mezzo al mare.

Suona papà Doc, il blues del Cotton Club,
è morto il canarino del Wisconsin.


53

Il cancello era chiuso.
Le luci spente.
Abbiamo suonato il campanello,
chiamato il Custode,
atteso che si facesse luce,
oh miei buon passanti!

C’erano foglie e cataletti,
giardini di fango
e neve.

La speranzamongolfiera
era scivolata dalla gobba dell’arcobaleno.

A lungo rimanemmo nella città segreta.
Non c’era nessuno.
Solo la sera!

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