IL MONDO DELLE ANTOLOGIE
di Mario G. Gabriele
Antologizzare un
periodo della nostra letteratura, pone ai curatori non pochi problemi di
coscienza e di comportamento critico informativo, specie quando l’esame
ermeneutico colloca in una zona di invisibilità autori validi e di lunga
militanza, esautorati da una regia manageriale rivolta sempre di più al
profitto che alla realtà storica presa in esame.
Nel suo fortunato
-Repertorio della poesia italiana contemporanea: Febbre furore e fiele, Mursia,
1983 – Giuseppe Zagarrio pone in essere un principio etico di chiara rilevanza,
che dovrebbe funzionare da password per molti critici interessati a redigere –
storie letterarie -. Infatti, nella sua relazione conclusiva, Zagarrio dichiara
che “Le antologie si fanno (si sono sempre fatte e si faranno) così come i codici
della giustizia, i partiti della libertà, le chiese della fede religiosa, le
città perfette dell’utopia sociale: è il segno oggettivo della loro necessità e
dunque anche della loro utilità. Sempre che non pretendano di essere strumenti
esaustivi della realtà e soprattutto non diventino operazioni politicamente
interessate di restaurazione, di frenaggio”. Quindi “no all’antologia per quel
che è di elitario, parziale, autoritario, e sì alle tante, tantissime antologie
in funzione di quel no”.
Purtroppo, a questo
lodevole auspicio non sono seguiti segnali di ripensamento e di operatività
critica, da rimodulare la topografia poetica del centro e della periferia.
Cosicché assistiamo ad un reiterato – vulnus- che esaspera e inganna i lettori
più avveduti ed esperti. Ne viene fuori un panorama letterario e poetico, con
rifiuti e annessioni, di difficile accettazione, da quando la critica si è
-chiusa nell’ambito accademico e del microspecialismo -.“Gli anni Sessanta
coltivarono l’illusione che si potesse trovare a collaudare un metodo
scientifico di analisi dell’opera letteraria; ma quella ipotesi,, non trovò una
vera conferma, e dopo tanto laboratorio e collaudi di strutture, pian piano si
lasciò perdere.- “Quella ipotesi, afferma Mario Lavagetto non aveva fondamento.
La critica non è una scienza nel senso corrente del termine. Si fecero poi le
cose più strambe accreditando una critica tematica, che naturalmente svariava
ragionando sui temi più strani. Poi è subentrata la moda dei canoni, che sono
in fondo classifiche d’alto bordo e comunque territori dai confini incerti e
variabili. Poi l’accademia, che ha desacralizzato ogni forma di insegnamento,
non sa che farsene dei critici, poco funzionale a corsi svelti e a testi di
poche pagine possibilmente riassuntive”.
Avvenuta la scissione
della critica dal potere editoriale, la metodologia pseudo informativa, si è
così – istituzionalizzata – inserendosi autonomamente nei mercati librari,
vuoti di storia letteraria.
“Un’antologia, è pur
sempre un arbitrio, secondo il pensiero di Enzo Siciliano, “e non c’è criterio
di presunta oggettività che possa giustificarlo”. Sono molte, infatti, le –
premesse – poste ad apertura delle varie storie letterarie, che in vario modo,
tentano di supportare l’autore e la sua ipotesi formalistica, spesso
attraversata da presunte o pretese – irregolarità – che lasciano nel tempo
l’omologazione della imperfezione, attraverso l’ondata delle rassegne di
letteratura, dei canoni, della critica monografica, e di quant’altro asservito
ai cosiddetti movimenti o periodizzazioni.
“Il critico, -scrive
Giacinto Spagnoletti nella sua Storia della Letteratura Italiana, Newton, 1994-
non è che un testimone, al quale sono concesse tutte le possibili
interpretazioni, anche quelle che denunciano la sua pochezza d’intuito, e
l’obbedienza ai luoghi comuni. Ponendosi dal suo punto di vista, sempre
incapace di abbracciare l’intero orizzonte, si possono subito stabilire i suoi
limiti, culturali, metodologici, di informazioni e di analisi.” Purché,
aggiungiamo noi, non si faccia del pregiudizio intorno a coloro che non hanno
avuto la fortuna di essere pubblicati da Mondadori o Einaudi, una regola
discriminante, tale da farli dimenticare per sempre. In ogni caso c’è sempre
l’idea della mistificazione che modula ogni evento critico strettamente legato
al business imprenditoriale, che domina su ogni legittima richiesta dei lettori
desiderosi di conoscere, ovviamente non in forma enciclopedica, il perché di
tante estromissioni e silenzi.
Un’attenta analisi
della faziosità che ha spaccato l’Italia, è stata esaminata da Roberto Di Nucci
e Galli Della Loggia nel volume edito dal Mulino: Due Nazioni: legittimazione e
delegittimazione nella storia dell’Italia contemporanea, recensito da Giuliano
Gallo sul Corriere della sera del 2 luglio 2004, dove emerge l’esistenza di una
contrapposizione ideologica, più che sociale e religiosa. Non a caso lo storico
Luciano Cafagna ha definito questo stato di cose con un sorprendente neologismo
– la divisività – che non è nata oggi, ma che ci portiamo dietro dall’inizio
della nostra storia di paese, apparentemente unito, le cui fratture hanno
separato la politica e l’economia, la società e la cultura, e ciò che riguarda
più da vicino la poesia, con le sue contraddizioni formali; un problema che
esiste e il solo fatto di ignorarlo non aiuta a riportare a galla la verità, ma
a far emergere le memorie tagliate, tanto è vero che si continua sulla strada
del separatismo culturale, con le recenti operazioni editoriali pubblicate dal
settimanale L’Espresso, in sedici volumi della Storia Generale della
Letteratura Italiana, a cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà, che si
sperava facessero un po’ di giustizia sui poeti desaparecidos, la cui
dimenticanza è stata replicata nella Letteratura Italiana in diciotto volumi
editi dal Corriere della Sera e nell’antologia La parola plurale pubblicata da
Sossella, gestita da un team di otto curatori: Giancarlo Alfano, Alessandro
Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano
Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli e Paolo Zublema, fino a dividersi
la responsabilità e l’arbitrarietà (il corsivo è nostro), della scelta dei
testi e degli autori, affermando che “ogni inclusione (e di conseguenza ogni
esclusione), è stata decisa collegialmente,” con buona pace di tutti gli altri
poeti emarginati nel corso del Novecento, in cui non sono mancati modelli
letterari oligofrenici, realizzati nel più completo caos della parola, a cui
questa antologia tenta di porre rimedio attraverso un – proclama – della Forma,
redigendo documenti di critica e di poetica su sessantaquattro poeti di diversa
area territoriale, uniti da un criterio di selezione che dovrebbe far
riflettere sul concetto di poesia, ridotto a fenomeno da baracchino e da ballon
d’essai, da una – comunità ermeneutica che non mostra limiti nell’effetto-massa
del pensiero critico e dei reperti testuali, prelevati in un arco di tempo- dal
1975 al 2005-, rimandando a future operazioni di omologazione i poeti degli
anni Trenta-Quaranta, non antologizzati.-
Ancora una volta siamo
di fronte ad una partnership blindata cui vanno contrapposte iniziative
coraggiose, come quelle sorte a Nusco, per censire la vasta produzione
letteraria del Sud, e rivendicare, giustamente, – spazi e credibilità nella
cultura nazionale – reintegrando un patrimonio di voci, disperso da assurde
arbitrarietà, “aprendo gli spazi a segnali forti, che provengano dagli
intellettuali, dagli editori, dalle istituzioni, dagli amici lettori, se
vogliamo essere protagonisti bisogna andare anche alla riscoperta della nostra
cultura e della nostra poesia”, così come dichiarato da Paolo Saggese nel suo
intervento – Per la poesia nel Sud -, su Secondo Tempo, Libro Ventesimo, pag.
94, che richiederebbe una lettura attenta per la specificità dei temi trattati,
relativi anche alla compilazione di una eventuale Storia della letteratura
degli esclusi, che non può essere il libro celeste di tutti i poeti vivi e di
quelli morti, ma il dossier sui misfatti compiuti impunemente e giustificati da
coloro che vivono al Sud e che costituiscono la colonna filonordista celata
nelle redazioni dei Giornali per mettere sotto accusa ogni tipo di giaculatoria
e di sconcertante meridionalismo critico inutilmente recriminatorio.
“Chi scrive poesie”,
ha rilevato Adam Zagajewski, “si ritrova talvolta impegnato, in una difesa
delle medesime”, a causa di continue delegittimazioni nel Novecento “che è
stato il secolo ammalato di amnesie,” secondo un giudizio di Claudio Magris (in
occasione della pubblicazione del volume di Barbara Spinelli – L’Europa dei
totalitarismi, – Mondadori-), quando rileva che “la memoria è soprattutto
giustizia resa alle vittime di violenza che la falsificazione ideologica
cancella dalla coscienza o di cui deforma la verità”.
ATTUALITA’ DEL SELFPUBLISHING
Se aspirare ad una
pubblicazione griffata diventa, per uno scrittore o un poeta un’avventura
impossibile data la strategia programmatica delle Case editrici maggiori,
impegnate ad un ritorno più che giustificato dei loro investimenti, allora non rimane
che l’attualità del fai da te, o meglio del selfpublishing, che nella
definizione letterale significa pubblicare da soli i propri testi.
Il fenomeno può essere
definito per alcuni, editoria senza qualità, non avendo a disposizione la
distribuzione del prodotto, che rimane l’unico modo per farsi conoscere.
Tuttavia non è raro il caso in cui l’operazione porti a soluzioni per il
richiedente, davvero ottimali. E’ il caso di tutti coloro che si
autopubblicano, e che vedono coronare il loro sogno nel cassetto, con una
modesta somma rapportata al numero di copie richieste.
Una indagine fatta dal
New York Times Book Revev rileva che in America la “Authorhouse ha distribuito
un milione di copie tra il 1997 ed il 2002, grazie alle nuove tecnologie
digitali, che propongono edizioni significativamente decorose e a costi molto
contenuti. Il meccanismo prevede che la pubblicazione su Internet produca dei
commenti favorevoli offrendo all’autore la possibilità di contattare altri
editori.
In Italia è ilmiolibro.it del Gruppo Espresso a offrire una significativa via
d’accesso agli scrittori esordienti o di lungo corso con il selfpublishing, che
consiste nella pura trasformazione di un manoscritto in volume, lasciando a chi
scrive la scelta della sua eventuale vendita”.
Certamente i servizi
offerti rispetto alla grande editoria sono diversi. Tuttavia se autopubblicarsi
significa uscire dal silenzio e da un ghetto non più tollerabili, ricorrervi
come approdo ad un’ultima spiaggia non è poi tanto disonorevole. Di questo sistema
si sono avvalsi nomi importanti, come è avvenuto per “almeno tre best seller:
La profezia di Celestino di James Redfeld, Eragon di Christopher Paolini e Tre
metri sopra il cielo di Federico Moccia.”
L’avvento di internet
ha rivoluzionato il mondo della comunicazione, attuando una vera e propria
mutazione antropologica dai risvolti imprevedibili, secondo i più esperti
mediologi.
Ovviamente, non
mancano voci dissonanti “trattandosi di un orizzonte che sembra dar ragione
alle più fosche previsioni, anch’esse formulate negli anni Novanta della fase
aurorale di internet dall’urbanista francese Paul Virilio in cui l’autore
associa alla rete “l’ultimo atto di una guerra totale”. Al di là di ogni
possibile catastrofe informatica e dell’uso improprio che se ne possa trarre,
resta il fatto che siamo tutti sotto lo sguardo di“un grande occhio più
implacabile di quello del Big Brother orvelliano”, e che milioni di persone
stanno familiarizzando con l’high tech.
Nasce, come ha
affermato lo psichiatra Tonino Cantelmi,”l’homo tecnologicus“, che vive di
cellulare, di posta elettronica o di e-mail, ossia il digitalista, che non ha
bisogno della linotype, ma della tastiera del computer per collegarsi on line
con il resto del mondo, e nel nostro caso, con una community letteraria, che
legge, registra, invia messaggi di riscontro, superando così gli obsoleti
canali cartacei.
In La lettera che
muore, Gabriele Frasca ha affrontato il problema della commercializzazione del
libro, soffermandosi sul volume “Il Disperso” di Maurizio Cucchi, pubblicato da
Mondadori, che a fronte di “una tiratura di 2.000 esemplari, di cui 100-200
sono stati distribuiti gratis a critici, amici, ecc e gli altri,
presumibilmente, venduti in libreria o nelle biblioteche“, pone di fatto un
problema già noto, che riguarda la collocazione della poesia nel mercato, dove
i lettori interessati non superano le 500 unità. Discorso diverso per internet,
dove si stima che l’utilizzo del web sia in continua espansione e che navighino
circa“25 milioni di persone, (il 44% della popolazione) per oltre 80 minuti al
giorno,con una crescita pari al 12%” come ha evidenziato in una indagine
conoscitiva sul web Layla Pavone (AB), pubblicandola su Affaritaliani.it.
Il che non è poco,
tenendo presente, che la poesia e la vita sono entrambe figlie dell’oblio e che
anche in internet i corridoi di informazione sono diversi, secondo il grado di
affidabilità.
Ma questo è un compito
che spetta ad altri: all’uomo colto e tecnologico e alla community letteraria.
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